Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5097 del 05/03/2018


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Cassazione civile, sez. un., 05/03/2018, (ud. 21/11/2017, dep.05/03/2018),  n. 5097

Fatto

1) Con atto di compravendita del 26.05.1981, rogato dal notaio Ca.Gi., E.G. e E.R. vendevano all’avv. C.F. e ad A.A., in comune ed in parti uguali, rispettivamente, il fondo sito in località (OMISSIS) – partita (OMISSIS), f. (OMISSIS), particelle nn. (OMISSIS) – ed il fondo individuato alla particella n. (OMISSIS).

Con successivo atto di compravendita del 26.01.1994, rogato dal notaio Bu., A.A. cedeva all’avv. C. la propria quota indivisa.

Sull’immobile gravava un vincolo archeologico, costituito con D.M. 28 luglio 1975, emanato dal Ministero dei Beni Culturali e Ambientali in forza della L. n. 1089 del 1939.

Entrambi i notai, al momento dei rogiti, omettevano di denunciare al Ministero i rispettivi atti, provvedendovi nel 1996.

Il Ministero il 20.12.1996 esercitava il diritto di prelazione per le particelle n. (OMISSIS) e notificava il relativo decreto ministeriale rispettivamente a E.R. e E.G., in qualità di venditrici, all’avv. G.S., nella veste di loro legale e procuratore speciale ed, infine, all’avv. C.F., quale acquirente.

L’avv. C.F. instaurava due cause parallele; l’una dinanzi al giudice amministrativo; l’altra innanzi al giudice ordinario. 1.1) Con ricorso n. 548/1997 adiva il TARCampania per ottenere l’annullamento del decreto 20.12.1996 di esercizio del diritto di prelazione. Il TAR rigettava il ricorso con sentenza n. 1606/2008; disattendeva i vizi formali di legittimità proposti avverso il provvedimento e dichiarava infondata la censura di eccesso di potere relativa al mancato riconoscimento dell’intervenuta usucapione speciale per i fondi rustici ex art. 1159-bis c.c., in quanto riteneva che, poichè la vendita del bene non era stata denunciata alla P.A., l’acquirente non ne poteva acquistare la proprietà per usucapione abbreviata, atteso che il negozio era inopponibile all’Amministrazione.

Il Consiglio di Stato con sentenza n. 2142/2010 confermava la decisione. La pronuncia del Consiglio di Stato veniva impugnata per revocazione, la quale veniva dichiarata in parte inammissibile e in parte infondata.

1.2) Parallelamente, con atto di citazione notificato il 20-21-22.02.1997 l’avv. C.F. conveniva dinanzi al Tribunale di Salerno il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, E.R. e G., A.A. e G.S., per vedersi dichiarare pieno ed esclusivo proprietario delle porzioni di fondo indicate alle particelle nn. (OMISSIS). L’attore, nel dettaglio, chiedeva la declaratoria di nullità/inefficacia della notifica del Decreto 20 dicembre 1996 di esercizio della prelazione, nonchè di accertare la carenza di potere del Ministero per intervenuta usucapione speciale.

Veniva integrato il contraddittorio nei confronti di E.D., M.M.C., Es.Lu. ((OMISSIS)), Es.Gi., L.M.D., quale erede di E.C., E.L. ((OMISSIS)), E.E., quali eredi di E.F., B.C., B.R. e B.M.R., quali eredi di e.l. e di D.M.A., quale ulteriore erede di E.F..

Il Ministero convenuto resisteva ed eccepiva il difetto di giurisdizione.

La convenuta E.R. chiamava in causa il notaio Ca., per far accertare la sua responsabilità professionale per omessa denuncia della compravendita alla P.A..

Il notaio Ca. chiamava in garanzia la R.A.S. Assicurazioni ed eccepiva che dalle visure ipocatastali non aveva rilevato alcun vincolo, poichè il Ministero avrebbe effettuato una trascrizione “assolutamente inefficace ed inopponibile”.

In conseguenza, con la prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, l’avv. C. eccepiva l’inesistenza e la radicale inefficacia della notifica e della trascrizione del vincolo apposto con D.M. 28 luglio 1975, nei confronti dei danti causa delle venditrici; eccepiva, per connessione, la carenza di potere del Ministero ai fini dell’esercizio della prelazione per effetto della inopponibilità del vincolo del 1975; ribadiva, infine, il perfezionamento dell’acquisto a titolo originario della proprietà per usucapione, intervenuta prima dell’esercizio della prelazione e in presenza di un vincolo archeologico privo di efficacia.

Il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 635/2006, dichiarava improponibili le domande, declinando la propria giurisdizione a favore del giudice amministrativo, in quanto riteneva che le questioni relative alla efficacia ed opponibilità del vincolo non attenessero “all’esistenza del vincolo stesso” e, pertanto, esulassero “dalla sfera di giurisdizione dell’AGO” (pag. 22 sent. di primo grado riportata a pag. 10 del ricorso per cassazione), giacchè non veniva in discussione l’esistenza del potere ablatorio del Ministero ma solo il suo legittimo esercizio.

Avverso tale pronuncia, l’avv. C. interponeva appello che, con sentenza del 25.06.2015, veniva rigettato dalla Corte d’appello di Salerno.

La Corte riteneva che il tribunale avesse correttamente inquadrato la fattispecie nell’ambito della giurisdizione amministrativa, in quanto “vicenda di stampo pubblicistico, in cui la P.A. agisce in condizioni di supremazia ed emette LA un provvedimento di tipo autoritativo, della cui legittimità non può che conoscere il giudice amministrativo”. Aggiungeva “per completezza di indagine (…) che le doglianze oggi esposte sono state oggetto di decisione anche in sede amministrativa”, con relativa “formazione di un giudicato sulle medesime questioni, ivi compresa quella della usucapione speciale”.

L’avv. C.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza de qua, successivamente illustrato da memoria.

E.L. ((OMISSIS)), il notaio Ca.Gi., Allianz S.p.A. (già R.A.S. S.p.A.) hanno resistito con i rispettivi controricorsi. Allianz S.p.A. ha illustrato il proprio controricorso con successiva memoria.

Sono rimasti intimati il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (già Ministero dei Beni Culturali e Ambientali); B.C. e B.R., B.M.R., L.M.D., Es.Lu. ((OMISSIS)), in qualità di erede di E.G. e di E.R., E.D., in qualità di erede di E.G. e di E.R., Es.Gi., in qualità di erede di E.G., di M.M.C. e di E.R., E.E., nella qualità di erede di E.G., di D.M.M.A. e di E.R., A.A., in proprio e nella qualità di erede di G.S., G.M., G.A., G.F., nella qualità di eredi di G.S..

Il ricorso, affidato a due motivi, è stato rimesso alle Sezioni Unite.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione delle norme sul riparto di giurisdizione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, per avere la Corte d’appello di Salerno erroneamente affermato la giurisdizione del giudice amministrativo in luogo della giurisdizione del giudice ordinario, in relazione ad una controversia avente ad oggetto il riconoscimento del diritto di proprietà.

Evidenzia che la fattispecie sottoposta alla cognizione del giudice ordinario integra una ipotesi di carenza di potere in capo alla P.A..

Tale difetto di potere risalirebbe all’inopponibilità del vincolo archeologico del 28.07.1975 nei confronti dei soggetti coinvolti nella alienazione del bene immobile. L’inopponibilità sarebbe conseguenza della inesistenza e radicale inefficacia della notifica e della trascrizione del vincolo archeologico ai danti causa delle venditrici.

In tesi, l’inopponilibilità del vincolo archeologico del 28.07.1975, implicherebbe la radicale e derivata carenza di potere del Ministero in ordine all’esercizio del diritto di prelazione avvenuto col D.M. del 1996; il quale, in questo modo, trarrebbe unica legittimazione da un vincolo archeologico privo di effetti nei confronti del ricorrente.

Secondo il ricorrente, l’inopponibilità del Decreto 28 luglio 1975, implicherebbe l’insussistenza dell’obbligo di denuntiatio della compravendita. Gli effetti del contratto non verrebbero sospesi dalla mancata comunicazione ed acquisterebbero definitiva stabilità, restando il Decreto 20 dicembre 1996, radicalmente inidoneo ad incidere sulla posizione di diritto soggettivo vantata, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario.

Il ricorrente, inoltre, desume da quanto sopra che il diritto dominicale, oltre a trovare fondamento in una vendita stabile, si sarebbe consolidato per usucapione speciale, a norma dell’art. 1159-bis c.c., maturata prima dell’esercizio della prelazione.

Parte ricorrente deduce che davanti al giudice ordinario era stato chiesto l’accertamento ed il riconoscimento della proprietà del fondo, integro in virtù dell’agire della P.A. in carenza di potere per inoppobilità del vincolo del 1975. A suo dire nella controversia innanzi al giudice amministrativo erano stati invece dedotti vizi propri dell’atto di prelazione del 1996, ovvero l’incompetenza dell’Autorità amministrativa, la violazione delle norme procedimentali di cui alla L. n. 241 del 1990 e l’eccesso di potere per non avere il Ministero considerato l’intervenuta usucapione speciale, sulla base dei vizi propri del decreto di prelazione del 1996 e non anche per l’inopponibilità del vincolo del 1975.

3) Il motivo è infondato.

L’ipotesi prospettata di inefficacia del vincolo per inopponibilità dovuta alla asserita nullità/inesistenza della trascrizione e al difetto di notifica non implica che il successivo esercizio della prelazione, fondato su siffatto vincolo, integri una fattispecie di carenza di potere in astratto. L’unica che consente di configurare, nel sindacato giurisdizionale relativo all’esercizio di funzioni restrittive, la giurisdizione del giudice civile.

Sussiste, infatti, la giurisdizione del giudice ordinario quando, nelle funzioni restrittive, il provvedimento nullo per difetto di attribuzione pretende di incidere su un diritto soggettivo a stampo conservativo. In questa ipotesi l’azione amministrativa che si riversa in un provvedimento nullo per difetto di attribuzione non è idonea a scalfire il diritto soggettivo. E’, pertanto, tale posizione giuridica che viene fatta valere direttamente dal soggetto leso, con conseguente devoluzione della controversia al giudice ordinario.

Tuttavia, va precisato che secondo la giurisprudenza amministrativa ormai consolidata, “con la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 septies, il legislatore, nell’introdurre in via generale la categoria normativa della nullità del provvedimento amministrativo, ha ricondotto a tale radicale patologia il solo difetto assoluto di attribuzione, che evoca la c.d. “carenza in astratto del potere”, cioè l’assenza in astratto di qualsivoglia norma giuridica attributiva del potere esercitato con il provvedimento amministrativo, con ciò facendo implicitamente rientrare nell’area della annullabilità i casi della c.d. “carenza del potere in concreto”, ossia del potere, pur astrattamente sussistente, esercitato senza i presupposti di legge” (Cons. Stato, 4, 17 novembre 2015, n. 5228, cfr. anche Cons. Stato, 4, 18 novembre 2014, n. 5671; Cons. Giust. Amm. Sic., 21.07.2015, n. 571; Cons. Stato, 5, 10.01.2017, n. 45).

Per contro, quando mancano, nel caso concreto, i requisiti fissati dalle norme per l’esercizio del potere formalmente attribuito alla Pubblica Amministrazione, ricorre una violazione di legge che mette in discussione la legittimità dell’atto e il corretto esercizio del potere amministrativo.

L’orientamento della giurisprudenza amministrativa è stato confermato anche da questa Corte, secondo cui “il difetto assoluto di attribuzione delineato in via generale dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 septies (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) è configurabile solo in casi in cui un atto non possa essere radicalmente emanato dall’autorità amministrativa, in quanto priva di alcun potere nel settore (Consiglio di Stato, sez. 6, 31 ottobre 2013, n. 5266)” (Cass., SU, 23 settembre 2014, n. 19974; Cass. SU, 28 luglio 2016, n. 15667).

3.1) Venendo al caso di specie, le doglianze si appuntano sulla violazione delle norme in tema di notifica e trascrizione del vincolo, le quali presuppongono l’esistenza del potere del Ministero, conferito originariamente dalla L. n. 1089 del 1939, di valutare la rilevanza storica ed artistica del bene, riservandosi il successivo e conseguente potere di valutare l’opportunità dell’acquisizione del medesimo per la tutela dell’interesse generale.

Tali norme perimetrano l’esercizio del diritto di prelazione, fissandone i requisiti e le modalità esplicative. L’eventuale inosservanza delle norme in tema di trascrizione e notificazione, ancorchè si risolvano nella asserita inesistenza/nullità/inefficacia di tali atti non attengono all’an bensì al quomodo della potestà pubblica, essendo un posterius rispetto all’atto amministrativo, vincolo archeologico, con cui è stato esercitato il potere attribuito al Ministero dalla legge. I vizi prospettati in ricorso gravitano, pertanto, nell’ambito della illegittimità e sono attratti alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Contrariamente a quanto sostiene parte ricorrente, infatti, la posizione fatta valere, a fronte del potere formalmente conferito in astratto, è di interesse legittimo oppositivo, e non di diritto soggettivo.

In questo senso è corretta l’affermazione secondo cui “le questioni attinenti alla notifica del vincolo ed alla sua trascrizione (…) sono relative all’esercizio del potere discrezionale della PA ed alle sue modalità di esplicazione”.

Va affermata, pertanto, la gurisdizione del giudice amministrativo.

4) Con il secondo mezzo, il ricorrente deduce “la violazione delle norme e dei principi in tema di limiti oggettivi del giudicato amministrativo, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. Parte ricorrente evidenzia come erroneamente la Corte d’appello avrebbe affermato la formazione del giudicato sulla questione della usucapione speciale nel giudizio svoltosi innanzi al giudice amministrativo.

Parte ricorrente rileva, in primo luogo, la sostanziale diversità tra i petita e le causae petendi nei rispettivi giudizi, in considerazione del fatto che la cognizione del giudizio amministrativo ha riguardato questioni collegate, “ma chiaramente distinte rispetto all’oggetto del processo in questa sede promosso” (pag. 41 del ricorso). In secondo luogo, ritiene che la verifica del giudice amministrativo sull’acquisto della proprietà del fondo per usucapione speciale sia frutto di una mera cognizione incidentale, esclusivamente finalizzata al sindacato sul denunciato vizio di eccesso di potere ai fini dell’annullamento del decreto di prelazione del ‘96, senza che fosse neppure allegata la questione della inefficacia derivata dal vincolo inopponibile del ‘75, emersa solo nel giudizio civile e ivi fatta valere.

La decisione sul punto sarebbe inidonea, quindi, a passare in giudicato.

Il motivo è inammissibile.

Il passaggio motivazionale censurato muove dalla seguente premessa: “vale, per completezza di indagine, ricordare che le doglianze oggi esposte sono state oggetto di decisione anche in sede amministrativa”. Prosegue riepilogando la materia devoluta al giudizio del Tar (di cui qui si è detto al p. 1.1) e del Consiglio di stato e conclude reputando “evidente la formazione di un giudicato sulle medesime questioni, ivi compresa quella della usucapione speciale” (pag. 7 sentenza Corte di appello).

Esso non costituisce autonoma ratio decidendi della sentenza impugnata, ma argomentazione svolta ad abundantiam. Ciò si evince con chiarezza già dall’incipit del testo appena ricordato e dalla sua collocazione dopo l’esaurimento del ragionamento decisorio sulla sussistenza della giurisdizione amministrativa.

Ora, poichè sulla differenza tra le questioni trattate inizialmente dal giudice amministrativo (e già definite) e quelle con questa causa veicolate davanti al giudice ordinario e che vengono oggi definitivamente rimesse al giudice amministrativo dovrà statuire quest’ultimo, è il giudice amministrativo che dovrà pronunciarsi sull’oggetto del giudicato anche con riguardo alle odierne prospettazioni.

Le affermazioni rese dalla Corte di appello erano pertanto superflue, essendosi essa spogliata della causa.

Giova in proposito ricordare che qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata. (Sez. U, n. 3840 del 20/02/2007; SU 15122/13; Cass. 17004/15).

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso.

Le spese di questo grado di giudizio sono essere interamente compensate tra tutte le parti, in ragione della eccezionalità del caso, caratterizzato da un intreccio di giudizi che devono trovare sfogo definitivo a seguito della declaratoria di difetto di giurisdizione qui confermata.

Va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.

Dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1 quater, introdotto della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 21 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2018

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