Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5096 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. III, 25/02/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 25/02/2020), n.5096

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33110-2018 proposto da:

ANTELAO SPA, in persona dell’amministratore unico Dott. GIAN LUCA

NANNI COSTA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENATO FUCINI

238, presso lo studio dell’avvocato FABIO CUTULI, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati ELENA ZUCCONI GALLI FONSECA,

ADRIANA ZUCCONI GALLI FONSECA;

– ricorrente –

contro

D.L.S., (OMISSIS), COSTRUZIONI EDILI ZUCCHINI SPA, B.

ARCH M., B.S., M.M., UNIPOLSAI ASSICURAZIONI

SPA, GENERALI ITALIA SPA;

– intimati –

Nonchè da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA R. FAURO N 43,

presso lo studio dell’avvocato UGO PETRONIO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ROBERTO PINZA;

– ricorrenti incidentali –

contro

ANTELAO SPA, D.L.S., (OMISSIS), COSTRUZIONI EDILI ZUCCHINI

SPA B.M., B.S., UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA,

GENERALI ITALIA SPA (OMISSIS);

– intimati –

Nonchè da:

D.L.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VITTORIO

VENETO N 7C/0 ST BRUNO, presso lo studio dell’avvocato ADRIANA

BOSCAGLI, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO FLORIO;

– ricorrente incidentale –

contro

ANTELAO SPA, in persona dell’amministratore unico Dott. GIAN LUCA

NANNI COSTA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENATO FUCINI

238, presso lo studio dell’avvocato FABIO CUTULI, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati ELENA ZUCCONI GALLI FONSECA,

ADRIANA ZUCCONI GALLI FONSECA;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

(OMISSIS), COSTRUZIONI EDILI ZUCCHINI SPA, B.M.,

B.S., M.M., UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, GENERALI ITALIA

SPA;

– intimati –

Nonchè da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RUGGERO FAURO

43, presso lo studio dell’avvocato UGO PETRONIO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ROBERTO PINZA;

– ricorrente incidentale –

contro

D.L.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2036/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 27/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Antelao S.p.A. ricorre per la cassazione della sentenza n. 2036/2018, della Corte d’Appello di Bologna, articolando dieci motivi, illustrati con memoria.

Resistono con autonomi controricorsi il (OMISSIS), che si avvale della facoltà di depositare memoria, B.M., Generali Italia S.p.a., M.M. che deposita memoria.

Resiste e propone ricorso incidentale d.L.S., basato su un solo motivo. Gli replicano M.M. e Antelao S.p.A., con controricorsi, corredati di memoria.

Il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 2425/2013, riunite le cause promosse dal (OMISSIS) e da d.L.S., condomino, nei confronti Antelao S.p.a. e della Costruzioni edili Zucchini S.p.A. – con la chiamata in causa di B.M., quale direttore dei lavori, da parte della Soc. Antelao, di M.M., quale progettista, da parte di B.M., della UGF Assicurazioni, da parte di M.M., della Toro Assicurazioni, da parte di B.M., e con l’intervento volontario di Bo.St., altro condomino – per ottenere la condanna delle società convenute all’esecuzione dei lavori necessari a porre rimedio ai gravi danni alle parti comuni ed alle proprietà esclusive del complesso residenziale sito in via (OMISSIS), respingeva la domanda nei confronti della società Antelao, ritenendola solo incaricata della vendita degli immobili, costruiti in piena autonomia dalla società Zucchini; di conseguenza, respingeva la domanda verso B.M. e quella di B.M. verso M.M. nonchè le domande verso la Toro Assicurazioni e la UGF.

I seri vizi di costruzione venivano imputati alla società Zucchini, la quale veniva condannata a risarcire per equivalente la somma di Euro 241.305,24, veniva invece rigettata la domanda di risarcimento in forma specifica, perchè ritenuta non indispensabile ed eccessivamente onerosa per l’obbligata. Veniva respinta anche la domanda di deprezzamento formulata da D.L.S., perchè una volta eseguiti, i lavori indicati dal CTU sarebbero stati in grado di porre rimedio a tutti i vizi riscontrati all’interno della sua unità immobiliare.

Seguiva la regolazione delle spese di lite.

Alla Corte d’Appello di Bologna si rivolgeva D.L.S., lamentando l’esclusione della responsabilità della società Antelao, l’assoluzione da ogni responsabilità di B.M. e di M.M., insistendo con la proposizione della domanda di esecuzione in forma specifica, dolendosi del mancato riconoscimento a titolo risarcitorio di Euro 80.972,50 spesi dal Condominio per il rifacimento del lastrico solare, reiterando la richiesta di risarcimento del danno da deprezzamento e quella di risarcimento del danno biologico ed esistenziale, censurando la regolazione delle spese di lite.

La società Antelao contestava il fondamento dell’appello.

La società Zucchini proponeva ricorso incidentale, ribadendo, ai fini che qui interessano, il proprio dietro di legittimazione passiva rispetto alle domande proposte da D.L.S..

B.M. contestava la fondatezza delle domande di D.L.S. e quanto alla richiesta di risarcimento del danno biologico ne eccepiva la tardività, riproponeva l’eccezione di prescrizione/decadenza ex art. 1669 c.c. dell’azione promossa nei suoi confronti dalla società Antelao, insisteva con la domanda di manleva nei confronti della Toro Assicurazioni.

M.M. contestava il fondamento dell’appello ed eccepiva che D.L.S., non avendo proposto domande nei confronti del direttore dei lavori e del progettista delle strutture principali, non poteva dolersi dell’esonero da ogni responsabilità degli altri soggetti corresponsabili, nè dei danni riportati dalle strutture portanti dell’edificio, deduceva l’avvenuto decorso del termine di decadenza/prescrizione, l’insussistenza dei gravi vizi di costruzione ex art. 1669 c.c., l’assenza di ogni sua responsabilità; asseriva, confortato dalla CTU, che la denunciata deformabilità dell’immobile trovava causa nella mancanza di coordinamento dell’attività dei quattro progettisti coinvolti; ribadiva di non avere assunto il ruolo di progettista principale; insisteva con la sua domanda di garanzia nei confronti della UGF.

La Generali Business Solution, mandataria di Generali Italia, già Toro Assicurazioni, chiamata in causa da B.M., ribadiva la eccezione di decadenza e di prescrizione del diritto di d.L.S. e della società Antelao, eccepiva che B.M. non aveva alcun obbligo di garanzia verso la società Antelao.

L’UGF riproponeva le eccezioni e le difese disattese dal giudice di prime cure e, con appello incidentale condizionato, censurava il mancato accertamento della tardività della domanda di risarcimento del danno biologico proposta da D.L.S..

Bo.St. chiedeva che, nel caso di condanna delle società originariamente convenute ad eseguirlo, i necessari interventi di ripristino fossero eseguiti in conformità con quanto stabilito dall’elaborato peritale dell’ing. P.P. o comunque in modo da lasciare inalterato lo stato dei luoghi della sua proprietà esclusiva.

Il (OMISSIS), con autonomo atto di citazione, denunciava l’erroneo esonero da responsabilità della società Antelao, il rigetto della richiesta di risarcimento del danno in forma specifica, il mancato conteggio degli Euro 80.972,24 spesi per il rifacimento del lastrico solare e si doleva della regolazione delle spese di lite.

Si costituivano anche la società Antelao, la società Zucchini, B.M., M.M., le imprese assicuratrici, Bo.St., riproponendo le difese e le eccezioni già formulate nel giudizio di appello proposto da d.L.S..

Le due cause venivano riunite e il giudice d’Appello, con la sentenza qui impugnata, riteneva responsabile anche la società Antelao, perchè il contratto di associazione in partecipazione, intercorso tra la Lombard S.r.l., dante causa della società Antelao, e la società Zucchini, aveva riservato alla società Lombard il diritto di nomina dei tecnici, dei progettisti, del direttore dei lavori, del collaudatore, il diritto di controllo e di verifica sull’operato dell’impresa edile, respingeva la censura di D.L.S. riguardo all’esonero da ogni responsabilità degli altri soggetti chiamati, perchè non aveva mai esteso la domanda nei, confronti di B.M. e di M.M..

Quanto alla domanda di risarcimento del danno in forma specifica, il giudice d’Appello confermava la decisione di prime cure, ma con diversa motivazione, ritenendo oneroso pe le società Antelao e Zucchini gestire una situazione conflittuale condominiale.

Respingeva la domanda di intervento immediato sull’unità abitativa di D.L.S., ma accoglieva la domanda di risarcimento del danno da deprezzamento, essendo i lavori di cui necessitava il suo appartamento superabili solo con l’utilizzo di pareti in cartongesso aventi una fruibilità inferiore e diversa rispetto a quelle in muratura. Tale danno veniva liquidato equitativamente e tenuto conto degli accertamenti eseguiti in Euro 40.000,00. L’accoglimento di tale domanda assorbiva quella di cui all’art. 1492 c.c. proposta da D.L.S. nei confronti della società Antelao.

La domanda di risarcimento dei danni alla persona formulata da D.L.S. veniva invece rigettata perchè non era stato dimostrato il nesso causale con i fatti per cui è causa.

La domanda di rifusione della somma di Euro 80.972,54 spesa dal (OMISSIS) per rifare il lastrico solare veniva accolta, perchè l’unico intervento risolutivo per il riscontrato fenomeno fessurativo veniva ritenuto l’integrale rifacimento della impermeabilizzazione.

La domanda di manleva e di garanzia formulata dalla società Antelao nei confronti della società Zucchini veniva rigettata in ragione della clausola arbitrale contenuta nel contratto di associazione in partecipazione.

L’eccezione di prescrizione/decadenza formulata da Massimo B. veniva accolta, perchè la società Antelao nel costituirsi in giudizio si era limitata a chiedere di essere tenuta indenne dalla società Zucchini e da B.M., che era stato il direttore dei lavori ed il coordinatore di tutti i professionisti. Il titolo fatto valere era dunque la responsabilità di cui all’art. 1669 c.c., la stessa azionata nei loro confronti dagli attori, ma a tale titolo B.M. e M.M. erano stati investiti della domanda dalla società convenuta, mentre non era stata estesa nei loro confronti la domanda formulata dagli attori. Pertanto, la società Antelao non poteva avvalersi dell’art. 1310 c.c. nei confronti di B.M. – norma comunque applicabile in caso di prescrizione e non anche di decadenza – e di conseguenza l’appellata società Antelao veniva considerata decaduta dall’azione proposta nei confronti di B.M., con il correlativo assorbimento della domanda di quest’ultimo nei confronti di M.M..

Seguiva una diversa regolamentazione delle spese di lite rispetto alla decisione di prime cure.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale.

1.Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1669,2043,2697 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza gravata per avere omesso l’esame di fatti decisivi per I giudizio e discussi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3. Con il terzo motivo la ricorrente imputa al giudice a quo la violazione dell’art. 1362 c.c., commi 1 e 2, e dell’art. 1363 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.Le prospettazioni a supporto dei primi tre motivi sono comuni e connesse anche nel ricorso presentato dalla società Antaleo, perciò saranno oggetto di un esame congiunto.

La tesi sostenuta è che l’art. 1669 c.c. non sia stato correttamente applicato nei confronti della società ricorrente, perchè il committente non incorre nella stessa responsabilità dell’appaltatore: a) se ha esercitato un controllo sui lavori edili, designando un sorvegliante privo di poteri di ingerenza; b) se il potere di verifica esercitato, anche mediante il direttore dei lavori, durante la realizzazione dell’edificio e il successivo collaudo, rientra nei normali poteri di verifica e non trasforma l’appaltatore in un mero esecutore di sue direttive; c) se il committente non ha assunto il rischio inerente all’attività di costruzione.

Inoltre, la Corte d’Appello avrebbe dovuto escludere la responsabilità della società Antelao, tenuto conto del contratto di associazione in partecipazione, da cui emergeva che la società Lombard, dante causa della società Antelao, si era riservata il generale controllo e la verifica sull’operato dell’impresa, nominando un tecnico di fiducia con libero accesso al cantiere allo scopo di verificare che le opere venissero realizzate secondo quanto convenuto tra le parti, che non c’era stato un controllo su tutte le fasi della esecuzione delle opere, che la nomina del direttore tecnico dei lavori, B.M., era stata sottoposta all’approvazione della società Zucchini, che la società Zucchini, in ragione del contratto di associazione in partecipazione, aveva un ampio spazio di autonomia, che doveva chiedere alla società Lombard l’assenso solo per modifiche sostanziali, che ciò non era contraddetto dall’accollo da parte della società Antelao del 55% dei costi delle eventuali varianti.

Aveva, invece, senza che nulla emergesse in tal senso dal contratto di associazione in partecipazione, ritenuto che la società Antelao si fosse riservata il diritto di nominare tutti i tecnici, con oneri a suo carico, e che per loro tramite avesse predisposto i progetti dell’opera.

Tutte le circostanze menzionate, secondo la società ricorrente, non essendo ritenute decisive dalla giurisprudenza per dimostrare la qualità di costruttore in capo alla società committente, avrebbero dovuto indurre il giudice a quo a negare la sua responsabilità ex art. 1669 c.c.

In aggiunta, non sarebbe stato tenuto conto del fatto che con il contratto di associazione in partecipazione era stato premesso che l’associazione Lombard non possedeva l’organizzazione imprenditoriale per realizzare l’opus, che era stata scelta allo scopo la società Zucchini, che tutte le garanzie di cui agli artt. 1667, 1668, 1669 era previsto che sarebbero rimaste a carico della società Zucchini, che la società Zucchini avrebbe assunto tutte le decisioni e compiuto tutte le operazioni senza limitazioni al di fuori di quella di non ledere gli interessi dell’associante o di diminuire gli utili dell’iniziativa. Per di più, osserva che proprio la giurisprudenza di legittimità citata dalla Corte d’Appello – sentt. n. 9170/2013 e n. 467/2014 – stabilisce che solo il venditore fornito di specifica competenza tecnica per dare indicazioni costruttive può essere ritenuto responsabile ai sensi dell’art. 1669 c.c.

Ancora: la Corte d’Appello avrebbe mancato di considerare che il diritto dell’associante di nominare il tecnico di fiducia non riguardava affatto i professionisti esecutivi incaricati di eseguire l’opera, e sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, e dell’art. 1363 c.c., perchè si era formato un convincimento erroneo circa il concreto ruolo della società Antelao, sulla base di una interpretazione parziale ed asistematica di talune clausole del contratto di associazione in partecipazione.

Tantomeno il giudice a quo avrebbe tenuto conto della relazione del CTU che aveva ascritto ogni responsabilità al progettista, al direttore dei lavori, all’impresa esecutrice ed all’impresa esecutrice che aveva realizzato i lavori con risorse, mezzi e attrezzature proprie.

I motivi si dimostrano inammissibili.

Ciò che essi sottendono è in tutta evidenza una diversa valutazione delle circostanze esaminate dalla Corte d’Appello al fine di addivenire alla conclusione che la società Antelao non potesse andare esente da responsabilità ai sensi dell’art. 1669 c.c.

E’ pacifico per la giurisprudenza di questa Corte che l’art. 1669 c.c. individua una responsabilità aquiliana “di ordine pubblico, sancita per finalità di interesse generale, che trascende i confini dei rapporti negoziali tra le parti”, invocabile anche dall’acquirente contro il venditore, allorchè questi abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità, abbia assunto nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell’opera. In altri termini, l’art. 1669 c.c., trova applicazione, oltre che nei casi in cui il venditore abbia provveduto alla costruzione con propria gestione di uomini e mezzi, anche nelle ipotesi in cui, pur avendo utilizzato l’opera di soggetti estranei, la costruzione sia, comunque, a lui riferibile in tutto o in parte per avere ad essa partecipato in posizione di autonomia decisionale, mantenendo il potere di coordinare lo svolgimento dell’altrui attività o di impartire direttive o di sorveglianza, sempre che la rovina o i difetti dell’opera siano riconducibili all’attività da lui riservatasi (Cass. 30/05/2007, n. 16202).

Il fatto che sulla ricorrenza di detti presupposti si incentrino le censure della società Antelao non basta a suffragare i motivi di ricorso, giacchè a prescindere dalla loro ammissibilità per le ragioni evidenziate, questa Corte regolatrice ha provveduto a specificare ulteriormente che “chi abbia deciso di far costruire un immobile da destinare alla successiva vendita (intera o frazionata) a terzi, e che per far questo appalti l’opera ad un diverso soggetto (impresa edile) è tenuto alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c.” (Cass. 20/02/2018, n. 4055).

Ciò premesso, nel caso in esame, la normativa richiamata – l’art. 1669 c.c. – ben avrebbe potuto trovare applicazione, essendo pacifico che la società Antelao, venditrice dei beni per cui è causa, era la “committente” dello stabile condominiale e, dunque, in tale posizione, come aveva riconosciuto la Corte d’Appello, aveva mantenuto un potere di controllo e di sorveglianza sull’esecuzione delle opere, per cui aveva conseguito autonomamente i titoli di legittimazione ad edificare.

L’attuale ricorrente lamenta, ripetutamente, che la Corte territoriale abbia omesso di basare il proprio convincimento sulla prova documentale (contratto di associazione in partecipazione) offerta dalla venditrice, comprovante, a suo dire, la propria estraneità al processo edificatorio, fornisce una differente spiegazione del potere di vigilanza e di controllo riservatosi contrattualmente, nega di avere, tramite la nomina del direttore dei lavori e del collaudatore e di altre figure professionali, mantenuto un potere di ingerenza sull’attività edificatoria, ma si tratta di censure, come già anticipato, volte ad ottenere un esito diverso degli accertamenti operati dal giudice a quo. Anche quando contesta l’interpretazione del contratto di associazione in partecipazione offrendone una diversa, evidentemente a sè favorevole, si limita ad un generico richiamo delle norme di ermeneutica contrattuale asseritamente violate, ma senza offrire una convincente dimostrazione dell’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello e soprattutto omettendo di considerare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, quella del giudice di merito non deve essere la migliore delle interpretazioni possibili, nè l’unica.

Infatti, per censurare la Corte territoriale nell’opera tipica del giudice di merito di determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà dei contraenti, possibile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 c.c. e ss., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi, la società ricorrente avrebbe dovuto non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma anche precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne fosse discostato o li avesse applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti ovvero fornendo riscontri concreti dai quali desumere che il criterio ermeneutico utilizzato non fosse intellegibile non già in astratto ma sulla base di emergenze semantiche obiettivamente verificabili (Cass. 14/05/2019, n. 12798).

Tanto la società ricorrente ha omesso di fare, dando dimostrazione che la sua critica ha riguardato solo l’esito del convincimento del giudice, rimandando ad una questione relativa al merito della controversia, sottratta al sindacato di legittimità, giacchè l’interpretazione del contratto e, in base al combinato disposto di cui all’art. 1324 c.c., art. 1362 c.c. e e ss., l’interpretazione degli atti unilaterali sono riservate al giudice del merito. Non solo: l’interpretazione del giudice non deve essere nè l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, come già anticipato (Cass.12/02/2019, n. 3964).

5.Con il quarto motivo la ricorrente rileva la violazione dell’art. 115 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente lamenta la condanna al pagamento di Euro 40.000,00 a favore di D.L.S. a causa del deprezzamento dell’immobile, nonostante il parere contrario del CTU, senza alcun argomento tecnico a sua confutazione e non individuando alcun parametro per la determinazione del danno.

6. Con il quinto motivo la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2696 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4.

Mancando tanto l’impossibilità e/o la difficoltà di quantificare il danno nel suo preciso ammontare quanto la prova della effettiva sussistenza ed entità materiale del danno, il giudice a quo non avrebbe dovuto procedere alla valutazione equitativa. Per di più, al fine di determinare l’an ed il quantum del deprezzamento dell’immobile di D.L.S., il giudice aveva disposto una CTU, la quale aveva concluso che non vi era il danno lamentato.

I motivi quarto e quinto possono essere esaminati congiuntamente, perchè sono strettamente collegati.

Bisogna partire dalla premessa che la CTU aveva individuato i lavori necessari per risolvere in via definitiva i vizi riscontrati nell’unità immobiliare di d.L.S. ed aveva ritenuto risolutivi alcuni interventi volti a sostituire la muratura con pannelli in cartongesso.

La Corte d’Appello, con una motivazione congrua e ragionevole, aveva giudicato, discostandosi, come era suo potere fare, dalle valutazioni del CTU, che il deprezzamento lamentato vi fosse, atteso che le pareti in cartongesso non hanno la stessa funzionalità di quelle in muratura. Si tratta di un accertamento di fatto che non merita censura, giacchè il giudice può disattendere le risultanze di una CTU, con il solo obbligo, qui soddisfatto, di motivare la propria decisione.

Mette conto rilevare, infatti, che, per un verso, la consulenza tecnica d’ufficio è stata correttamente utilizzata con la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti (Cass. 08/02/2011, n. 3130) – è dalla CTU che il giudice di merito ha tratto la conoscenza della tipologia degli interventi da realizzare – per un altro, non va dimenticato che se il giudice è tendenzialmente libero di nominare un consulente tecnico anche per la soluzione di questioni tecniche e specialistiche, potendo altrimenti provvedere sulla scorta delle sue personali conoscenze, a maggior ragione, in quanto peritus peritorum, può disattendere le argomentazioni tecniche svolte dal consulente, non solo se esse gli appaiano contraddittorie, ma anche quando intenda sostituirle con altre argomentazioni tratte dal proprio bagaglio di conoscenza e di esperienza (Cass. 21/12/2017, n. 30733).

Chiarito dunque che il giudice a quo ha ritenuto ricorrente il deprezzamento dell’unità immobiliare di D.L.S., il problema si sposta sul se si sia correttamente avvalso del suo potere di determinazione equitativa del danno. A parere di questo Collegio il giudice a quo non è incorso in alcun errore: ritenuto esistente il danno risarcibile e risultato provato ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno, si è avvalso in concreto del potere di liquidarlo in via equitativa, colmando le lacune inerenti alla sua precisa determinazione. La stima della Corte d’Appello ha tenuto conto, infatti, delle relazioni tecniche e della determinazione cui erano pervenute, ma ha reputato che esse partissero da un dato smentito dalla CTU, cioè che i vizi derivanti dalle infiltrazioni fossero destinate ad incrementarsi inarrestabilmente, ed ha provveduto ad una valutazione del pregiudizio reputata più coerente con l’esito degli accertamenti eseguiti.

7. Con il sesto motivo la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omesso esame di un fatto decisivo discusso tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte d’Appello, pur avendo ritenuto corresponsabile del danno la società ricorrente in solido con la società Zucchini, aveva rigettato la domanda di manleva nei confronti di B.M., perchè quest’ultimo non avrebbe ricevuto la denuncia dei vizi entro un anno dalla loro scoperta. Dai documenti di causa, però, secondo la ricorrente, emergerebbe che B.M. aveva inviato alla odierna ricorrente una lettera datata 12 marzo 2008 in cui prendeva specifica posizione sulla relazione del prof. D., incaricato di eseguire l’accertamento tecnico preventivo, dimostrando la piena conoscenza dei vizi e dichiarando di conoscere la lettera di diffida del 7 febbraio 2008; quindi, aveva conosciuto i vizi dell’immobile in tempo utile per impedire la decadenza e la prescrizione, essendo l’azione stata esercitata con chiamata in causa del 19 gennaio 2009, mentre la denuncia dei vizi era avvenuta, come affermato in sentenza, nei dieci anni dalla costruzione, in quanto il collaudo era avvenuto il 16 aprile 1998.

Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, va, al riguardo, ricordato che il vizio motivazionale rilevante, secondo l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è quello di “omesso esame circa un fatto decisivo”, che presuppone la totale pretermissione nell’ambito della motivazione di uno specifico fatto storico, principale o secondario.

Sicchè tale vizio non sussiste quando, in luogo delle carenze previste, la sentenza impugnata faccia emergere mere difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti agli elementi delibati dal giudicante di merito, risolvendosi altrimenti i motivi di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.

Ebbene, sulla scorta di tali premesse, va notato che con il motivo in esame, lungi dal far valere vizi della motivazione, la ricorrente si limita a dedurre che la lettera datata 12 marzo 2008 proveniente da B.M. non sarebbe stata valutata al fine di far emergere il non essersi verificata la dedotta decadenza, invocando così un riesame sul fatto, come detto inesigibile; non solo: non risulta dimostrato che sul fatto asseritamente omesso vi sia stata discussione tra le parti.

Per di più va rilevato che la lettera in questione non presenta carattere di decisività.

Va rilevato, infatti, che la ricorrente dà per scontato che la gravità dei vizi lamentati dal (OMISSIS) sia emersa con l’accertamento tecnico preentivo, la cui relazione fu depositata il 14 settembre 2007. Ciò ha implicato, nella prospettiva della ricorrente, uno spostamento in avanti della decorrenza dei termini di decadenza e di prescrizione. Infatti, la lettera con cui B.M. aveva contestato le risultanze dell’accertamento tecnico preventivo effettuato dal prof. D., che dimostrerebbe che egli aveva conosciuto i vizi del complesso condominiale, costituisce la conferma che tutta l’argomentazione difensiva della ricorrente si basa sul fatto che l’accertamento tecnico preventivo rappresenti una denuncia dei vizi (p. 35 del ricorso).

Il che non è pacificamente emerso dagli atti di causa, sebbene non sia escluso dalla giurisprudenza di questa Corte che il termine di decadenza per la denuncia dei vizi, cominciando a decorrere solo dal giorno in cui il committente abbia conseguito un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dalla imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficienti manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti, possa richiedere un accertamento tecnico preventivo allo scopo di rivelare con certezza la causa ed esatta entità del fenomeno (Cass. 31/05/2011, n. 12030).

E’ pacifico, tuttavia, che B.M. non partecipò nè fu invitato a partecipare all’accertamento tecnico preventivo; ne ebbe però successiva conoscenza aliunde. L’interrogativo è se tale conoscenza abbia integrato la natura e le funzioni della “denunzia” richiesta dall’art. 1669 c.c.. Essa, infatti, costituisce una dichiarazione a recezione necessaria (art. 1334 c.c., in combinato disposto con il successivo art. 1335 c.c., da cui si evince che la dichiarazione, oltre che pervenire a conoscenza anche presunta del destinatario, deve essere “diretta” a tale persona “determinata” per “produ(rre) effetto”), in funzione della sua attitudine a influire sulla sfera giuridica del destinatario, che si troverà esposto a pretese che, altrimenti, sarebbero state precluse da decadenza.

La natura recettizia della comunicazione che impone il suo pervenimento al destinatario è tale da non poter ritenere sufficiente la eventuale conoscenza aliunde da parte del destinatario del contenuto dichiarativo per la produzione dell’effetto giuridico, perchè implicherebbe la equiparazione della recettizietà degli atti unilaterali ad un mero meccanismo a finalità informativa.

Il problema è stato già affrontato dalla giurisprudenza di questa Corte anche sotto il profilo dell’art. 2966 c.c., disciplinante il c.d. riconoscimento impeditivo della decadenza, diverso da quello interruttivo della prescrizione ex art. 2944 c.c., che mutua sostanzialmente da tale ultima norma la formula per cui il riconoscimento medesimo deve essere, per i diritti disponibili, “proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto”. In relazione a ciò, pare doversi desumere dall’art. 2966 c.c., che, se il riconoscimento deve – su un capo, quello passivo, della relazione giuridica interessata dalla decadenza – essere “proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto”, sul capo attivo del rapporto contrattuale anche il “compimento dell’atto previsto dalla legge o dal contratto”, soggetto a decadenza, debba provenire, quanto meno sulla base di mandato di disposizione di legge, dal soggetto che può “far valere il diritto” (Cass. 08/10/2018, n. 24717).

Deve concludersi, dunque, per l’assenza di decisività dell’esame della lettera di bi.Ma., dalla quale avrebbe potuto dedursi solo l’avvenuta conoscenza aliunde dell’accertamento tecnico preventivo, ma non altro.

8. Con il settimo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1299 c.c. e art. 2055 c.c., comma 2, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il giudice a quo non si sarebbe posto il problema del se all’azione di regresso fra condebitori solidali di un illecito extracontrattuale si applichino le regole dettate dall’art. 1669 c.c. valevoli per il debitore solidale.

La Corte di seconde cure avrebbe dovuto ritenere che il pagamento dell’intero da parte del condebitore solidale avesse estinto l’obbligazione solidale e determinato la nascita di un rapporto giuridico tra i condebitori avente ad oggetto l’azione di regresso. Invece, aveva ritenuto che il debitore, per evitare il rigetto della domanda di manleva, avrebbe dovuto denunciare i vizi entro il termine di decadenza valevole per il creditore principale, piuttosto che disapplicare la decadenza ex art. 1669 c.c. nei rapporti interni tra i debitori.

Il motivo è infondato.

La ricorrere non tiene conto, infatti, che la società Antelao, convenuta, aveva indicato come responsabile da cui essere manievata B.M., ma non c’era stata da parte degli attori la richiesta di condanna in proprio favore di quest’ultimo, abbandonando la domanda originaria nei confronti della convenuta o estendendola verso B.M.. Pertanto, correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto che il titolo vantato nei confronti di B.M. fosse l’art. 1669 c.c. e senza meritare le censure formulate dalla ricorrente ha escluso la domanda di manleva nei suoi confronti, per intervenuta decadenza e prescrizione. La soluzione è correttamente motivata anche con riferimento al difetto di domande di accertamento della responsabilità professionale, ex art. 2236 c.c., di B.M..

9.Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1310 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo la ricorrente il giudice a quo avrebbe dovuto tenere conto del favor di cui l’art. 1310 c.c. costituisce espressione e accordarlo al creditore in merito alle vicende inerenti l’attuazione del diritto di credito, non regolate espressamente dalla norma.

Si tratta di una censura destituita di fondamento, perchè, come già rilevato, B.M. non era stato chiamato a rispondere dei danni in via solidale con le società convenute, ma era stato chiamato in garanzia dalla società Antelao. In maniera giuridicamente ineccepibile, dunque, la Corte d’Appello aveva ritenuto inapplicabile l’art. 1310 c.c. che, peraltro, ove fosse stata in linea di principio invocabile, avrebbe riguardato l’eccezione di prescrizione e non anche quella di decadenza.

10. Con il nono motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 183 e 345 c.p.c. nonchè dell’art. 2969 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Secondo la ricorrente, B.M. si sarebbe avvalso tempestivamente solo della eccezione di prescrizione ex art. 1669 c.c.: riferimenti all’eccezione di decadenza sarebbero contenuti solo nella memoria ex art. 183 c.p.c., n. 1 nella memoria art. 183 c.p.c., n. 2 egli avrebbe insistito sull’eccezione di prescrizione, sia pure confondendola con quella di decadenza. In appello B.M. aveva riproposto l’eccezione con la stessa confusione rilevata in prime cure. Di conseguenza, ad avviso della ricorrente, il giudice a quo avrebbe dovuto d’ufficio rilevare la preclusione relativa alle eccezioni proposte dopo la comparsa di risposta che non fossero, come in questo caso, conseguenza delle difese avversarie, anche a prescindere dalla posizione assunta in merito dalla controparte che aveva sempre fondato la propria difesa sulla questione della prescrizione.

Si tratta di una censura inammissibile, perchè al giudice a quo spettava il potere di interpretare e qualificare non solo il contenuto della domanda, ma anche quello della relativa eccezione, senza essere vincolato dalla qualificazione dell’eccipiente e/o dal tenore letterale delle espressioni utilizzate. L’unico limite era quello di non allargare il thema decidendum o introdurre in giudizio una eccezione in senso stretto.

11. Con il decimo ed ultimo motivo di ricorso la società Antelao lamenta la violazione dell’art. 81 c.p.c. e la nullità del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 nonchè la violazione dell’art. 2697 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Per la ricorrente, il (OMISSIS), che aveva agito a tutela dei danni da infiltrazione subiti da singole unità immobiliare, quindi facendo valere un diritto altrui, avrebbe dovuto dimostrare di essere titolare del diritto fatto valere ai sensi della pronuncia a Sezioni Unite n. 2951/2016; non solo: la società Zucchini ne aveva contestato la titolarità con la memoria ex art. 183 c.p.c., n. 2 perciò la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto la titolarità del condominio non contestabile, non avendolo fatto la società Antelao e la società Zucchini con i rispettivi atti di appello.

Il motivo è infondato.

In tema di condominio, l’art. 1130 c.c., n. 4, che attribuisce all’amministratore il potere di compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, deve interpretarsi estensivamente nel senso che, oltre agli atti conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa o a quella parte comune, l’amministratore ha il potere – dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente considerato; pertanto, rientra nel novero degli atti conservativi di cui all’art. 1130 c.c., n. 4 l’azione di cui all’art. 1669 c.c. intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi riguardino l’intero edificio condominiale e i singoli appartamenti, vertendosi in una ipotesi di causa comune di danno che abilita alternativamente l’amministratore del condominio e i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto (Cass. 31/01/2018, n. 2436).

Le società convenute avrebbero dovuto, al fine di contestare la legittimazione del condominio, visto che si trattava di danni da infiltrazioni che avevano coinvolto il lastrico solare, quindi una parte del complesso condominiale che si presume di proprietà comune – il lastrico solare, come del resto le terrazze a livello, anche nell’ipotesi in cui vengano sfruttate esclusivamente da un determinato soggetto, conservano la funzione prioritaria di copertura dell’intero edificio – vincere la presunzione di comunione, offrendo la prova che il danno lamentato avesse riguardato singole unità immobiliari o, cosa impossibile nel caso di specie, che il danno da infiltrazione anzichè da un problema di impermeabilizzazione derivasse da un cattivo utilizzo del lastrico o una cattiva manutenzione del lastrico, che, in quanto tale, sarebbe imputabile esclusivamente al suo proprietario o ai singoli proprietari.

Ricorso incidentale di D.L.S..

12. Con un unico motivo D.L.S. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,114,115 e 116 c.p.c. e dell’art. 1226 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Il rimprovero mosso alla sentenza gravata è quello di avere determinato il danno da deprezzamento senza disporre una rinnovazione e/o un supplemento della CTU; pertanto, la Corte d’Appello avrebbe violato i precetti di cui all’art. 112 c.p.c., non avendo pronunciato secondo le richieste, non essendovi stata corrispondenza tra la domanda di danno da deprezzamento e la sua quantificazione; sarebbero stati violati anche l’art. 113 e l’art. 114 c.p.c. nonchè l’art. 1226 c.c., per aver pronunciato secondo equità in assenza dei presupposti di legge e senza dar luogo a CTU, comprimendo le sue facoltà difensive.

Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale ha motivato l’iter logico seguito per addivenire alla liquidazione equitativa del danno e le pur articolate censure di D.L.S. non sono affatto idonee a scalfirle.

Buona parte del suo costrutto argomentativo si fonda sulla decisione del giudice di non ricorrere nè ad una rinnovazione nè ad un supplemento della CTU, suffragato da taluni passaggi delle relazioni peritali addotte a supporto della domanda, del tutto inidonee a incrinare la correttezza del decisum, perchè non mettono affatto in evidenza in che termini il giudice a quo sarebbe incorso nelle violazioni denunciate in epigrafe.

Basta ricordare che: a) la nomina del CTU rientra nel potere discrezionale del giudice di merito (Cass. 13/10/2015, n. 20496); b) il giudice può nominare un CTU anche senza alcuna richiesta delle parti (Cass. 21/04/2010, n. 9461); c) la richiesta formulata dalla parte di nomina di un CTU non costituisce una richiesta istruttoria in senso tecnico, ma una mera sollecitazione rivolta al giudice perchè questi, avvalendosi dei suoi poteri discrezionali, provveda al riguardo (Cass. 21/04/2010, n. 9461); d) la CTU non può essere utilizzata al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. 15/12/2017, n. 30218); è quanto è avvenuto nel caso di specie, giacchè la Corte d’Appello ha ritenuto che la CTU richiesta avesse carattere meramente esplorativo.

13. Ne consegue che il ricorso principale deve essere rigettato e che quello incidentale deve essere considerato inammissibile.

14. Le spese di lite sono compensate tra la ricorrente principale e quella incidentale.

15. La ricorrente principale va condannata al pagamento delle spese spese di lite, nella misura indicata in dispositivo, a favore di tutti gli altri controricorrenti.

16. Il ricorrente incidentale va condannato al pagamento delle spese di lite nei confronti di M.M. nella misura indicata in dispositivo.

17. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico del ricorrente principale e di quello incidentale l’obbligò di pagamento del doppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale.

Compensa tra le spese di lite tra il ricorrente principale e quello incidentale.

Condanna la ricorrente principale pagamento delle spese in favore di tutti i controricorrenti, liquidandole in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge nei confronti del (OMISSIS) e di M., in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge nei confronti di B.M. e di Generali Italia.

Condanna il ricorrente incidentale al pagamento delle spese in favore di M.M., liquidandole in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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