Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5093 del 02/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 02/03/2011, (ud. 02/02/2011, dep. 02/03/2011), n.5093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12973/2007 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GRAMSCI

20, presso lo studio dell’avvocato PERONE Giancarlo, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.N.F.E. – ASSOCIAZIONE NAZIONALE FAMIGLIE EMIGRATI, in persona del

legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato RANERI Vittorio, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1040/2006 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 12/10/2006 R.G.N. 1765/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

02/02/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato PERONE GIANCARLO;

udito l’Avvocato AMATO FAUSTO MARIA per delega RANERI VITTORIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso consegnato in data 21 aprile 2007 per la notifica all’ufficiale giudiziario e da questi avviato alla notifica a mezzo posta il successivo 23 aprile, quindi depositato presso questa Corte il 12 maggio 2007, G.S. chiede, con tre motivi, la cassazione della sentenza pubblicata il 12 ottobre 2006 e notificata il 22 febbraio 2007, con la quale la Corte d’appello di Palermo aveva confermato la decisione di primo grado, di rigetto delle sue domande di annullamento del licenziamento disciplinare per giusta causa intimatogli dalla datrice di lavoro A.N.F.E. (Associazione Nazionale Famiglie Emigrati) con lettera raccomandata spedita il 27 novembre 2001 e da lui ricevuta il successivo 30 novembre.

I motivi riguardano le seguenti censure:

1 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 49, commi 6 e 7 del C.C.N.L. applicabile al rapporto, L. n. 300 del 1970, art. 7, artt. 1334, 1335 e 2118 cod. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto, con riguardo al caso di specie, che la comunicazione del provvedimento disciplinare nel termine massimo di cinque giorni dal termine assegnato per le giustificazioni da parte dell’incolpato, cui la norma collettiva subordina l’efficacia della sanzione, si realizzi con la consegna dell’atto da comunicare all’ufficio postale per la spedizione anzichè con la conclusione del procedimento di comunicazione secondo le regole generali stabilite per gli atti di natura ricettizia;

2 – l’omessa pronuncia da parte della Corte d’appello in ordine alla deduzione svolta in ambedue i gradi del giudizio di merito, di difetto di specifica motivazione, come sarebbe richiesto dall’art. 49, comma 6 del C.C.N.L., del provvedimento disciplinare di licenziamento;

3 – motivazione insufficiente circa un fatto controverso e decisivo.

La contestazione disciplinare riguardava il fatto che ripetutamele e sotto apparente e strumentale forma di richiesta di chiarimenti ad organi superiori rispetto al delegato regionale dell’ANFE per la Sicilia sig. Ge. e a terzi del tutto estranei, il ricorrente avrebbe “nella sostanza apertamente disconosciuto il ruolo e la funzione del delegato regionale”, suo datore di lavoro, in quanto organo rappresentativo dell’Associazione a livello regionale.

La Corte territoriale aveva effettivamente ritenuto meramente provocatorie e altamente lesive del vincolo fiduciario le iniziative del ricorrente di disconoscimento reiterato del ruolo del suo superiore diretto, inutilmente coinvolgenti anche istituzioni esterne, come l’assessorato regionale del lavoro, i direttori dell’UPLMO e dell’URLMO, la Procura presso la Corte dei conti e la Procura della Repubblica.

Il ragionamento della Corte sarebbe peraltro viziato laddove fa discendere da una mera richiesta di chiarimenti, anche a soggetti esterni, da parte del dipendente, in ordine ai propri poteri rispetto al delegato regionale, la lesione del vincolo fiduciario, quando semmai era a lui imputabile un mero errore circa tali poteri alla luce del regolamento. Difetterebbe all’evidenza la proporzionalità della reazione all’errore del G. e il non averlo rilevato vizierebbe sul piano logico la motivazione della sentenza, che non terrebbe conto del profilo soggettivo (l’errore sarebbe stato del resto obiettivamente scusabile, come emergerebbe anche dalla incertezza in giudizio relativamente alla legittimazione passiva in capo all’ente nazionale o alla sua delegazione regionale).

L’Associazione intimata resiste con rituale controricorso, col quale deduce l’improcedibilità del ricorso, in quanto depositato il 12.5.2007, 21 giorni dopo la consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario. Nel merito e in via subordinata, la resistente sostiene l’infondatezza del primo motivo; la nullità per genericità del motivo di appello di cui col secondo motivo di ricorso viene lamentata l’omessa pronuncia; l’infondatezza del terzo.

G.S. ha infine depositato una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – La deduzione di improcedibilità del ricorso per cassazione per tardività nel deposito dello stesso (avvenuto il 12 maggio 2007) è infondata, in quanto assume erroneamente come dies a qua per il calcolo dei venti giorni entro i quali tale deposito deve essere effettuato, a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 1, quello di consegna dell’atto, per la notifica a mezzo posta, all’ufficiale giudiziario da parte del soggetto notificante (nel caso in esame avvenuto il 21 aprile 2007) anzichè quello della relativa recezione da parte del destinatario (avvenuto il 23 aprile 2007), in contrasto con la costante giurisprudenza di questa Corte, anche a sezioni unite (Cass. S.U. 13 gennaio 2005 n. 458), secondo la quale la regola della diversa considerazione della situazione del notificante e di quella del destinatario, quanto al momento in cui si intende eseguita la notifica degli atti giudiziari, non trova applicazione in materia di deposito del ricorso per cassazione, il cui termine decorre dalla effettiva notificazione del ricorso all’intimato (cfr., ad es. le sentt. nn. 14742/07 e 27596/06).

Alla stregua della regola indicata, nel caso di specie tale termine è stato rispettato, in quanto il deposito del ricorso è avvenuto il diciannovesimo giorno successivo all’avvenuta notifica dello stesso.

2 – Il ricorso è peraltro infondato.

2a – Quanto al primo motivo, esso investe l’interpretazione della norma del C.C.N.L. per la formazione professionale (relativo al periodo 1 gennaio 1994-31 dicembre 1997), secondo i parametri di cui all’art. 1362 c.p.c., e segg., la quale, nella nuova funzione nomofilattica attribuita a questa Corte dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nel testo successivo all’intervento di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (cfr., in proposito, recentemente Cass. S.U. 23 settembre 2010 n. 20075), è oggetto di diretto controllo da parte del giudice di legittimità.

Trattasi dell’art. 49 del C.C.N.L. che, per quanto qui interessa (commi da 5 a 7), così stabilisce.

“Salvo che per il richiamo verbale, la contestazione degli addebiti sarà fatta mediante comunicazione scritta nella quale verrà indicato il termine entro cui il lavoratore dipendente dovrei far pervenire le proprie giustificazioni. Tale termine non potrà in ogni caso essere inferiore a dieci giorni.

Il dipendente potrà farsi assistere dall’organizzazione sindacale cui a-derisce o conferisce mandato. Il provvedimento disciplinare dovrà essere comunicato con lettera raccomandata entro cinque giorni dal termine assegnato al dipendente per presentare le sue giustificazioni. Tale comunicazione dovrà specificare i motivi del provvedimento. Trascorsi cinque giorni dal ricevimento della comunicazione scritta senza che sia stato adottato alcun provvedimento, le giustificazioni presentate dal dipendente si intendono accolte.

I provvedimenti disciplinari, ivi compreso il licenziamento per giusta causa, comminati senza l’osservanza delle disposizioni di cui ai commi precedenti sono inefficaci”.

In proposito, devesi dare atto che la Corte territoriale ha correttamente applicato i canoni legali di ermeneutica contrattuale, valorizzando il criterio di interpretazione letterale (art. 1362 c.c., comma 1) applicato all’intero testo contrattuale collettivo (art. 1363 c.c.), alla ricerca della comune intenzione delle parti collettive, tenuto conto del tipo di composizione di interessi da esse perseguito.

In tale ottica, i giudici di appello hanno anzitutto rilevato l’uso improprio di alcune espressioni da parte dei contraenti collettivi, in particolare quanto all’espressione “comunicazione”, sovente usata nel significato proprio di atto da comunicare o con riguardo alla fase iniziale del relativo procedimento di comunicazione (la consegna della raccomandata all’ufficio postale).

Del resto, si rileva che in altre parti il testo dell’articolo in esame, come altri del medesimo contratto collettivo, presenta una formulazione letterale non sempre chiara e uniforme e non sempre appropriata.

Così avviene, ad es., nella parte in cui i cinque giorni utili per la “comunicazione” della sanzione sono fatti decorrere “dal termine assegnato al dipendente per presentare le sua giustificazione”, mentre subito dopo sembra che tale termine decorra dal ricevimento della comunicazione scritta delle giustificazioni e che la sua inosservanza determini l’accoglimento di tali giustificazioni (che quindi dovrebbero essere state formulate per iscritto, ai fini indicati), mentre poi nel settimo comma ogni inosservanza delle disposizioni citate e quindi anche la comunicazione oltre i cinque giorni dal termine assegnato per le giustificazioni (anche se queste non siano state rese) rende inefficaci i provvedimenti disciplinari.

La Corte ha risolto implicitamente l’apparente contraddizione del testo contrattuale nel senso che i cinque giorni, il cui mancato rispetto rende inefficace la sanzione, decorrono alternativamente dalla presentazione delle giustificazioni o (come nel caso di specie) dal termine per esse assegnato, ma ha posto correttamente in evidenza la possibile improprietà nell’uso dell’espressione “comunicazione”, che dovrebbe inglobare la fase del ricevimento dell’atto da comunicare, mentre nel primo dei casi indicati – presentazione per iscritto delle giustificazioni – è il “ricevimento della comunicazione” da parte del destinatario che fa decorrere il termine in questione.

Inoltre, anche laddove il comma 6 dell’articolo in esame stabilisce che “la comunicazione dovrà specificare i motivi del provvedimento” è evidente – e anche la Corte territoriale lo rileva – che l’espressione è usata nel significato di atto da comunicare e non di procedimento di comunicazione e quindi in maniera impropria.

A sostegno della interpretazione dell’espressione “comunicato con lettera raccomandata entro cinque giorni” – usata nel testo della norma contrattuale in esame – come riferita alla formazione del provvedimento sanzionatorio e alla successiva fase di distacco dello stesso dall’ambito di controllo del suo autore (e quindi, come nel caso in esame, riferita alla consegna dell’atto all’ufficio postale per la spedizione), la Corte territoriale ha correttamente evidenziato lo scopo perseguito dai contraenti collettivi con la clausola contrattuale, rappresentato dal necessario contemperamento delle esigenze della certezza e della immediatezza del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare da un lato e della necessaria ponderazione dello stesso dall’altro, equilibrio che l’interpretazione strettamente letterale della sola espressione “comunicazione” sostenuta dal ricorrente rischierebbe di compromettere a svantaggio della ponderatezza e con scarso o nessun vantaggio per l’immediatezza.

Il complesso di considerazioni svolte dalla Corte territoriale appare a questa Corte sostenere adeguatamente la corretta interpretazione della norma contrattuale in esame, a preferenza di quella indicata dalla ricorrente, pure coerente col tenore letterale della espressione, ma presso in considerazione unicamente nell’isolato contesto relativo all’ultima fase del procedimento disciplinare.

Concludendo, deve pertanto affermarsi che “l’art. 49 del C.C.N.L. per la formazione professionale, relativo al periodo 1 gennaio 1994-31 dicembre 1997, laddove stabilisce che “il provvedimento disciplinare dovrà essere comunicato con lettera raccomandata entro cinque giorni dal termine assegnato al dipendente per presentare le sue giustificazioni, si interpreta nel senso che esso fa riferimento, quanto alla scadenza dei cinque giorni, al momento della consegna della lettera raccomandata all’ufficio postale per la spedizione al destinatario”.

Per di più questa interpretazione si attiene a Cass. S.U. 14 aprile 2010 n. 8830. che, in materia di decadenza, connette l’impedimento alla spedizione e non anche alla ricezione dell’atto.

2b – Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto la Corte d’appello non aveva il dovere di rispondere alla relativa censura, evidentemente ritenuta generica in quanto meramente reiterativa in appello (secondo quanto risulta dallo stesso ricorso e sottolineato nel controricorso) di quella di difetto di motivazione svolta in primo grado con riguardo al testo contrattuale, senza peraltro la formulazione di specifici rilievi in ordine alla decisione assunta in proposito dal Tribunale, che aveva motivato nel senso della sufficienza, in caso di licenziamento disciplinare e secondo la giurisprudenza di questa Corte, di una motivazione del provvedimento fondata sul mero richiamo alla necessariamente specifica precedente contestazione, ritenendo in linea con tale orientamento il significato della clausola contrattuale.

2c – Infine è infondato il terzo motivo di ricorso, che investe la valutazione di congruità della sanzione rispetto alla condotta contestata, che sarebbe sostanzialmente consistita in una mera richiesta di informazioni (sia pure insistente, reiterata ed estesa anche ad enti esterni) in ordine ai poteri del ricorrente rispetto al delegato regionale dell’Associazione.

Le censure non incidono infatti sull’iter logico seguito dalla Corte territoriale, la quale, nella valutazione che compete ai giudici di merito delle risultanze istruttorie, ha ben compreso il contenuto delle richieste a suo tempo formulate dal G., originate da un iniziale contestazione proveniente dal delegato regionale relativamente all’autoattribuzione da parte del G. di un periodo di ferie nonchè da una successiva richiesta del medesimo delegato di chiarimenti in ordine a rimostranze ricevute da allievi dei corsi diretti dal G., ma ha ritenuto che le conseguenti rivendicazioni di autonomia di quest’ultimo, per i modi in cui erano state formulate, per la reiterazione delle stesse nonostante i chiarimenti espressi in numerose circolari dell’Associazione e per l’inutile reiterato coinvolgimento di istituzioni esterne, esulassero da una normale, anche accesa, dialettica tra organi e funzioni dell’associazione, trasmodando in iniziative inutilmente provocatorie, ingiustificatamente reiterate nel tempo e gravemente lesive del vincolo fiduciario.

Una tale valutazione, correttamente condotta su di un piano logico- giuridico in stretta aderenza al materiale probatorio acquisito, viene contestata dai ricorrente col sovrapporre in realtà ad essa una valutazione tutt’affatto diversa della medesima vicenda, chiedendo in tal modo a questa Corte un nuovo giudizio di merito in ordine ad essa, come non appare consentito in questa sede di legittimità.

3 – In base alle considerazioni svolte, il ricorso va pertanto respinto, con la conseguente condanna del ricorrente a rimborsare all’Associazione resistente le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare all’Associazione le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 26,00 per esborsi ed Euro 2.500,00, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A., per onorari.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2011

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