Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5092 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. III, 25/02/2020, (ud. 18/11/2019, dep. 25/02/2020), n.5092

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25197/2018 proposto da:

C.A., W.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

SAN TOMMASO D’AQUINO 18, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO

FIORENTINO, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONINO DI

MARTINO;

– ricorrenti –

contro

C.R.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.P.

DE’ CALBOLI, 60, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

D’APOLLONIO, rappresentato e difeso dall’avvocato AUGUSTO NUZZI;

– controricorrente –

e contro

CONDOMINIO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 957/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/11/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Fatto

RILEVATO

che:

C.F.S., proprietario di un appartamento posto al sesto piano dell’immobile di (OMISSIS), convenne in giudizio W.S. e C.A. (proprietari del terrazzo di copertura sovrastante) e il Condominio per sentirne accertare la responsabilità in relazione ad infiltrazioni che avevano danneggiato la sua proprietà e per sentirli condannare -rispettivamente – a consentire e ad eseguire i necessari interventi di ripristino dell’impermeabilizzazione, nonchè per conseguire dal Condominio il risarcimento dei danni;

in corso di causa, l’attore propose ricorso ex art. 700 c.p.c., per sentir ordinare l’immediata esecuzione degli interventi necessari per eliminare le infiltrazioni;

il Tribunale di Napoli pronunciò sentenza con cui condannò i convenuti all’esecuzione delle opere di impermeabilizzazione indicate dal c.t.u. – che prevedevano la rimozione delle sovrastrutture in cemento (massetto, fioriere e panchine) realizzate dal W. e dalla C. – e dispose la condanna del Condominio al risarcimento dei danni;

provvedendo sui distinti gravami proposti dal W. e dal Condominio, la Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado, osservando – fra l’altro – che:

“il contrasto tra le parti riguarda essenzialmente la necessità o meno della demolizione delle sovrastrutture architettoniche realizzate sul terrazzo – di proprietà esclusiva dei coniugi W.S. e C.A. – soprastante l’appartamento di C.F.S., demolizione indicata come necessaria dal ctu del Tribunale (…) e condivisa dal giudice di prime cure”;

prendendo posizione sulle contestazioni mosse dal W., il c.t.u. “ha escluso la possibilità di impermeabilizzare le sovrastrutture in parola, ritenendo che queste non presentino le debite condizioni idonee alla corretta posa in opera di una guaina impermeabile, neppure del tipo cosiddetto liquido, che non darebbe adeguata garanzia di efficienza e di durata”;

la circostanza che – medio tempore – “il condominio abbia deliberato di procedere alla impermeabilizzazione del terrazzo non già secondo la soluzione prospettata dal ctu e condivisa dal Tribunale ma secondo quella indicata dal W. (…) è circostanza assolutamente ininfluente nel presente giudizio e la cui considerazione è comunque preclusa dal divieto dei nova”;

atteso che, tanto con l’atto di citazione introduttivo del giudizio che col ricorso cautelare, il C. aveva chiesto l’esecuzione immediata delle opere di impermeabilizzazione necessarie ad eliminare le cause delle lamentate infiltrazioni, era “incensurabile (…) l’uso nel giudizio di merito della ctu disposta in sede cautelare e così pure l’omessa decisione sull’istanza cautelare, assorbita – come ha evidenziato il Tribunale – dalla sentenza di merito”;

era altresì infondata la deduzione, da parte del W., della violazione del diritto di proprietà, in quanto la demolizione degli arredi in muratura indicata dal c.t.u. e disposta dal Tribunale era finalizzata alla completa impermeabilizzazione e non ne precludeva il ripristino;

hanno proposto ricorso per cassazione W.S. e C.A., affidandosi a nove motivi illustrati da memoria; ha resistito C.F.S., a mezzo di controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo, i ricorrenti denunciano “error in procedendo” per violazione dell’art. 100 c.p.c. e art. 115 c.p.c., comma 2, censurando la Corte per aver ritenuto irrilevante la circostanza che, in corso di giudizio, i ricorrenti e il Condominio avessero eseguito interventi di impermeabilizzazione che erano risultati idonei ad eliminare definitivamente le cause delle infiltrazioni, così determinando la cessazione della materia del contendere;

il motivo è infondato: la circostanza che siano stati effettuati interventi diversi da quelli individuati dal c.t.u. e disposti dal Tribunale non è idonea a determinare la cessazione della materia del contendere in difetto dell’accertamento della loro idoneità a risolvere definitivamente il problema delle infiltrazioni (idoneità esclusa, per l’appunto, dal Tribunale e dalla Corte di Appello con argomentato richiamo alla c.t.u. e ai supplementi di consulenza che, esaminata la soluzione alternativa proposta dal W., hanno ritenuto necessaria la previa rimozione degli arredi in cemento);

il secondo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e del divieto dei “nova” in appello” e censura la sentenza impugnata “nella parte in cui ha ritenuto che la circostanza della esecuzione in corso di causa dei lavori di eliminazione delle cause delle infiltrazioni (…) non potesse essere oggetto di considerazione in quanto “preclusa dal divieto dei nova”: i ricorrenti assumono che il “divieto di allegazioni oltre i termini di preclusione previsti dal codice di rito non colpisce i fatti sopravvenuti che, se ed in quanto rilevanti ai fini del decidere, possono sempre essere acquisiti al processo”;

il motivo è infondato giacchè il fatto sopravvenuto di cui i ricorrenti lamentano la mancata considerazione non attiene ad una modifica della situazione originaria del terrazzo prodottasi per cause indipendenti dall’attività delle parti (il che avrebbe comportato la necessità di adeguare l’accertamento giudiziale e la decisione alla nuova condizione della cosa), ma è consistita nel compimento – da parte degli odierni ricorrenti e del condominio – di opere difformi da quelle disposte dal Tribunale e di cui era stata espressamente esclusa l’idoneità ad eliminare stabilmente le infiltrazioni, rispetto alle quali la Corte non era pertanto tenuta a compiere ulteriori verifiche;

col terzo motivo, viene denunciata la “violazione dei principi enucleabili dall’art. 2931 c.c. e art. 612 c.p.c.” e del “principio “nemo ad ad factum praecise cogi potest””, sostenendosi che la condanna ad un facere esaurisce il suo contenuto decisionale nella indicazione di un risultato che il soccombente è tenuto a realizzare, mentre le modalità di esecuzione costituiscono “un elemento accidentale della pronuncia che non preclude che il risultato stesso sia raggiunto secondo altre modalità”;

il motivo è infondato: premesso che il giudizio aveva ad oggetto proprio la determinazione degli interventi necessari per eliminare le infiltrazioni, la Corte (e prima ancora il Tribunale) ha correttamente individuato tali modalità, alle quali gli obbligati avrebbero dovuto pertanto attenersi, senza possibilità di perseguire il “risultato” mediante modalità espressamente ritenute inidonee;

col quarto motivo (che denuncia error in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 329 c.p.c., comma 2), i ricorrenti, premesso che il Tribunale e la Corte di Appello hanno basato la decisione su una c.t.u. espletata nel corso del procedimento ex art. 700 c.p.c., promosso in corso di causa ed avente ad oggetto la idoneità strutturale del solaio del terrazzo, rilevano che l’attore non aveva proposto appello incidentale avverso il capo della sentenza di primo grado che aveva escluso dal tema decisionale le questioni relative alla statica e lamentano che la Corte di Appello, “in conclamata violazione del giudicato formatosi in punto di delimitazione del thema decidendum, stabiliva che la questione della staticità del solaio doveva ritenersi inclusa nel tema decisionale in quanto ab initio dedotta in citazione”;

il motivo è infondato, in quanto la Corte non ha affatto esteso l’oggetto del giudizio al tema della tenuta statica del solaio, avendo -al contrario- sottolineato che il C. si era sempre limitato a chiedere l’esecuzione delle opere di impermeabilizzazione ed avendo comunque statuito esclusivamente sulla questione delle infiltrazioni;

col quinto motivo, viene dedotta la violazione degli artt. 115,116,175,188 e 196 c.p.c., per avere la Corte basato la decisione su una c.t.u. “espletata nel corso di un giudizio ex art. 700 c.p.c., avente un oggetto diverso da quello della causa di merito”;

il motivo è infondato: non rilevano nè la circostanza che la c.t.u. fosse stata espletata nell’ambito del procedimento cautelare (peraltro pacificamente proposto in corso di causa),nè il fatto che, a giustificazione dell’urgenza, il C. avesse espresso timori sulla tenuta del solaio, risultando decisiva la circostanza che la consulenza abbia avuto ad oggetto il tema delle infiltrazioni e delle misure necessarie ad eliminarle (tema che – come emerge chiaramente dalla sentenza impugnata – è stato ampiamente esaminato sia nella prima relazione che nei due supplementi);

il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., per “omessa pronuncia sulla domanda cautelare; violazione e falsa applicazione degli artt. 273 e 274 c.p.c.”, censurando la sentenza per avere omesso di pronunciarsi espressamente sulla domanda cautelare;

col settimo motivo, viene denunciata la omessa condanna della parte attrice al pagamento delle spese processuali relative alla domanda cautelare proposta in corso di causa;

rilevato che la Corte ha dichiarato incensurabile l’omessa decisione sull’istanza cautelare in quanto dichiarata assorbita dalla sentenza di merito, i motivi – da esaminare congiuntamente – sono infondati atteso che, “qualora ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa o della deduzione difensiva ovvero di un loro assorbimento in altre declaratorie non è configurabile il vizio di omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c., che si riscontra soltanto allorchè manchi una decisione in ordine a una domanda o a un assunto che renda necessaria una statuizione di accoglimento o di rigetto” (Cass. n. 10001/2003); nè i ricorrenti hanno argomentato sulla eventuale “illogicità” della dichiarazione di assorbimento (compiuta dal Tribunale e recepita dalla Corte di Appello) al fine di consentirne il sindacato – ai sensi dell’art. 112 c.p.c. – in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 11459/2019);

l’ottavo motivo denuncia la violazione dell’art. 42 Cost. e art. 832 c.c., nonchè del “principio di tassatività dei casi in cui il diritto di proprietà può essere compresso”, sull’assunto che la Corte abbia imposto ai ricorrenti “di rinunciare alla conformazione del bene prescelta”, condannandoli “ad eseguire interventi di rimozione delle strutture architettoniche edificate sul terrazzo ed incorporate nello stesso ed a rendere il terrazzo non più calpestabile”: sostengono, infatti, i ricorrenti che l’affermazione della Corte secondo cui la demolizione degli arredi in muratura era finalizzata alla completa impermeabilizzazione del terrazzo, e non ne precludeva il ripristino avrebbe richiesto una riforma della sentenza di primo grado, che aveva recepito integralmente le risultanze della c.t.u. in cui era previsto un declassamento del terrazzo a piano calpestabile;

il motivo è inammissibile e, comunque, infondato:

inammissibile in quanto difetta di un’adeguata allegazione del presupposto, ossia degli elementi specifici ed univoci dai quali possa ricavarsi che il Tribunale abbia non solo indicato le opere necessarie ad eliminare le infiltrazioni, ma anche disposto la permanente destinazione del terrazzo a mero piano calpestabile;

comunque infondato, in quanto il rilievo della Corte circa il fatto che la demolizione degli arredi (finalizzata all’esecuzione dell’impermeabilizzazione) non ne precludeva il ripristino vale nell’ambito di una lettura necessariamente coordinata con la motivazione – ad integrare il dispositivo, da leggersi pertanto nel senso che il rigetto dell’appello non comporta il divieto di successivo ripristino degli arredi;

col nono motivo, viene dedotta la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e dell’art. 132 c.p.c., lamentandosi “motivazione insufficiente, apparente e tautologica” in ordine alla “mancata rinnovazione della c.t.u. ed al recepimento integrale e preconcetto delle risultanze di quella espletata in primo grado”;

il motivo è infondato: la Corte ha ampiamente e coerentemente motivato sulle ragioni dell’adesione alle risultanze della c.t.u., non incorrendo pertanto nella dedotta carenza o incongruenza ella motivazione; nè possono rilevare le considerazioni di merito nuovamente svolte in questa sede, che non sono autonomamente apprezzabili dalla Corte;

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 7.800,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed oltre al rimborso delle spese forfettarie e degli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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