Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5092 del 02/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 02/03/2011, (ud. 01/02/2011, dep. 02/03/2011), n.5092

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24936/2006 proposto da:

L.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 94, presso lo studio dell’avvocato FIORE Giovanna, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZANARDI PAOLO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA U.L.S.S./(OMISSIS) VENEZIANA DELLA REGIONE VENETO, in persona

del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA COLA DI RIENZO 180, presso lo studio dell’avvocato FIORILLI

PAOLO, rappresentata e difesa dall’avvocato GAMBATO Renzo, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 254/2006 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 10/05/2006 r.g.n. 394/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

01/02/2011 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;

udito l’Avvocato FIORE GIOVANNA;

udito l’Avvocato PAOLO FIORILLI per delega GAMBATO RENZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine

il rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La Corte d’Appello di Venezia, confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda del dottor L.D., già dipendente della ULSS n. (OMISSIS) “Veneziana” di Venezia in qualità di dirigente amministrativo responsabile del servizio personale e del dipartimento risorse umane dell’azienda, diretta, per ciò che ancora interessa, a far accertare che egli non si era dimesso, avendo solo manifestato l’intenzione di farlo, e che pertanto il rapporto di lavoro non si era risolto, o, in subordine, che la risoluzione era intervenuta in data 27 febbraio 2002 a seguito di recesso da parte dell’azienda, con condanna di quest’ultima, nella prima ipotesi, al ripristino del rapporto ed al pagamento delle retribuzioni e nella seconda al pagamento dell’indennità di mancato preavviso.

La Corte d’Appello dopo aver riferito circa le premesse della controversia, ed il vario scambio di missive tra il L. e l’amministrazione dell’azienda circa la possibilità di una risoluzione consensuale del rapporto, non accettata dall’azienda, ha concentrato la propria indagine sulla lettera inviata dal L. all’azienda in data 8 ottobre 2001 e sulla risposta dell’azienda il successivo 11 ottobre 2001.

La Corte d’appello ha ritenuto la missiva del L. chiarissima sul piano letterale nel senso che essa conteneva una precisa e netta declaratoria di recesso per una data che, con il richiamo alle comunicazioni precedenti, era fatta coincidere con la fine del periodo di recupero da parte del L. delle ferie e dei riposi pregressi, ed era indicata nel 10 aprile 2002.

La Corte ha quindi affermato che non vi era necessità di ricercare un significato diverso da quello fatto palese dal significato proprio delle parole usate e che, pertanto, mentre nelle precedenti dichiarazioni il L. aveva espresso l’intenzione di recedere nel caso di non accoglimento della sua proposta di risolvere consensualmente il rapporto di lavoro, nella lettera dell’ottobre 2001 egli aveva formulato in modo univoco le proprie dimissioni indicando l’esatta data di scadenza del rapporto stesso.

La Corte ha altresì messo in rilievo che alla accettazione delle dimissioni da parte dell’azienda, esplicitamente formulata nella risposta dell’11 ottobre 2001, dove era anche formalizzata la concessione del recupero dei riposi arretrati fino al 10 aprile 2002, non era seguita alcuna opposizione o reazione da parte del L., il che confermava che egli era cosciente di aver effettivamente manifestato l’incondizionata volontà di dimettersi indicando peraltro un termine preciso di cessazione del rapporto.

La Corte ha quindi esaminato anche le circostanze che, secondo il L., avrebbero dovuto indurre a non interpretare la sua lettera dell’8 ottobre 2001 come una dichiarazione di recesso, ed ha osservato in proposito anzitutto che la dicitura “riservata personale” apposta sulla missiva non aveva alcun rilievo in tal senso perchè il destinatario della lettera era il dottor P.A. ma nella sua veste di direttore generale della USLL, chiaramente precisata.

Quanto all’assenza di indicazioni sul preavviso, la Corte ha osservato che non ne derivava l’invalidità delle dimissioni, risultandone solo conseguenze di carattere economico a carico del dimissionario, e che, considerata l’accettazione pura e semplice delle dimissioni da parte dell’azienda, doveva ritenersi che al preavviso le parti avessero reciprocamente rinunziato.

Infine, la mancata utilizzazione degli appositi moduli per le dimissioni non valeva a superare il carattere chiaro ed univoco della dichiarazione di recesso contenuta nella missiva, considerato che per recedere dal rapporto di lavoro non erano richieste formule sacramentali o formulari prestampati.

L.D. chiede la cassazione di questa sentenza con ricorso per un motivo, illustrato anche da memoria.

La parte intimata resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

L’unico motivo di ricorso denunzia insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio.

Le affermazioni formulate in proposito dal ricorrente sono, per l’essenziale, le seguenti.

L’indagine condotta dal giudice di merito sull’effettiva sussistenza delle dimissioni è del tutto insufficiente e non rispettosa di quel grado di rigorosità che deve presiedere secondi principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 2001/6727) la verifica dell’effettiva incondizionata volontà del lavoratore di porre fine rapporto.

L’indagine della Corte di Appello si è limitata a talune proposizioni assertive che non hanno indagato in maniera approfondita sul complessivo quadro di elementi che erano stati proposti al giudice di primo grado ed erano stati riproposti in sede di gravame.

11 giudice di appello ha valutato erroneamente il richiamo al precedente scambio epistolare contenuto ella lettera 8 ottobre 2001 mentre proprio il riferimento alle precedenti comunicazioni intervenute in forma personale e riservata con il dottor P. doveva condurre il giudicante a rilevare che anche la lettera dell’8 ottobre 2001, lungi dall’esprimere la precisa e incondizionata volontà di recesso, confermava l’intenzione già manifestata nelle precedenti comunicazioni di risolvere il rapporto di lavoro, che è cosa diversa dal risolverlo effettivamente.

La Corte d’appello ha quindi errato ritenendo che la lettera dell’8 ottobre 2001 avesse comportato la trasformazione dell’intenzione in effettiva realizzazione, stante la mancanza di una esplicita ed inequivoca dichiarazione in tal senso. Il richiamo alla precedente corrispondenza contenuto nella lettera dell’8 ottobre 2001 doveva invece essere correttamente interpretato come conferma della intenzione di formalizzare il recesso.

La Corte ha erroneamente valutato la circostanza della mancata opposizione o reazione del L. alla lettera con cui il dottor P. gli aveva comunicato l’accettazione delle dimissioni,Infatti la Corte ha omesso di considerare che proprio il fatto che il dottor L. non avesse immediatamente replicato nè alla lettera del P. nè a quella di qualche giorno successivo del direttore amministrativo dimostra l’assunto contrario, ossia che il dottor L. fosse veramente convinto di aver espresso con la lettera dell’8 ottobre 2001 la volontà di formalizzare e cioè di rendere effettiva ed incondizionata la volontà di recedere dal rapporto solo dopo aver interamente usufruito delle ferie e dei riposi ma nel rispetto dei diritti e doveri inerenti il recesso e, in particolare, con riferimento al diritto e obbligo di preavviso. Anzi, in coerenza con tale prospettazione, il L. aveva reagito con lettera del 25 febbraio 2002 solo dopo aver ricevuto comunicazione del contenuto dell’ordinanza n. 74 del 12 febbraio 2002 dalla quale aveva appreso che l’amministrazione aveva ritenuto che egli avesse effettivamente dichiarato di voler recedere.

Quindi la Corte ha valutato in modo erroneo anche i fatti intervenuti dopo la lettera dell’8 ottobre 2001 e non ha considerato l’assoluta inverosimiglianza ed illogicità del mancato rispetto da parte del L., dirigente con lunga esperienza professionale, del termine di preavviso delle cui conseguenze economiche non avrebbe potuto non essere consapevole, e ciò senza considerare anche che la rinuncia al preavviso da parte dell’azienda, assoggettata a specifiche rigorose regole in materia finanziaria, tenuto conto delle conseguenze economiche derivanti dal mancato rispetto del preavviso era egualmente inverosimile ed illogica.

In definitiva, la mancata indicazione al termine di preavviso da parte del ricorrente nella lettera di presunte dimissioni all’8 ottobre 2001 costituiva ulteriore, decisiva conferma della volontà del L. di non recedere in quel momento ma di formalizzare il recesso solo successivamente utilizzando il preavviso lavorato.

La Corte osserva che le censure proposte nel motivo potrebbero trovare ingresso solo nel caso in cui il giudice di merito avesse omesso di indagare su elementi decisivi sottoposti al suo esame o avesse espresso punti di vista contraddittori o altrimenti illogici.

Ma così non è perchè su ciascuna delle questioni qui proposte dal ricorrente la Corte d’Appello ha motivatamente espresso il proprio convincimento, sicchè le censure in esame si risolvono in definitiva nella prospettazione, qui inammissibile, di una diversa ricostruzione delle vicende controverse, e in particolare del significato della lettera 8 ottobre 2001, anche alla luce dei comportamenti del L. successivi ad essa.

In particolare, quanto alla questione della missiva indirizzata al P. la sentenza ha specificamente motivato. Del resto, il carattere riservato di una missiva diretta all’organo che deve rendere decisioni o che comunque è destinatario di una dichiarazione di recesso non altera minimamente il contenuto della dichiarazione stessa e non può condurre ad interpretarla come dichiarazione non ancora definitiva non destinata ad essere resa pubblica. Infatti, il tentativo di valorizzare il carattere riservato della lettera per escludere che essa avesse fini ufficiali è stato confutato dalla Corte di merito con il rilievo, tutt’altro che illogico o insufficiente, che ciò evidentemente contrastava con il fatto che essa fosse indirizzata all’organo di vertice dell’azienda.

Il richiamo fatto nella lettera 8 ottobre 2001 alle precedenti comunicazioni ha poi formato oggetto, nella sentenza, di specifica valutazione, evidentemente non condivisa dal ricorrente, ma non perciò viziata da insufficienza o illogicità.

La critica alla ricostruzione del significato del comportamento del L. successivo alla ricezione dell’accettazione delle sue dimissioni si risolve nella pura e semplice proposta di leggere i medesimi fatti in modo esattamente contrario a quello ritenuto corretto dalla Corte di merito, anche in tal caso senza alcuna reale denunzia di illogicità o contraddittorietà della motivazione.

La medesima contrapposizione fra due diverse interpretazioni della vicenda si manifesta, infine, anche nella censura di illogicità della ritenuta rinunzia al preavviso. Ma l’interesse di un dirigente a non proseguire nemmeno per breve periodo in una collaborazione, divenuta per lui non più soddisfacente, come era pacifico in causa, rientra perfettamente, in termini di possibilità, nella comune esperienza. Quindi aver ritenuto sulla base degli atti di causa che entrambe le parti avessero rinunciato al preavviso non è affatto affermazione illogica. Nè questa illogicità può derivare dal fatto che la stessa rinunzia avrebbe espresso l’azienda, potendo anche quest’ultima avere interesse a non proseguire nel rapporto, senza che si possa dire, per ciò solo essa, abbia posto in essere comportamenti contrari all’interesse pubblico.

In conclusione, l’unico motivo di ricorso contiene censure inammissibili, sicchè il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente alle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese in Euro 21,00 oltre ad Euro 3.000,00 per onorari, nonchè I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria 2 marzo 2011

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