Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5088 del 05/03/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. U Num. 5088 Anno 2014
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: DI AMATO SERGIO

AL/

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso 742-2013 proposto da:
RANIERI ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
COLA DI RIENZO 111, presso lo studio dell’avvocato
IANNOTTA LUCIO, che lo rappresenta e difende, per delega
a margine del ricorso;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 05/03/2014

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI;
– intimato –

avverso la sentenza n. 81/2012 del TRIBUNALE SUPERIORE
DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 11/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/01/2014 dal Consigliere Dott. SERGIO DI

udito l’Avvocato Lucio IANNOTTA;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott.
UMBERTO APICE, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.

AMATO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell’Il maggio 2012, pronunziando in sede di rinvio, il
Tribunale superiore delle acque pubbliche rigettava l’appello proposto da
Antonio Ranieri avverso la sentenza, emessa in data 15 luglio 2005, con la
quale il Tribunale regionale delle acque pubbliche di Napoli aveva rigettato
la sua domanda intesa ad ottenere il pagamento dell’indennità di
occupazione dal 21 novembre 1981, data del decreto di occupazione di

1988, data nella quale l’espropriato aveva concordato transattivamente
con l’Agensud – Agenzia per la promozione dello sviluppo del
Mezzzogiorno, subentrata alla Cassa per il Mezzogiorno, l’importo di lire
1.200.000.000 quale somma dovutagli in conseguenza dell’espropriazione.
Il TSAP premetteva che: 1) l’occupazione era stata disposta in quanto
l’attività estrattiva era stata ritenuta pregiudizievole per una sorgente
d’acqua per la quale la Cassa per il Mezzogiorno aveva iniziato i lavori di
captazione delle acque, destinate ad alimentare un acquedotto; 2) il TRAP
aveva rigettato la domanda sulla base di due autonome

rationes

decidendi, consistenti, la prima, nel fatto che lo spossessamento era
intervenuto soltanto nel maggio 1988, dopo la transazione intervenuta tra
le parti e, la seconda, nel fatto che l’atto di transazione aveva definito
completamente la vertenza, anche con riferimento alla indennità di
occupazione; 3) il TSAP, con sentenza del 9 maggio 2007, aveva rigettato
l’appello del Ranieri, soffermandosi solo sulla prima ratio decidendi e
confermando che il decreto di occupazione di urgenza non aveva segnato
l’effettiva occupazione dell’area da parte dell’ente pubblico, considerato
che l’utilizzazione dell’area era proseguita sino alla consegna del fondo e
che era irrilevante la riduzione dell’attività alla sola utilizzazione del
materiale già estratto; 4) le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza 19
maggio 2009, n. 18077, avevano cassato con rinvio la predetta decisione,
affermando che, sebbene il decreto di occupazione non fosse idoneo a far
venire meno il possesso del bene da parte del proprietario né a
determinare, di per sé, la cessazione dell’attività ancor prima
dell’immissione in possesso, tuttavia sul beneficiario dell’espropriazione
gravava l’onere di provare la persistenza del godimento del bene con
riferimento a tutte le prerogative originarie. Pertanto, non poteva
SU28g742-13

3

urgenza dell’area sulla quale insisteva una cava di calcare, al 20 maggio

escludersi in toto il diritto alla indennità di occupazione nel caso di
proseguimento della sola attività di sfruttamento del materiale già
estratto, senza ulteriore attività di estrazione del calcare.
Tanto premesso, il TSAP osservava che: 1) l’amministrazione appellata
non aveva contestato la cessazione dell’attività estrattiva sin dalla data del
decreto di occupazione; tuttavia, l’accertamento della effettiva incidenza di
tale circostanza sul complessivo godimento del fondo e, quindi,

fondatezza della seconda

ratio decidendi con la quale la sentenza

impugnata aveva rigettato la domanda; 2) con l’atto di transazione del 20
maggio 1988 il Ranieri si era, infatti, dichiarato soddisfatto «di ogni diritto,
ragione e pretesa in ordine alla espropriazione sia della cava sia dei terreni
di cui trattasi» e di non avere altro a pretendere «per indennità, interessi,
danni e spese comunque connesse e conseguenti all’espropriazione». Il
tenore letterale della clausola con il riferimento anche ai danni ed alle
indennità «comunque connesse» non lasciava dubbi sul carattere
onnicomprensivo della transazione, confermato dal comportamento
successivo e, in particolare, dal fatto che, nel verbale redatto in occasione
dell’effettiva immissione nel possesso dell’area, le parti si davano atto che
la somma era stata offerta ed accettata «nell’ambito della globale
composizione della vertenza insorta a seguito della procedura di
espropriazione intrapresa per l’esecuzione dei lavori»; 3) in senso
contrario non rilevava il fatto che l’amministrazione avesse stimato il
valore della cava nel 1983 in lire 985.000.000 e perciò in un valore non
molto inferiore rispetto a quello stabilito in sede di transazione. Il non
rilevante aumento si spiegava sia per la natura transattiva dell’accordo, sia
perché sull’ammontare dell’indennità di occupazione avrebbe inciso, in
modo non trascurabile, considerata l’altrimenti inspiegabile durata, la
prosecuzione dell’attività di utilizzazione del materiale già estratto, sia
perché l’indennità di espropriazione della cava era stata a suo tempo
determinata in relazione al valore dell’azienda e, pertanto, in relazione al
reddito prodotto e producibile sino all’esaurimento della cava, con la
conseguenza che l’indennità di occupazione in quella prospettiva avrebbe
rappresentato una indebita duplicazione dell’indennizzo per la mancata
produzione di reddito. In tale situazione doveva ritenersi del tutto generica

SU28g742-13

4

sull’ammontare dell’indennità di occupazione legittima era precluso dalla

l’affermazione dell’appellante, secondo cui l’indennità di occupazione
doveva ritenersi pari ad un dodicesimo per anno della intera indennità di
espropriazione.
Antonio Ranieri propone ricorso per cassazione, deducendo sette
motivi. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, successore ex lege
dell’Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno non ha
svolto attività difensiva.

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 384
c.p.c. e 2909 c.c. nonché il vizio di motivazione, lamentando che la
sentenza impugnata aveva omesso di conformarsi al principio affermato
dalle Sezioni unite con la sentenza n. 18077/2009, resa in causa, non
pronunciandosi sulla misura del godimento della cava dopo il decreto di
occupazione, il cui accertamento rappresentava anche elemento essenziale
per l’interpretazione dell’accordo transattivo del 20 maggio 1988. In
assenza di prova, da parte dell’Amministrazione, della misura del
godimento parziale dell’area, l’indennità di occupazione doveva ritenersi
pari ad un dodicesimo dell’indennità di espropriazione, come previsto
dall’art. 20, terzo comma, della legge n. 865/1971.
Il motivo è infondato. Come riferito in narrativa, la sentenza del TSAP
in data 9 maggio 2007 aveva preso in considerazione, con riferimento alla
sentenza impugnata, unicamente la ratio decidendi che aveva escluso il
diritto alla indennità di occupazione sul rilievo che lo spossessamento
aveva avuto luogo soltanto dopo l’accordo transattivo del 20 maggio 1988.
In tale prospettiva queste Sezioni unite, con la sentenza n. 18977/2009,
hanno cassato la sentenza stabilendo la necessità di accertare in quale
misura il decreto di occupazione aveva inciso sul godimento del fondo da
parte del Ranieri. È rimasta, invece, fuori da ogni valutazione la seconda
ed autonoma ratio decidendi con cui il TRAP aveva escluso il diritto alla
indennità.
Il sindacato della Corte di cassazione sulla sentenza del giudice di
rinvio, gravata di ricorso per infedele esecuzione dei compiti affidati con la
precedente pronunzia di annullamento, si risolve nel controllo dei poteri
propri di detto giudice per effetto di tale affidamento (Cass. s.u. 28
ottobre 1997, n. 10598). I poteri del giudice di rinvio, d’altro canto, con il

SU28g742-13

5

MOTIVI DELLA DECISIONE

limite rappresentato dal decisum della sentenza rescindente, sono gli
stessi del giudice di merito che ha pronunciato la sentenza cassata

(e

plurimis Cass. n. 10598/1997 cit.; Cass. 23 febbraio 2006, n. 4018; Cass.
14 giugno 2006, n. 13719). Ne consegue che, nel caso di cassazione con
rinvio di una sentenza di appello, le questioni rimaste assorbite non solo
possono essere nuovamente prospettate dalla parte che in quel giudizio
era rimasta vittoriosa (e plurimis Cass. 2a gennaio 2011, n. 10567; Cass.

essere necessariamente esaminate quando la sentenza gravata d’appello è
fondata su due autonome rationes decidendi, una delle quali non presa in
considerazione dalla sentenza cassata. In questo caso, evidentemente,
non viene in discussione la riproposizione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.,
delle domande e delle eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado,
ma l’onere della parte rimasta soccombente in tale grado di censurare
tutte le autonome ragioni che sorreggono la decisione impugnata e
l’obbligo del giudice di rinvio che decide sull’appello di pronunziarsi sui
relativi motivi. Il decisum della Corte di cassazione, se relativo ad una
soltanto delle due autonome rationes decidendi, non interferisce, infatti,
con il potere – dovere del giudice d’appello di pronunziarsi sulla

ratio

decidendi rimasta estranea al giudizio di cassazione.
Pertanto, decidendo sull’appello in sede di rinvio, del tutto
legittimamente il TSAP ha omesso di dare corso all’accertamento indicato
dalla sentenza n. 18077/2009 una volta ritenuta assorbente la seconda

ratio decidendi fondata sulla portata dell’accordo transattivo, giudicato
idoneo a superare ogni considerazione sul valore del godimento residuo
fondo dopo il decreto di esp~aziage.
del fondo
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 20,
terzo comma, della legge n. 865/1971, lamentando che il TSAP aveva
ritenuto generico il riferimento, per la determinazione dell’indennità di
occupazione, ad un dodicesimo dell’indennità di espropriazione come
previsto da tale disposizione.
Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 1362 c.c. ed il vizio
di motivazione, lamentando che la sentenza impugnata non aveva tenuto
conto, nell’interpretazione dell’accordo transattivo del 20 maggio 1988,
della consistenza del diritto al quale il ricorrente avrebbe rinunciato;
SU28g742-13

6

19 ottobre 2006, n. 22501; Cass. 4 luglio 2003, n. 10567), ma devono

dell’autonomia dell’indennità di occupazione rispetto all’indennità di
espropriazione; della inconfigurabilità di una rinuncia tacita all’indennità di
occupazione; del tenore letterale del citato accordo che si riferiva
esclusivamente, anche nelle esemplificazioni, soltanto all’indennità di
espropriazione; della posizione di superiorità dell’espropriante che aveva
predisposto il contratto con conseguente necessità di interpretarlo a favore
della parte debole, ai sensi dell’art. 1370 c.c., nonché con impossibilità di

di espressa accettazione.
Con il quarto motivo si deduce la violazione degli artt. 1362 c.c. e 112
c.p.c. nonché il vizio di motivazione, lamentando che il Tribunale superiore
aveva fondato la propria decisione, da un lato, sulla indimostrata
proseguita rilevante utilizzazione del terreno e, dall’altro, sul preteso
carattere duplicatorio dell’indennità di occupazione desunto, d’ufficio, da
una indimostrata liquidazione dell’indennità di espropriazione in base al
reddito prodotto e producibile dalla cava fino al suo esaurimento
Con il quinto motivo si deduce la violazione dell’art. 20 della legge n.
865/1971 negli stessi termini di cui al secondo motivo.
I motivi dal secondo al quinto possono essere esaminati
congiuntamente, in quanto tutti relativi alla interpretazione dell’accordo
del 20 maggio 1988, e sono infondati.
Si deve premettere che, secondo la consolidata giurisprudenza di
questa Corte

(e plurimis

Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178),

l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce
un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di
legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica
contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti
contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del
procedimento logico seguito per giungere alla decisione.
Da tali censure è, tuttavia, esente la sentenza impugnata che, come
riferito in narrativa, ha preso in considerazione sia il tenore letterale
dell’accordo, sia il comportamento successivo delle parti, sia la natura del
bene espropriato al quale si riferiva l’accordo transattivo sull’indennità di
espropriazione sia, infine, la consistenza dell’eventuale indennità di
espropriazione.
SU28g742-13

7

riconoscere efficacia ad una clausola praticamente vessatoria in mancanza

Quanto al tenore letterale dell’accordo la sentenza impugnata, con
motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici, ha valorizzato
l’espressione «indennità … comunque collegate»; il che non è certamente
censurabile essendo indubbio un collegamento tra espropriazione ed
occupazione quando la seconda è finalizzata alla prima. Non è, dunque,
elemento decisivo per una contraria interpretazione il mancato espresso
riferimento all’indennità di occupazione.

impugnata, con argomentazione non espressamente censurata, ha dato
rilievo al fatto che nel verbale redatto in occasione dell’effettiva
immissione nel possesso dell’area le parti si davano atto che la somma era
stata offerta ed accettata «nell’ambito della globale composizione della
vertenza insorta a seguito della procedura di espropriazione intrapresa per
l’esecuzione dei lavori». Poiché, come già detto, l’occupazione era
finalizzata all’espropriazione, appare del tutto congruo aver ritenuto che la
globale composizione della vertenza si riferisse anche ad una eventuale
pretesa di indennità di occupazione.
Quanto alla natura del bene si deve premettere che le relative
osservazioni non sono state svolte dal TSAP per escludere in punto di
diritto la configurabilità di una indennità di occupazione, per cui il
riferimento all’art. 112 c.p.c. appare inconferente, ma per indicare la
regolamentazione giuridica sulla quale si inseriva la transazione, al fine di
corroborarne l’interpretazione ed escludere che il limitato incremento tra il
valore determinato dall’Amministrazione nel 1983 (lire 985.000.000) e la
somma (lire 1.200.000.000) riconosciuta con l’accordo del 1988
sottintendeva la possibilità di considerare separatamente l’indennità di
occupazione. Orbene, premesso che lo stesso ricorrente ammette (pag.
28) che il valore della cava era stato determinato dall’Amministrazione, nel
1983, con riferimento al «valore attuale dell’azienda nelle sue componenti
(beni, attrezzature, avviamento)», deve riconoscersi come esatto il rilievo
della sentenza impugnata secondo cui il valore di una cava tiene conto del
reddito prodotto e producibile sino al suo esaurimento, con la conseguenza
che non vi è spazio, salvo incorrere in una indebita duplicazione, per un
computo dell’indennità di occupazione. Al riguardo nella giurisprudenza di
questa Corte è pacifico il principio secondo cui quando oggetto
SU28g742-13

8

Quanto al comportamento successivo delle parti, la sentenza

dell’espropriazione siano terreni destinati a cava – e quindi entità fruibili
direttamente in termini di appropriazione materiale, non reversibile nè
rinnovabile, in un contesto che sfugge alla logica che presiede alla
valutazione delle aree, distinguendole tra suoli agricoli e suoli edificatori la determinazione della relativa indennità richiede il riferimento all’art. 39
della legge n. 2359/1865 e, quindi, al valore venale del bene (così da
Cass. 14 gennaio 1980, n. 326 a Cass. s.u. 16 marzo 2010, n. 6309). In

del materiale complessivamente estraibile dalla cava sino al suo
esaurimento materiale o economico. È chiaro, quindi, che un tale criterio
di liquidazione dell’indennità di espropriazione non lascia spazio per la
liquidazione di una indennità di occupazione, con la funzione di
indennizzare l’espropriato della privazione del godimento del bene oggetto
del procedimento di esproprio e della mancata percezione dei frutti
durante l’occupazione medesima. L’eventuale godimento della cava,
infatti, non ne lascia inalterata la consistenza, ma la esaurisce
parzialmente, diminuendone il valore venale ai fini della indennità di
espropriazione. Ne consegue che la liquidazione del valore venale con
riferimento al valore dei materiali estraibili e l’inconfigurabilità di un
reddito in periodi e per causa ulteriori rispetto a quelli già considerati non
consentono, a pena di una ingiustificata duplicazione, un ulteriore
indennizzo a titolo di indennità di occupazione legittima (Cass. 22 febbraio
2000, n. 1975; Cass. 22 agosto 1997, n. 7862).
Tali principi hanno condotto ragionevolmente la sentenza impugnata a
ritenere che già la valutazione del 1983 aveva carattere onnicomprensivo
e che, quindi, da essa e dal limitato scostamento rispetto alla somma
riconosciuta con l’accordo del 1988 non si poteva argomentare che
quest’ultimo aveva lasciato impregiudicata la questione dell’indennità di
occupazione.
Quanto, infine, alla incidenza dell’attività di utilizzazione del materiale
già estratto rispetto all’originario godimento, la sentenza impugnata, in un
contesto motivazionale già esaustivo ed argomentando, evidentemente,
solo ad abundantiam, ha ritenuto che detta attività, in quanto protrattasi a
lungo, doveva ritenersi di rilievo non trascurabile e ne ha dedotto, con
ragionamento congruo, che l’indennità di occupazione, anche
SU28g742-13

9

tale prospettiva l’indennità di espropriazione va ragguagliata al parametro

ammettendone la configurabilità, non poteva avere un rilievo economico
tale da escludere l’onnicomprensività dell’accordo transattivo raggiunto
dalle parti e che del tutto generico, in quanto prescindeva da tale
incidenza, era il riferimento del Ranieri ai criteri indicati dall’art. 20 della
legge n. 865/1971 per la determinazione della detta indennità. Né, si deve
aggiungere, in questa sede può essere censurata l’affermazione della
prosecuzione dell’attività di utilizzazione del materiale già estratto,

censurabile la mancata determinazione dell’esatta incidenza della detta
prosecuzione rispetto al godimento del bene con riferimento a tutte le
prerogative originarie, essendo sufficiente, nel descritto contesto
motivazionale, una valutazione di non irrilevanza.
Con il sesto motivo si deduce la violazione degli artt. 384 c.p.c. e 2909
c.c., lamentando che il Tribunale superiore aveva compensato le spese del
giudizio di cassazione anziché porle a carico dell’Amministrazione.
Il motivo è infondato. Il criterio della soccombenza, al fine di attribuire
l’onere delle spese processuali, non si fraziona secondo l’esito delle varie
fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite,
senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi
soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole. Il principio trova
applicazione anche nel caso in cui il giudizio venga definito in sede di
rinvio a seguito di cassazione pronunciata su ricorso della parte che,
infine, rimane soccombente (e plurimis Cass. 14 dicembre 2000, n.
15787).

P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 gennaio 2014.

trattandosi di fatto presupposto dalla sentenza rescindente. Né, infine, è

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA