Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5086 del 28/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/02/2017, (ud. 14/01/2016, dep.28/02/2017),  n. 5086

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

GIVI G. srl, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Sanguineti

ed elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv. Maria Paola

Giorgi alla via dei Gracchi n. 128;

– controricorrente –

G.A., G.C., G.M.;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria, sezione 4, n. 16, depositata il 16 aprile 2013;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14

gennaio 2016 dal Relatore Cons. Antonio Greco;

uditi l’avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia per la ricorrente e

l’avv. Maria Paola Giorgi per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di un motivo, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria che, rigettandone l’appello, nel giudizio introdotto dalla srl Givi G. con l’impugnazione dell’atto di contestazione con il quale era stata irrogata la sanzione di Euro 50.000, prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 3 bis per la mancata indicazione separata nell’apposito spazio della dichiarazione dei redditi per l’anno 2004, come prescritto dall’art. 110, commi 10 e 11 Tuir, di costi relativi ad acquisti da imprese aventi sede in Paesi a fiscalità privilegiata, compresi nella black list di cui al D.M. 24 aprile 1992, ha confermato l’annullamento dell’atto di contestazione sul rilievo che la violazione era stata sanata con la presentazione di dichiarazione integrativa, ai sensi del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2 con l’indicazione dei costi in questione, da ritenere valida e tempestiva, non essendovi ragione di ritenere che essa non potesse essere fatta anche nel raso, ricorrente nella specie, di ispezioni o verifiche già iniziate, come del resto consentito dalla normativa.

Le operazioni commerciali, poi, come riconosciuto dalla stessa Agenzia, erano realmente avvenute ed erano state monitorate e documentate dagli uffici della Dogana, indipendentemente dalla loro mancata indicazione nella dichiarazione, sicchè non era ipotizzabile l’insorgenza di alcun ostacolo all’attività accertativa e di controllo, e “l’originaria mancata separata indicazione dei costi sostenuti con operatori aventi sede ad (OMISSIS) deve quindi considerarsi sanata con la presentazione della dichiarazione integrativa nei tempi previsti dalle vigenti disposizioni di legge”.

La società contribuente resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria, mentre G.A., G.C. e G.M., cui il ricorso è stato notificato “nella qualità di soci della srl Givi G. alla data della cancellazione avvenuta in data 3 gennaio 2013 e dunque successori della stessa”, non hanno svolto attività nella presente sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione della Legge n. 296 del 2006, art. 1, commi 302 e 303, del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, commi 7 e 8, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 3 bis, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, l’amministrazione ricorrente censura la decisione per aver escluso l’applicazione della sanzione proporzionale, di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 3 bis, per l’omessa separata annotazione dei costi, non potendo su questa influire la presentazione da parte del contribuente della detta dichiarazione integrativa – che di per sè fa salva l’applicazione delle sanzioni – dopo l’inizio della verifica fiscale a suo carico, volta proprio a verificare i costi portati in deduzione ai fini della imposte dirette.

Il motivo è fondato.

Secondo il più recente ed ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, come ricapitolata in Cass. n. 11933 del 2016, la materia è regolata dai seguenti principi:

a) con decorrenza dal 1 gennaio 2007, la L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 301 e 302 (il primo modificando il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, commi 10 e 11 – già art. 76, commi 7 bis e 7 ter -, il secondo mediante l’inserimento del comma 3 bis nel D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8) hanno mutato la disciplina che sanciva l’indeducibilità dei costi scaturenti da operazioni commerciali intercorse con soggetti residenti in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi black list) – ove non fosse provato che i contraenti esteri svolgessero effettiva attività commerciale, che le operazioni poste in essere rispondessero ad un effettivo interesse economico, che le stesse avessero avuto concreta esecuzione e, in ogni caso, che i costi non fossero stati separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi -, degradando la separata indicazione dei costi da presupposto sostanziale della relativa deducibilità ad obbligo di carattere formale, passibile di corrispondente sanzione amministrativa, pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non (separatamente) indicati nella dichiarazione, con un minimo di Euro 500 ed un massimo di Euro 50.000;

b) in ordine al regime transitorio dettato dalla L. n. 296 del 2006, cit. art. 1, commi 301 e 302 anche le violazioni dell’obbligo di separata indicazione dei costi in esame poste in essere prima dell’entrata in vigore della legge non comportano, di per se stesse, l’applicazione del regime di assoluta indeducibilità dei costi medesimi (e di connessa sanzionabilità D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 1, comma 2), in quanto degradate a violazioni di carattere formale, soggette alla sanzione proporzionale suddetta, alla quale (solo per le situazioni di regime transitorio e, dunque, già assoggettate al rigoroso regime d’indeducibilità, come nella specie) si cumula, in forza del comma 303 cit., u.p. la sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1, (che, per i vizi formali della dichiarazione, prevede la sanzione amministrativa da Euro 258 a Euro 2065);

c) tale lettura della disciplina di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 301, 302 e 303 – che appare l’unica idonea a garantirne la tenuta sul piano della razionalità – non viola il principio di legalità, posto che, sotto il profilo sanzionatorio e degli effetti che ne conseguono, il regime introdotto dalla normativa sopravvenuta è, nel suo complesso, certamente meno gravoso, per il contribuente, rispetto a quello previgente (Cass. n. 4030, n. 6205 e n. 21955 del 2015, 6338 e 6651 del 2016);

d) costituiscono causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, commi 8, e – più specificamente – 8 bis, non solo la contestazione della violazione, ma anche l’inizio delle operazioni di verifica – nella specie il giudice d’appello ha rilevato la ricorrenza del “caso di ispezioni o verifiche già iniziate” – in quanto in tal caso la correzione si risolverebbe in uno strumento elusivo delle sanzioni previste dal legislatore per l’inosservanza delle prescrizioni relative alla compilazione delle dichiarazioni dei redditi (tra altre, Cass. n. 5398 del 2012, n. 14999, n. 15285 e n. 15798 del 2015, 6651 del 2016); inoltre (ed anzi, sul piano logico-giuridico, ancor prima), la peculiare fattispecie in esame, in cui l’inosservanza dell’onere dell’indicazione separata dei costi deducibili impediva (prima della novella introdotta dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 302 e 303) il perfezionamento della stessa fattispecie costitutiva del diritto alla deduzione di tali spese, è del tutto diversa dalle situazioni contemplate dall’art. 2, commi 8 e 8 bis cit., poichè l’intervento emendativo non ha, in questo caso, la funzione di rideterminare correttamente componenti reddituali positivi o negativi omessi o errati, o di correggere errori di calcolo (così incidendo direttamente sul quantum di crediti e debiti esistenti al momento della presentazione della dichiarazione), ma è volto inammissibilmente a costituire ex novo un diritto – alla deduzione di determinate spese – prima inesistente, del quale, cioè, il contribuente non era già titolare (Cass. n. 24929 del 2013, nonchè le citate Cass. n. 14999, n. 15285 e n. 15798 del 2015, n. 6651 del 2016).

Il ricorso deve essere pertanto accolto, la sentenza cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, dichiarando dovuta dalla contribuente la sanzione proporzionale determinata dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 3 bis, nel 10 per cento delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione.

Vanno compensate fra le parti le spese dell’intero processo, in considerazione dell’epoca di formazione degli indirizzi giurisprudenziali di riferimento.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara dovuta dalla società contribuente la sanzione proporzionale.

Dichiara compensate fra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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