Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5085 del 25/02/2020
Cassazione civile sez. VI, 25/02/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 25/02/2020), n.5085
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28822-2018 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso FAVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente –
contro
B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO ALBERTO,
39, presso lo studio dell’avvocato ANTONIETTA ALFANO, rappresentato
e difeso dall’avvocato GIUSEPPE ALFANO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2041/21/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 02/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nulla Camera di consiglio non
partecipata del 27/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO
GIOVANNI CONTI.
Fatto
FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE
La CTR Campania, con la sentenza indicata in epigrafe respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate contro la sentenza che aveva annullato l’accertamento emesso a carico di B.G., ritenendo che lo stesso, sebbene apparentemente motivato per comportamento antieconomico, risulta in realtà essere stato sostanzialmente fondato sugli esiti degli studi di settore, dai quali erano stati estrapolati fati statistici e percentuali di ricarico. Per tale motivo, secondo la CTR, aveva valore dirimente l’omessa attivazione del contraddittorio endoprocedimentale, posto che l’appellante non aveva scalfito il presupposto fattuale che aveva indotto i giudici di primo grado ad annullare l’avviso stesso per violazione del contraddittorio.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, al quale ha resistito la parte intimata con controricorso.
L’Agenzia deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d). La CTR avrebbe omesso di considerare che non solo l’accertamento impugnato era stato emesso sul presupposto dell’antieconomicità dell’attività svolta dal contribuente ma anche dalla carenza di documentazione esibita. Elementi, questi ultimi, che dimostrerebbero la natura essenzialmente induttiva dell’accertamento e non già che lo stesso fosse fondato sugli studi di settore. In ogni caso, anche a volere ritenere tale ultima circostanza, non sarebbe emersa che l’assenza di contraddittorio avesse inciso sul risultato al quale sarebbe potuto giungere l’ufficio.
Il ricorso è infondato.
La valutazione compiuta dalla CTR in ordine alla natura dell’atto fiscale integra un accertamento di merito – cfr. arg., Cass. n. 27401/2017 – che l’ufficio avrebbe potuto aggredire con il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 (nel caso in cui fosse stata prospettata la illegittima acquisizione di elementi di prova in violazione dei limiti alla ammissibilità delle prove stabiliti dalle norme processuali tributarie) ovvero prospettando un errore di fatto concernente la selezione e la valutazione del materiale probatorio utilizzato a fondamento della decisione che si risolve in un vizio della motivazione censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 17952 del 24/7/2013, Cass. n. 6861/2019).
Tanto è sufficiente per escludere l’ammissibilità della censura prospettata sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Nè è fondata la censura relativa alla necessità che la violazione del contraddittorio endoprocedimentale in materia di studi di settore avrebbe comunque necessità di operare solo in presenza della c.d. prova di resistenza, cioè le ragioni che avrebbe potuto illustrare al fisco durante il confronto non avvenuto – cioè le ragioni che avrebbe potuto illustrare al fisco durante il confronto non avvenuto – cfr. Cass. n. 701/2019, in tema di violazione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12 -.
Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore della parte intimata in Euro 6.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15%.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020