Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5084 del 16/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 16/02/2022, (ud. 14/01/2022, dep. 16/02/2022), n.5084

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16023-2021 proposto da:

C.E., S.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO

PETRETTI, rappresentati e difesi dall’avvocato ANDREA NICATORE;

– ricorrenti –

contro

B.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POFI 6,

presso lo studio dell’avvocato PIO CORTI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIOVANNI PRATI LUCCA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 237/2021 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 26/02/2021;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

 

Fatto

Considerato che il Collegio condivide i rilievi enunciati dal Relatore in seno alla formulata proposta nei termini seguenti:

“ritenuto che la vicenda, per quel che ancora qui residua d’utilità, può riassumersi nei termini seguenti:

– la Corte d’appello di Genova rigettò l’impugnazione proposta da C.E. e S.A., nei confronti di B.R., avverso la sentenza di primo grado che ne aveva disteso la domanda di declaratoria d’acquisto per usucapione di uno stacco di terreno;

– risulta utile ricordare che con l’originario atto di citazione gli attori avevano chiamato in giudizio S.P.G. e B.P.; le convenute, eredi di B.G., proprietario per la metà del bene, non si erano opposte alla domanda, a condizione che gli attori l’avessero provata; successivamente, poiché dell’altra metà era proprietaria B.M., deceduta nel (OMISSIS), ad essa sarebbe subentrato in qualità d’erede il fratello B.G., che aveva rinunciato all’eredità di costei, nel mentre l’altra erede, B.R., non aveva provveduto ancora ad accettare l’eredità; veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di quest’ultima e dello Stato; la B., costituitasi, dopo aver dichiarato di non aver accettato, né rinunziato all’eredità, si era riservata di valutare la domanda attorea; successivamente, la chiamata accettava l’eredità e dichiarava di opporsi alla domanda; nel corso del giudizio d’appello B.R. diveniva proprietaria per intero del terreno, quale successore “mortis causa” della madre S.P.G. e in qualità di acquirente dalla sorella P.;

– consta dalla sentenza d’appello che gli appellanti avevano “lamentato principalmente la mancata ammissione delle prove dedotte in violazione o mancata applicazione degli artt. 244 e 233 c.p.c., nonché la violazione dell’art. 167 c.p.c. per mancata applicazione o violazione dei principi in materia d’interpretazione degli atti processuali”;

ritenuto gli insoddisfatti appellanti ricorrono sulla base di due motivi e che B.R. resiste con controricorso; (i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa).

Diritto

OSSERVA

con i due motivi, tra loro correlati, i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99,112 e 115 c.p.c., dell’art. 111 Cost., dell’art. 1158 c.c., dell’art. 2643, n. 12-bis, dell’art. 2697 c.c., l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, nonché dell’art. 167 c.p.c., assumendo, in sintesi, che la Corte locale aveva errato:

– a non valutare gli effetti dell’intervenuta adesione alla domanda, “quale riconoscimento della situazione di fatto”, con ricadute sull’onere della prova, da reputarsi assolto a riguardo delle parti che avevano prestato adesione, nonché liberamente apprezzabile in relazione agli altri litisconsorti, ciò ancor più avuto riguardo al novellato contenuto dell’art. 2643 c.c., n. 12 bis;

– a non considerare che, in contrasto con l’art. 167 c.p.c., B.R., limitatasi ad opporsi alla domanda, non aveva svolto tutte le proprie difese e presa compiuta posizione.

Il complesso censuratorio è manifestamente infondato.

Riferiscono gli stessi ricorrenti che le primigenie convenute non avevano prestato “tout court” adesione alla pretesa attorea, ma solo ove la stessa fosse risultata provata, cioè fondata. Quindi, al contrario dell’asserto impugnatorio qui sostenuto, non avevano effettuato alcun riconoscimento dell’altrui diritto, ma, anzi, avevano sfidato gli attori a provare la pretesa.

A ciò va soggiunto che B.R., divenuta in corso di causa unica proprietaria, aveva contestato l’avversa pretesa. Ne’ una tale contestazione, nel caso di specie, avrebbe implicato la necessità di specifici apporti assertivi: colui che rivendica l’acquisto per usucapione è gravato dell’onere probatorio, nel mentre al proprietario basta addurre il proprio titolo; salvo che gli sviluppi processuali rendano necessarie specifiche prese di posizione, evenienza che qui non viene puntualmente allegata.

Infine, è del tutto evidente che attraverso la denunzia di violazione di legge (nella specie dell’art. 2697 c.c.) i ricorrenti sollecitano – non determinando essa, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente – un improprio riesame di merito (da ultimo, S. U. n. 25573,12 /11 / 2020, Rv. 659459).

Tantomeno risulta pertinente l’evocazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (Dott., per tutte, S.U. n. 8053 / 2014)”.

Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.

Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore del controricorrente siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della resistente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

 

 

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