Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5083 del 16/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 16/02/2022, (ud. 14/01/2022, dep. 16/02/2022), n.5083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15459-2021 proposto da:

M.O.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE XXI

APRILE 11, presso lo studio dell’avvocato CORRADO MORRONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati LUIGI RETUCCI, MARCELLO

MARCUCCIO;

– ricorrenti –

contro

P.G., PE.DO., elettivamente domiciliati in ROMA VIA

BELSIANA 71, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DELL’ERBA,

rappresentati e difesi dagli avvocati SALVATORE NISI, SILVESTRO DE

DONNO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1151/2020 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 03/12/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

 

Fatto

Considerato che il Collegio condivide i rilievi enunciati dal Relatore in seno alla formulata proposta nei termini seguenti:

“ritenuto che la vicenda, per quel che ancora qui residua d’utilità, può riassumersi nei termini seguenti:

– con atto pubblico del (OMISSIS) P.G. e Pe.Do. acquistarono da M.O.C. un immobile;

– successivamente i compratori citarono in giudizio il venditore chiedendo di essere dichiarati, sulla base dell’atto, comproprietari per quota indivisa anche dell’atrio scoperto prospiciente la pubblica via, nonché del portone coperto, facenti parte del complesso immobiliare;

– il Tribunale adito accolse la domanda;

– il M. appellò la sentenza davanti alla Corte di Lecce, la quale, tenuto conto del titolo di provenienza in capo al M. (divisione del 1965 della proprietà indivisa dell’intero compendio goduto in comproprietà con i germani A., L. e An.), nonché dell’atto di trasferimento da M.O.C. agli appellati, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarò che il P. e la Pe. erano titolari solo di una servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia sull’atrio scoperto, confermando nel resto la statuizione di primo grado;

– M.O.C. ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di due motivi (e gli intimati resistono con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria).

Diritto

OSSERVA

Con i due motivi, tra loro osmotici, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2700 c.c., dell’art. 1362c.c., comma 1 e dell’art. 1363 c.c., anche in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Assume il ricorrente che la Corte locale aveva tratto conclusioni errate dagli atti di provenienza, in quanto con la divisione del 1965 si era stabilito che il portone coperto sulla (OMISSIS) restasse assegnato a O. e An., mentre gli altri due fratelli avevano il solo diritto di accesso. In spregio all’effettiva volontà delle parti, al contenuto letterale e a quello logico, in uno alla valutazione globale dell’atto, la Corte di merito aveva attribuito agli appellati la comproprietà per quota del portone, invece avrebbe dovuto reputare che al P. e alla Pe. fosse stato attribuito, con il contratto di compravendita, solo il diritto d’accesso tramite il portone in discorso.

Il complesso censuratorio risulta palesemente infondato.

In primo luogo deve rilevarsi l’inconferente richiamo agli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione ((cfr., da ultimo, S.U. n. 20867 del 2020 e successivamente, Sez. 5, n. 16016 del 2021; ma già, ex multis, Sez. 6, n. 27000 del 2016)).

Del pari inconferente risulta l’evocazione dell’art. 2700 c.c., che, come noto, assegna all’atto pubblico fede privilegiata, fede che, com’e’ ovvio, qui non è posta in discussione.

Fuori luogo risulta la denuncia di omesso esame di un fatto controverso e decisivo. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (S.U. n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629831). Per contro il ricorrente qui invoca, come si è anticipato, un diverso risultato dell’valutazione dei titoli esaminati dal giudice.

Nel resto, la vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito; in quanto, “L’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi: pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili (il secondo, ovviamente, sotto il regime del vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti; di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (ex pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579. 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 733)” (Sez. 2, n. 18587, 29 /10/ 2012; si veda anche, per la ricchezza di richiami, Se. 6-3, n. 2988, 712/ 2013)”. Qui, la Corte d’appello non risulta essersi discostata dai canoni giuridici richiamati, non ostando alla decisione la circostanza che il portone d’ingresso di cui si discute, in tesi, sarebbe stato in proprietà di solo due (uno dei quali, ovviamente, l’odierno ricorrente) dei quattro fratelli.

Di conseguenza, siccome affermato dalle S. U. (cent. n. 7155, 211312017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p.., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti””.

Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore dei controricorrenti siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei resistenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

 

 

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