Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5081 del 28/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/02/2017, (ud. 14/01/2016, dep.28/02/2017),  n. 5081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

BARDOLA spa;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria, sezione 8, n. 109, depositata il 2 novembre 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14

gennaio 2016 dal Relatore Cons. Antonio Greco;

udito l’avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Sorrentino Federico, che ha concluso per raccoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria che, rigettandone l’appello, nel giudizio introdotto dalla spa Bardola con l’impugnazione dell’avviso di accertamento, ai fini dell’IRES e dell’IRAP per l’anno 2003, con il quale veniva contestata l’indeducibilità dei costi relativi ad acquisti da imprese domiciliate in Paesi a fiscalità privilegiata, compresi nella black list di cui al D.M. 24 aprile 1992, per la mancata indicazione separata nell’apposito spazio della dichiarazione dei redditi, come prescritto dall’art. 110, commi 10 e 11, del tuir, ha confermato l’annullamento dell’avviso sul rilievo che era stata presentata dichiarazione integrativa ai sensi del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2 con l’indicazione dei costi in questione, da ritenere tempestiva ed efficace, non essendone subordinata la validità alla condizione che non siano iniziate le operazioni di verifica.

Secondo il giudice d’appello, inoltre, a norma della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, coma 301, applicabile retroattivamente anche alle violazioni commesse prima della sua entrata in vigore, la mancata indicazione separata in dichiarazione dei costi sostenuti in quei Paesi non ne comportava più l’automatica indeducibilità, sicchè questa, che era l’unica motivazione dell’avviso, aveva perso ogni efficacia.

Quanto alla prova dell’effettività dei costi così sostenuti, osservava che in questi casi la merce era scortata da bolle doganali soggette al controllo dell’amministrazione, e conseguentemente idonee a garantire la effettività dell’importazione, per non dire del pagamento dei vari diritti doganali, costi riconosciuti dall’ufficio nell’avviso.

Ta società contribuente non ha svolto attività nella presente sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 302 e 303, del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 3 bis e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, l’amministrazione ricorrente censura la decisione per aver escluso l’applicazione della sanzione per l’omessa separata annotazione dei costi, non potendo su di essa influire la presentazione della dichiarazione integrativa, che di per sè faceva salva l’applicazione delle sanzioni ed era stata nella specie intempestiva.

Con il secondo motivo censura la ritenuta deducibilità dei costi, non essendo stata fornita, come previsto anche per il regime transitorio dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 303 la prova di cui di cui all’art. 110, comma 11, del tuir, atteso che non è sufficiente la sola effettività delle operazioni commerciali contestate, su cui si è esclusivamente basato il giudice d’appello.

I due motivi sono fondati.

Secondo il più recente ed ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, come ricapitolata in Cass. n. 11933 del 2016, la materia è regolata dai seguenti principi:

a)con decorrenza dal 1 gennaio 2007, della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, i commi 301 e 302 (il primo modificando l’art. 110, commi 10 e 11 – già art. 76, commi 7 bis e 7 ter -, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, il secondo mediante l’inserimento del comma 3 bis nel D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8) hanno mutato la disciplina che sanciva l’indeducibilità dei costi scaturenti da operazioni commerciali intercorse con soggetti residenti in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi black list) – ove non fosse provato che i contraenti esteri svolgessero effettiva attività commerciale, che le operazioni poste in essere rispondessero ad un effettivo interesse economico, che le stesse avessero avuto concreta esecuzione e, in ogni caso, che i costi non fossero stati separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi -, degradando la separata indicazione dei costi da presupposto sostanziale della relativa deducibilità ad obbligo di carattere formale, passibile di corrispondente sanzione amministrativa, pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non (separatamente) indicati nella dichiarazione, con un minimo di Euro 500 ed un massimo di Euro 50.000;

b) in ordine al regime transitorio dettato dalla L. n. 296 del 2006, citato art. 1, comma 303 anche le violazioni dell’obbligo di separata indicazione dei costi in esame poste in essere prima dell’entrata in vigore della legge non comportano, di per se stesse, l’applicazione del regime di assoluta indeducibilità dei costi medesimi (e di connessa sanzionabilità D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 1, comma 2), in quanto degradate a violazioni di carattere formale, soggette alla sanzione proporzionale suddetta, alla quale (solo per le situazioni di regime transitorio e, dunque, già assoggettate al rigoroso regime d’indeducibilità, come nella specie) si cumula, in forza dell’ultima parte del comma 303 cit., la sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1, (che, per i vizi formali della dichiarazione, prevede la sanzione amministrativa da Euro 258 a Euro 2065);

c) tale lettura della disciplina di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 301, 302 e 303 – che appare l’unica idonea a garantirne la tenuta sul piano della razionalità – non viola il principio di legalità, posto che, sotto il profilo sanzionatorio e degli effetti che ne conseguono, il regime introdotto dalla normativa sopravvenuta è, nel suo complesso, certamente meno gravoso, per il contribuente, rispetto a quello previgente (Cass. n. 4030, n. 6205 e n. 21955 del 2015, 6338 e 6651 del 2016);

d) costituiscono causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8 e – più specificamente – comma 8 bis, del D.P.R. n. 322 del 1998 non solo la contestazione della violazione, ma anche l’inizio delle operazioni di verifica – nella specie la contribuente l’aveva presentata “alcuni giorni dopo l’inizio delle operazioni di verifica ma prima che venisse perfezionato il provvedimento di accertamento” – in quanto in tal caso la correzione si risolverebbe in uno strumento elusivo delle sanzioni previste dal legislatore per l’inosservanza delle prescrizioni relative alla compilazione delle dichiarazioni dei redditi (tra altre, Cass. n. 5398 del 2012, n. 14999, n. 15285 e n. 15798 del 2015, 6651 del 2016); inoltre (ed anzi, sul piano logico-giuridico, ancor prima), la peculiare fattispecie in esame, in cui l’inosservanza dell’onere dell’indicazione separata dei costi deducibili impediva (prima della novella introdotta dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 302 e 303) il perfezionamento della stessa fattispecie costitutiva del diritto alla deduzione di tali spese, è del tutto diversa dalle situazioni contemplate dall’art. 2, commi 8 e 8 bis, cit., poichè l’intervento emendativo non ha, in questo caso, la funzione di rideterminare correttamente componenti reddituali positivi o negativi omessi o errati, o di correggere errori di calcolo (così incidendo direttamente sul quantum di crediti e debiti esistenti al momento della presentazione della dichiarazione), ma è volto inammissibilmente a costituire ex novo un diritto – alla deduzione di determinate spese – prima inesistente, del quale, cioè, il contribuente non era già titolare (Cass. n. 24929 del 2013, nonchè le citate Cass. n. 14999, n. 15285 e n. 15798 del 2015, n. 6651 del 2016).

Sono quindi dovute dalla contribuente la sanzione fissa di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1, nonchè quella proporzionale determinata dal successivo comma 3 bis nel 10 per cento dell’affrontare dei costi non separatamente indicati in dichiarazione.

Con riguardo al secondo motivo, si osserva che l’abolizione del previgente regime di indeducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intercorse con soggetti domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata (cd. black list), prevista dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 301, 302 e 303 ha carattere retroattivo: la deducibilità risulta così subordinata, in base all’art. 110 del tuir, comma 11 vigente ratione temporis, solo alla prova “che le imprese estere svolgano prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione” (cfr. Cass. n. 20033 e n. 4030 del 2015).

Il giudice di merito è incorso nell’errore ad esso addebitato, avendo circoscritto l’ambito della prova alla “effettività delle operazioni commerciali contestate”, e quindi al solo requisito della “concreta esecuzione” delle operazioni da cui sono derivati i costi, senza portare il proprio esame anche alla rispondenza delle operazioni poste in essere “ad un effettivo interesse economico”.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria, che procederà ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi enunciati.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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