Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5080 del 16/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 16/02/2022, (ud. 14/01/2022, dep. 16/02/2022), n.5080

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28458-2020 proposto da:

G.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMANUELE

GIANTURCO 1, presso lo studio dell’avvocato MARIA CRISTINA LENOCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE LA PESA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MARTINA FRANCA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ITALO CARLO FALBO 22, presso

lo studio dell’avvocato ANGELO COLUCCI, rappresentato e difeso

dall’avvocato OLIMPIA CIMAGLIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1629/2020 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 24/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

 

Fatto

Ritenuto con la sentenza di questa Corte n. 1629/2020, depositata il 24/1/2020, venne rigettato il ricorso proposto da G.N. nei confronti del Comune di Martina Franca, avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, depositata il 14/5/2015;

che G.N., con successivo ricorso, chiede revocarsi la sentenza di legittimità di cui sopra e che il Comune di Martina Franca resiste con controricorso.

Diritto

OSSERVA

Il ricorrente denuncia l’esistenza di un errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, assumendo che “il fascicolo di primo grado del G. contiene ben 16 documenti e sarebbe stato inutilmente defatigatorio richiamarli e descriverli uno per uno nel ricorso”, nel mentre il riferimento di cui a pag. 4 del primigenio ricorso “alla copiosa documentazione prodotta dall’attore ed i richiami alla stessa operati alle pag. 2 e 3 dell’atto d’appello” riguardava la “sentenza impugnata della Corte d’appello che non ne aveva tenuto conto e costituiva una mera e non esaustiva premessa dell’atto cui faceva seguito l’analitica esposizione del primo motivo del ricorso” e, di conseguenza, la decisione era incorsa in errore materiale nel non valutare i documenti in parola, che il G. prendeva ora in rassegna.

Indi, il G., riprendendo giurisprudenza di legittimità, reputa che la sentenza di cui chiede la revocazione era incorsa in errore per aver affermato che “il ricorrente non ha cura di riportare, nel corpo della censura in esame, il testo letterale della clausola convenzionale di cui si discute”. Affermazione, questa, che si poneva in contrasto con il principio secondo il quale, prosegue il ricorrente, “tale requisito (cioè quello della specificità sotto il profilo dell’autosufficienza) è soddisfatto ove il ricorrente abbia assolto l’onere di indicarne specificamente il luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’intera riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta produzione” (a suffragio cita le pronunce Cass. n. 14784 del 2015, Cass. n. 18679 del 2017, Cass. n. 23575 del 2015, Cass. n. 27475 del 2017 e Cass. n. 5478 del 2018 di questa Corte). Inoltre, le clausole della convenzione stipulata con il Comune erano state “chiaramente indicate in ricorso con puntuale riferimento ai numeri 4, 5, 6 e 7 che nella convenzione le contraddistinguono ed ai titoli delle stesse”.

In conclusione, reputa il G., che “i 16 documenti allegati al fascicolo di primo grado sono stati messi nella dovuta evidenza in ricorso per sostenerne i motivi”.

Il ricorso è inammissibile, condividendo il Collegio le già espresse valutazioni del Consigliere relatore.

“Occorre partire dalla sentenza della quale vien chiesta la revocazione.

Il primo motivo, con il quale il G. aveva lamentato la violazione dell’art. 2237 c.c., per avere la Corte di merito giudicato inefficace, perché scaduta, la convenzione stipulata dal ricorrente con il Comune, venne dichiarato inammissibile per non avere il ricorrente indicato, “nel corpo del motivo, di quali documenti si tratterebbe, né (quale) sarebbe la loro rilevanza”, in relazione alla censura di cui si discuteva. Ne’ appariva su sufficiente, a tal fine, il generico rinvio ai “richiami alla stessa operati alle pagg. 2 e 3 dell’atto di appello”, posto che esso non era sufficiente a soddisfare l’onere di specificità della censura.

Il secondo motivo, con il quale il ricorrente aveva lamentato la violazione degli artt. 1362,1363,1364,1366,1369 e 1370 c.c., assumendo che la Corte locale aveva erroneamente affermato che la convenzione non prevedesse l’obbligo per il Comune di assegnare al professionista (geometra) tutte le pratiche di condono edilizio pendenti e non solo una parte di esse, viene del pari giudicato inammissibile, poiché, secondo il principio richiamato in sentenza, l’interpretazione del contratto resta riservato al giudice del merito; in ogni caso, soggiungeva la decisione, la proposta lettura non poteva essere condivisa per le ragioni esplicitate in sentenza.

Alla luce della sintesi sopra riportata risulta evidente che, al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, il ricorrente insta per un nuovo giudizio.

Con valutazione giuridica non più controvertibile la Cassazione ha, quanto al primo motivo del primigenio ricorso, ritenuto aspecifica la doglianza, non giudicando bastevole a scrutinarla il mero richiamo ai documenti prodotti davanti al Giudice di primo grado, non corredato dal puntuale riferimento alla loro natura e rilevanza.

Solo con il ricorso per revocazione, del tutto inammissibilmente, il ricorrente produce i predetti documenti, che, invece, non erano stati tempestivamente prodotti col primo ricorso, nel rispetto dell’art. 369 c.p.c., n. 4, e solo ora s’impegna a specificarne il contenuto e la rilevanza.

Quanto al secondo motivo è appena il caso di rilevare che con lo strumento della revocazione si denuncia impropriamente un errore giuridico della sentenza di cassazione.

L’errore di fatto revocatorio ricorre, come risulta dalla piana descrizione normativa, “quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita”; cioè deve annidarsi in una oggettiva dispercezione da parte del Giudice di legittimità della ricostruzione fattuale siccome operata dalla sentenza d’ appello o rappresentata dai documenti esaminabili (allorquando la Cassazione è eccezionalmente giudice del fatto); e certamente tale non può considerarsi un apprezzamento o una conseguenza giuridica, come nel caso di specie, non potendo il Giudice della legittimità essere chiamato a decidere nuovamente la causa in una sorta di anomalo nuovo giudizio, a seguito d’una impropria opposizione.

Questa Corte reiteratamente ha avuto modo di chiarire che il combinato disposto dell’art. 391 bis c.p.c., e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione; né, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, sicché non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione, considerato anche che, quanto all’effettività della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza Europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonché l’ordinata amministrazione della giustizia (Sez. U, n. 8984, 11/ 04/ 2018, R12. 648127; cfr., anche, Sei U., n. 30994, 27/12/ 2017; Sez. 6, n. 14937, 15/ 6/ 2017)”.

Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore del Comune di Martina Franca siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte dei ricorrenti, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del resistente, che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, e agli esborsi, liquidati in Euro 200,00.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

 

 

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