Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 508 del 12/01/2011

Cassazione civile sez. un., 12/01/2011, (ud. 16/11/2010, dep. 12/01/2011), n.508

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Primo Presidente f.f. –

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente di sezione –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OVIDIO 10,

presso lo studio dell’avvocato ANNA BEI – STUDIO ROSATI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GUALTIERI ALFREDO, per delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA,

PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 104/2010 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 21/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2010 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCTANTE;

udito l’Avvocato Alfredo GUALTIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 24 maggio 2010 la sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura ha inflitto la sanzione della censura al dott. N.G., dichiarandolo responsabile “dell’illecito disciplinare di cui al R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 e, dalla data della sua entrata in vigore, di cui, al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. a) e q) per avere, mancando ai propri doveri di diligenza e laboriosita’, ritardato in modo reiterato, grave e ingiustificato il compimento di atti relativi all’esercizio delle proprie funzioni. Infatti, nella qualita’ di giudice del Tribunale di Catanzaro, nel periodo dal 1 gennaio 2005 al 31 dicembre 2008 non ha rispettato i termini di deposito delle 125 sentenze civili di cui agli allegati elenchi (35 delle quali non ancora depositate alla data del 31 dicembre 2008 e quindi con ritardi destinati inevitabilmente ad aumentare), nonostante fosse gia’ trascorso oltre il triplo del termine concesso al giudice dall’art. 281 – quinquies c.p.c. Quanto alle sentenze depositate, in un caso il ritardo ha superato i 1.500 giorni; in altri due i 1.400 giorni; in diciassette i 1.300 giorni; in ventidue i 1.200 giorni; in undici i 1.100 giorni; in sette i 1.000 giorni; in cinque i 900 giorni; e negli altri 25 casi i ritardi erano via via inferiori, ma comunque nella maggior parte superiori – anche di molto – all’anno. Quanto alle sentenze non ancora depositate, i ritardi, calcolati al 31 dicembre 2008, ma destinati ad aumentare, erano in un caso superiore ai 2.100 giorni; in sei superiori ai 2.000; in un caso superiore ai 1.800 giorni; in altri due ai 1.700 giorni; in undici ai 1.600: in due ai 1.500; in cinque ai 1.400 giorni; in tre ai 1.000 giorni ed in uno ai 900 giorni. Con tale comportamento il dott. N. si e’ reso immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere un magistrato, compromettendo anche il prestigio dell’ordine giudiziario; inoltre ha arrecato un ingiusto pregiudizio alle parti, procrastinando, anche per anni, l’esercizio del diritto di impugnazione e la definizione delle cause; ha esposto, altresi’, lo Stato italiano alla possibilita’ di essere censurato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione del principio della durata ragionevole del processo. Notizia circostanziata dei fatti acquisita il 4 giugno 2009”.

Contro tale sentenza il dott. N.G. ha proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi. Il Ministro della giustizia non ha svolto attivita’ difensive nel giudizio di legittimita’.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i due motivi addotti a sostegno del ricorso il dott. N. G. rivolge alla sentenza impugnata essenzialmente una stessa censura, articolata sotto i profili della “contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato” e della “violazione ed errata applicazione del R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 e, dalla data della sua entrata in vigore, di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. l, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. a) e q), lamentando che il giudice a quo, pur dando atto di «un impegno lavorativo del dott. N. di prim’ordine e con risultati organizzativi di assoluto rilievo”, lo ha dichiarato tuttavia responsabile dell’illecito disciplinare in questione, consistito in ritardi non indicativi di scarsa laboriosita’ o di negligenza, dovuti anche a difficolta’ personali e famigliari, ritenuti peraltro dallo stesso Consiglio superiore della magistratura non ostativi al conferimento delle funzioni di magistrato di appello, deliberato nel 2007.

La doglianza va disattesa, poiche’ i ritardi in cui e’ incorso il dott. N.G., per il numero e per l’entita’ che risultano dal capo di incolpazione sopra trascritto, senz’altro superano di gran lunga quei limiti di ragionevolezza, il cui mancato rispetto – secondo la costante giurisprudenza di legittimita’ in materia: v., tra le piu’ recenti, Cass. s.u. 23 dicembre 2009 n. 27290, 18 giugno 2010 n. 14697 – esclude ogni possibilita’ di giustificazione, indipendentemente dalla laboriosita’ in ipotesi dimostrata dal magistrato. Ad essa, dunque, correttamente non e’ stato attribuito valore di esimente, a fronte di tanti e tanto consistenti ritardi, protrattisi in qualche caso fino a cinque anni, la cui intollerabilita’ non e’ esclusa dai concomitanti impegni gravanti sul magistrato, il quale avrebbe dovuto comunque evitare la formazione e la persistenza di un accumulo cosi’ vistoso di provvedimenti da redigere. E’ questa l’essenza dell’addebito del quale l’incolpato e’ stato dichiarato responsabile, sicche’ sono inconferenti le critiche formulate dal ricorrente alla sentenza impugnata, nella parte in cui si e’ anche rilevata la mancanza, da parte sua, sia di una richiesta di essere sollevato da incarichi collaterali all’attivita’ giudiziaria, come la partecipazione agli esami per avvocato, sia la dimostrazione della incapacita’ di autoorganizzarsi, anche nel dare corso al “piano di rientro”, pure rimasto senza esito positivo.

Infondato e’ altresi’ il rilievo di contraddittorieta’, poiche’ la natura giurisdizionale della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura esclude che i suoi provvedimenti possano essere vincolati da quanto il Consiglio abbia deliberato quale organo amministrativo, stante la diversita’ dell’oggetto, dei criteri e della finalita’ delle valutazioni da compiere nell’esercizio dell’una funzione dell’altra.

Il ricorso viene pertanto rigettato.

Non vi e’ da provvedere sulle spese del giudizio di legittimita’, nel quale il Ministro della giustizia non ha svolto attivita’ difensive.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2011

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