Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5074 del 28/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 28/02/2017, (ud. 11/01/2017, dep.28/02/2017),  n. 5074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) sal, in persona del l.r.p.t., rappr. e dif. dall’avv.

Sabatino Ciprietti, elett. dom. in Roma, presso lo studio dell’avv.

Letizia Tilli, alla via Germanico n. 96, come da procura a margine

dell’atto;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore fall. p.t.

C.C., Ceramiche Atlas Concorde s.p.a., Procura generale

presso la Corte di cassazione;

– intimati –

per la cassazione della sentenza App. L’Aquila 26.6.2014 n. 714/14 in

R.G. n. 991/13;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 11 gennaio 2017 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;

udito l’avvocato Alberto Sagna per il ricorrente;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Il PROCESSO

(OMISSIS) s.r.l. impugna la sentenza App. L’Aquila 26.6.2014, n. 714/14 in R.G. 991/13, che respinse il proprio reclamo interposto L. Fall., ex art. 18 avverso la sentenza Trib. Pescara 25.6.2013 n. (OMISSIS) dichiarativa del fallimento a seguito di contestualmente deliberato decreto di inammissibilità della proposta di concordato, già promosso ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 6 con ricorso del 23.10.2012, poi seguito da proposta nei termini della continuità aziendale L. Fall., ex art. 186bis.

In premessa rilevò la corte d’appello l’infondatezza dei motivi di reclamo, in quanto: a) nessuna violazione del principio della domanda sussisteva avendo riguardo alla partecipazione al procedimento dei creditori istanti per il fallimento, convocati all’udienza del 14.6.2013 ed allora non comparsi, ma intervenuti alla successiva udienza del 20.6.2013, con possibilità di interlocuzione comunque assicurata alla debitrice, dal momento che il tribunale dapprima aveva ritenuto con decreto l’inesistenza dei presupposti dell’ammissione al concordato e poi, con autonoma sentenza, l’insolvenza e i requisiti del fallimento; b) nel merito, la valutazione negativa dell’antigiuridicità della proposta discendeva dalla previsione di una proposta e di un piano con pagamento ai chirografari grazie a somme ricavate dalla liquidazione di immobili ipotecati e prima del soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati, in violazione della L. Fall., art. 186bis, comma 2, lett. c) e art. 160, in termini di violazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione; c) non emergeva un corretto coordinamento tra il piano-proposta, ridefinito, dopo l’iniziale atto del 24.12.2012 con nuovo atto del 22.2.2013 ed in tale seconda data accompagnato da apparente attestazione che si limitava ad un rinvio a quella precedente, senza un’analisi completa dell’atto nuovo, il quale s’incentrava sulla ripresa dei lavori di più cantieri ed un attivo che ne sarebbe derivato e che però non veniva stimato, nè vi era puntuale indicazione dei costi e ricavi, delle risorse finanziarie necessarie e delle coperture L. Fall., ex art. 186bis, comma 2, lett. a); d) risultavano poi difformità nei vari atti circa le percentuali di soddisfo ai chirografi, oscillanti tra il 66,35% e il range 40-50%, la genericità dei tempi di pagamento e la loro influenza sugli interessi accessori in favore dei crediti privilegiati da pagare in via differita, l’incertezza su tempi e modalità delle liquidazioni, limiti non superati dalle integrazioni acquisite in sede istruttoria, fino a quella del 15.4.2013 in punto di liquidazione immobiliare e destinazione preferenziale ai chirografi, di contro ad un fabbisogno dei privilegiati per circa 3,9 milioni di Euro, con previsione di realizzo per soli 3,5 milioni di Euro circa.

Il ricorso è affidato a cinque motivi.

Diritto

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce violazione di legge e la nullità della sentenza ai sensi della L. Fall., artt. 160 – 162, art. 70 c.p.c., n. 5, artt. 71 e 158 c.p.c., per via del mancato intervento del P.M. nel corso del procedimento.

Con il secondo motivo, lamenta la ricorrente la violazione della L. Fall., artt. 15 e 162, avendo erroneamente la sentenza ritenuto rispettato il contraddittorio con i creditori anche se essi non si erano presentati all’udienza convocata sulle rispettive istanze, bensì solo a quella, successiva e distinta, indetta per la verifica dei presupposti di ammissibilità del concordato.

Con il terzo motivo viene invocata la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo all’insolvenza, non oggetto di trattazione specifica da parte della corte d’appello ed apparendo non corretto ogni richiamo alle valutazioni del tribunale, che aveva assunto valori inveritieri ed erronei, nonchè deciso su modesti crediti degli istanti, mentre l’attivo superava il passivo.

Con il quarto motivo si allega il vizio di motivazione ove la sentenza ha errato nel ritenere che i chirografi sarebbero stati pagati in parte prima dei privilegiati.

1. Il primo motivo è infondato. Al di là dell’improprio richiamo operato dalla parte alle norme dettate dalla L. Fall., art. 183 in tema di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento che sia emessa ai sensi della L. Fall., art. 180, comma 7, in una alla reiezione della omologazione, nella vicenda appare non controverso che il tribunale ebbe a pronunciare l’inammissibilità della proposta già L. Fall., ex art. 162, accompagnando al relativo decreto la sentenza di fallimento, non potendo in ogni caso farsi discendere dalla prevista comunicazione al pubblico ministero della domanda di concordato (disposta dalla L. Fall., art. 161, comma 5 ratione temporis vigente) alcuna partecipazione necessaria di tale organo, a pena di nullità, nel processo di concordato e, per restare al vizio denunciato, nella sua fase impugnatoria. Come invero da ultimo ribadito con riguardo alla negata qualità di rapporto controverso (di regola), quale dedotto nel procedimento che non prevede di per sè alcun contraddittorio bensì la sola audizione del debitore (Cass. s.u. 27073/2016), il P.M. non vi ha legittimazione passiva, assolvendo la citata comunicazione allo scopo di provocare controlli nell’interesse pubblico alla verifica della regolarità della procedura e tenuto conto, secondo indirizzo già maturato anche prima della riforma, che “non avendo il P.M. il potere di promuovere il procedimento, le sue funzioni si identificano con quelle svolte dal procuratore generale presso il giudice “ad quem” e sono assicurate dalla partecipazione di quest’ultimo al giudizio di impugnazione; mentre, la suddetta integrazione è necessaria nelle sole controversie in cui il P.M. è titolare del potere di impugnazione, trattandosi di cause che avrebbe potuto promuovere o per le quali il potere di impugnazione è previsto dall’art. 72 c.p.c.” (Cass. s.u. 9743/2008). dunque l’Ufficio della Procura della Repubblica presso il tribunale che deve seguire l’andamento anche istruttorio del procedimento, potendo prendere parte alla camera di consiglio indetta dal tribunale per ogni audizione del debitore, in quella o altra sede instare per la richiesta di fallimento, esplicare poteri di sollecitazione ed introdurre elementi di fatto nei diversi incidenti di reversione nell’iter del progetto concordatizio, ma sempre all’interno della facoltatività del suo intervento, che non è dunque previsto a pena di nullità.

2. Il secondo motivo è infondato, apparendo incontroverso dai due provvedimenti di primo grado assunti alla camera di consiglio del 25.6.2013 (e pubblicati il 1 e 2 luglio 2013) che il tribunale ebbe a disporre la trattazione unitaria del procedimento sull’ammissibilità del concordato con le istanze di fallimento dei creditori, pendenti al momento del deposito della domanda L. Fall., ex art. 161, comma 6 e solo temporaneamente improcedibili (Cass. 17764/2016) e che l’udienza del 20.6.2013, cui detti creditori si presentarono (assenti invece a quella del 14.6.2013), era stata disposta in sede di rinvio dalla precedente. Ciò permette di ritenere complessivamente corretta la ratio decidendi reiettiva del reclamo sul punto, avendo la corte osservato il principio per cui “La declaratoria di fallimento, qualora faccia seguito alla pronuncia di inammissibilità di una proposta di concordato preventivo depositata pendente un ricorso prefallimentare ad essa riunito e successivamente notificato, non richiede ulteriori adempimenti procedurali, ivi compresa la preventiva audizione del debitore, inquadrandosi in una procedura unitaria, nella quale quest’ultimo ha già formalizzato il rapporto processuale innanzi al tribunale ed il cui eventuale sbocco nella dichiarazione di fallimento gli è noto fin dal momento della presentazione della domanda concordataria, sicchè lo stesso, per effetto di quella riunione, è posto nelle condizioni di predisporre i mezzi di difesa più adeguati sia in ordine all’ammissibilità della proposta, che per contrastare la richiesta di fallimento.” (Cass. 25587/2015, 12957/2016).

3. Il terzo motivo è infondato, risultando pacifico che il concordato proposto, nella forma della continuità aziendale, faceva riferimento ad un’impresa in progettata attività, per la quale in primo luogo nessuna rilevanza poteva assumere, già in thesi, l’astratto confronto tra il valore dell’attivo e del passivo, proprio della disamina dell’insolvenza delle sole imprese in liquidazione (Cass. 21834/2009). Va poi osservato che la pluralità delle contestazioni di merito relative all’inammissibilità del concordato, per come riprese dai due provvedimenti del tribunale, permette di ricostruire siccome esplicitato un apprezzamento del requisito oggettivo di cui alla L. Fall., art. 5, atteso che nessuna seria contestazione è stata allegata riguardo ai debiti verso i due creditori istanti (per quanto di valore pari a 50 mila Euro a fronte di un progetto ristrutturativo del passivo giudicato incerto e malfermo nel suo cronoprogramma, al di là dei maggiori volumi). Così che anche la formazione della liquidità si connetteva ad un progetto in parte dismissivo di immobili e però collocato in un orizzonte di circa sei mesi – un anno, senza dunque una provvista pronta a fronteggiare altre scadenze.

4. Il quarto motivo è infondato involgendo una censura di fatto che, per un verso, non supera il limite di cui al vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 posto che, quanto alle prospettive di soddisfacimento proprie della realizzazione della continuità aziendale (in apparenza nella sua forma diretta e però bocciata dal giudice di merito per insanabile contrasto con le esigenze di puntuale previsione dei dettagli operativi di cui alla L. Fall., art. 186bis), “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Cass. s.u. 8053/2014). Per altro verso, si osserva nel ricorso una solo generica rivendicazione di completezza (ospitata anche nel motivo precedente, a pag. 69), ma senza ordinata e specifica esposizione come puntuale censura della corrispondente ratio decidendi, ove anche per i giudici de L’Aquila vi è stata assenza delle motivate attestazioni che l’esperto-professionista avrebbe dovuto rilasciare ex art.186bis 1.f. sia in termini di analitica indicazione dei costi e ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa, risorse finanziarie necessarie e coperture (letta del co.2), sia della funzionalità della continuità al miglior soddisfacimento dei creditori (comma 2, lett. b), trattandosi di condizioni di ammissibilità di quel tipo di proposta. Non può invero dirsi rispettato, alla stregua del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 e 6, e nonostante la pura e semplice trascrizione delle varie note dell’attestatrice, l’indispensabile criterio ordinante che colleghi quelle asseverazioni in modo critico alle severe censure di incompletezza, incongruenza e totale difetto di coordinamento con la proposta assunte decisivamente dal giudice di merito a fondamento dell’inammissibilità della proposta stessa, ad iniziare dalla circostanza per cui la prima attestazione interveniva nel dicembre 2012 su proposta e piano non ancora sottoscritti dal debitore, quella successiva del febbraio 2013 non analizzava contestualmente in modo chiaro l’atto di pari data e mancavano infine perizie di stima sull’attivo prospettato in strategica cessione dismissiva.

Il ricorso va dunque rigettato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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