Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5073 del 24/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/02/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 24/02/2021), n.5073

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26649-2019 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE rappresentato e

difeso dall’avvocato RAFFAELE PETRONE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6150/19/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALI, della CAMPANIA, depositata il 25/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CROLLA

COSMO.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

1. S.G., socio al 27% della società L.E.V. srl, proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli avverso l’avviso con il quale l’Agenzia delle Entrate, sulla base del maggior reddito accertato nei confronti della società e della ristretta base sociale di detta società (con conseguente presunzione di distribuzione di utili extrabilancio ai soci) accertava il maggior reddito del socio con conseguente ripresa fiscale per Irpef ed addizionali con riferimento all’anno di imposta 2003.

2. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso e la decisione favorevole per il ricorrente veniva confermata dalla Commissione tributaria Regionale della Campania; su ricorso dell’Ufficio la Corte di Cassazione con sentenza nr. 20301/2061 annullava con rinvio; riassunto il processo la CTR rigettava l’originario ricorso proposto dal contribuente (e quindi accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate) rilevando che il giudizio penale originato dalla querela sporta dal contribuente non aveva alcuna rilevanza con la questione oggetto di controversia che concerneva la presunzione di ripartizione degli utili tra i soci di una società a ristretta base sociale.

5. Avverso la sentenza della CTR S.G. ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a due motivi, Agenzia delle Entrate si è costituita depositando controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 41 e 44, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essersi la CTR, nel negare ogni interferenza tra il processo penale con la questione della estraneità del socio alle vicende societarie, discostata dalla normativa di settore e dai principi giurisprudenziali affermati in materia.

1.2 Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost. per avere i giudici di seconde cure reso una motivazione illogica ed apparente.

2. Il primo motivo è infondato

2.1 In forza di un principio ribadito in più occasione dai giudici della Suprema Corte l’accertamento di utili extracontabili in capo alla società di capitali a ristretta base sociale consente di inferire la loro distribuzione tra i soci in proporzione alle loro quote di partecipazione salva la facoltà per gli stessi di fornire la prova contraria costituita dal fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvesti(cfr. tra le tante Cass. 26248/2010, Cass. 8473/2014 e da ultimo 27049/2019). In particolare, si è precisato che la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo grado poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass. 22 aprile 2009, n. 9519).

2.2 A tale insegnamento si è uniformato anche il giudice rescindente affermando che “nel caso di società di capitali a ristretta base sociale (quale è da ritenersi quella in questione, la cui compagine è formata da cinque soci, di cui due tra loro parenti), è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti”. La Corte, annullando la sentenza impugnata dall’Agenzia delle Entrate ha precisato che “la CTR non si è attenuta a detti principi, avendo invero valorizzato una circostanza (l’eventuale estraneità del contribuente all’alterazione dei bilanci ed ai fatti illeciti dallo stesso denunziati) relativa al modo con cui si erano formati gli utili extrabilancio ma assolutamente estranea alla su esposta presunzione di distribuzione (utili extrabilancio accertati nei confronti della società in altro giudizio con sentenza che si assume passata in giudicato: circostanza quest’ultima affermata dall’Agenzia e non contestata dal contribuente)”.

2.3 La CTR in sede di rinvio, accertata l’esistenza di ricavi occulti e la ristretta base sociale della compagine societaria, ha ritenuto inesistente ogni rapporto di pregiudizialità tra il processo penale, del quale non si conosceva l’esito e la questione dell’estraneità del contribuente alle vicende societarie, che è risultata circostanza non provata nel corso del giudizio.

2.4 Le argomentazioni dell’impugnata sentenza sono coerenti con il principio di diritto enunciato dal giudice rescindente.

3. Il secondo motivo è parimenti infondato.

3.1 Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. E’ noto che in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con modif. in L. n. 134 del 2012, è denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si concretizza nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, quale ipotesi che non rende percepibile l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. In particolare, il vizio motivazionale previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis, presuppone che il giudice di merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, mentre resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. E così, ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. S.U. nr 8054/2014)

3.1 Nella fattispecie la motivazione della sentenza non è connotata da tali deficienze che la pongono al di sotto del minimo costituzionale in quanto vengono sufficientemente spiegate le ragioni della legittimità dell’impugnato avviso di accertamento.

4. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in Euro 5.600,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2021

 

 

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