Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5072 del 28/02/2017

Cassazione civile, sez. I, 28/02/2017, (ud. 09/01/2017, dep.28/02/2017),  n. 5072

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19943/2013 proposto da:

B.W. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato Pietro Garbarino, giusta

procura in atti;

– ricorrente –

contro

Comune Lavenone;

– intimato –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 615/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/01/2017 dal cons. DE MARZO GIUSEPPE;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato I. NEGRO, con delega, cha ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CERONI

FRANCESCA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata il 15 maggio 2013 la Corte d’appello di Brescia ha respinto il gravame proposto da B.W., avverso la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda, intesa ad ottenere, previa disapplicazione dei provvedimenti con i quali era stata disattesa la sua richiesta di trasferimento della residenza, l’accertamento del proprio diritto all’iscrizione nei registri dell’anagrafe della popolazione residente nel Comune di Lavenone e la condanna di tale ente e del Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni.

2. La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha osservato: a) che solo nell’atto di appello il B. aveva sostenuto che il rustico di proprietà paterna costituiva il luogo in cui risiedeva la sua famiglia e nel quale si tratteneva quando gli era necessario per curare gli “animali domestici”, in quanto nell’atto di citazione aveva dedotto che, sino a quel momento, egli aveva la sua dimora altrove, in (OMISSIS), e che intendeva piuttosto fissarla in (OMISSIS), per intraprendere un’attività non ancora iniziata; b) che non era neppure stata allegata la disponibilità di un alloggio utilizzato o utilizzabile come dimora abituale nel territorio di tale Comune, in quanto l’attore aveva precisato che, solo dopo il conseguimento dell’iscrizione nell’anagrafe e dei finanziamenti, il rustico sarebbe stato ristrutturato per renderlo abitabile; c) che, comunque, al di là dell’inammissibilità dell’appello, in quanto fondato su una prospettazione in fatto diversa da quella iniziale, in occasione di cinque accessi, gli incaricati del Comune non avevano mai reperito il B.; d) che la descrizione dell’immobile contenuta negli atti di primo grado (un fienile in muratura e una baracca in legno per ricovero animali, privi di impianti igienico – sanitari e di energia elettrica, in zona montana di pascolo) rendeva palese che non poteva trattarsi del luogo di abituale dimora dell’attore e della sua famiglia.

3. Avverso tale sentenza, il B. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. E’ stato depositato atto di costituzione per il Ministero dell’Interno. Nell’interesse del B. è stata depositata memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 43 cod. civ., in relazione alla circolare n. 8 del 1995 del Ministero dell’Interno, rilevando che gli orientamenti espressi da quest’ultima erano stati confermati dalla circolare n. 1 del 2013 e, in generale, che il requisito dell’abitualità caratterizzante la nozione di residenza non può essere apprezzato solo in base al dato temporale della durata o dell’interesse eventualmente temporaneo che il soggetto abbia nello stare in un certo luogo, ma deve trovare riscontro principalmente nella volontà dell’interessato, non essendo incompatibile con eventuali allontanamenti.

Ne discende, secondo il ricorrente, che la mancata presenza nell’alloggio di residenza, in occasione dei controlli effettuati dagli organi di polizia, non costituisce prova determinante della non veridicità delle dichiarazioni rese quanto alla disponibilità nel Comune di Lavenone di un fabbricato con annessi terreni sui quali già venivano allevati animali – essendo già esistente in loco e in via di fatto una piccola azienda agricola – e sui quali avrebbe inteso avviare una vera e propria attività imprenditoriale, utilizzando gli incentivi messi a disposizione dalla Regione Lombardia e dall’Unione europea.

Si aggiunge in ricorso: a) che nel predetto fabbricato i genitori del B. e lo stesso ricorrente saltuariamente dimoravano per accudire il bestiame e che l’intenzione del B. era quella di dimorarvi stabilmente, quando, ricevuti i finanziamenti, avesse ampliato la propria attività; b) che i dipendenti del Comune di Lavenone avevano svolto cinque accessi nei quali avevano sempre incontrato i genitori del ricorrente, ma non quest’ultimo, impegnato in attività agricole.

2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge, in relazione al D.L. n. 5 del 2012, art. 5, comma 3, per avere i giudici di merito erroneamente qualificato l’accertamento compiuto dalla polizia municipale come preventivo e non come eventuale e successivo alla dichiarazione.

3. Il ricorso è inammissibile, per violazione dell’art. 365 cod. proc. civ., in quanto, nonostante il riferimento nell’intestazione del ricorso ad una “procura speciale già in atti”, non è dato rinvenire la stessa, della quale, peraltro non si fa menzione nell’indice degli atti depositati.

Al riguardo, va ribadito che la procura per il ricorso per cassazione ha carattere speciale ed è valida solo se rilasciata in data successiva alla sentenza impugnata, attesa l’esigenza di assicurare, in modo giuridicamente certo, la riferibilità dell’attività svolta dal difensore al titolare della posizione sostanziale controversa. Ne consegue che il ricorso è inammissibile qualora la procura sia conferita a margine dell’atto introduttivo di primo grado, ancorchè per tutti i gradi di giudizio (v., ad es., Cass., ordinanza 11 settembre 2014, n. 19226).

4. In conclusione, il ricorso principale va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese, dal momento che l’intimato Ministero non ha svolto attività difensiva.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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