Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5071 del 28/02/2017

Cassazione civile, sez. I, 28/02/2017, (ud. 09/01/2017, dep.28/02/2017),  n. 5071

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7840/2012 proposto da:

C.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in

Roma, Via Alessandria n.25, presso l’avvocato Borromeo Chiara, che

la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Trevi Finance 2 S.p.a., e per essa UniCredit Credit Management Bank

S.p.a. (già denominata UNICREDITO GESTIONE CREDITI S.P.A. – BANCA

PER LA GESTIONE DEI CREDITI), quale mandataria di UniCredit S.p.a.

(a sua volta mandataria della ricorrente), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Chiana n.112-c, presso l’avvocato De Bonis Armando che la

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 814/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/01/2017 dal cons. DE MARZO GIUSEPPE;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato C. BORROMEO che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CERONI

FRANCESCA che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata in data 15 febbraio 2012, la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da C.A. avverso la decisione di primo grado, che, nel decidere sull’opposizione a decreto ingiuntivo proposta nei confronti della Banca di Roma, aveva revocato il provvedimento monitorio e condannato l’opponente al pagamento della minor somma di Lire 16.555.380.

2. La Corte d’appello ha rilevato: a) che era stato acquisito il contratto di conto corrente, sottoscritto dalla C. e da Q.A., ove si leggeva che qualsiasi operazione in conto corrente avrebbe potuto essere effettuata separatamente da ciascuno dei due e che entrambi, ai sensi dell’art. 1854 cod. civ., sarebbero stati creditori e debitori dei saldi del conto medesimo; b) che, pertanto, era irrilevante il fatto che la C. non avesse autorizzato le aperture di credito utilizzate dall’altro correntista; c) che del pari irrilevante era la deduzione della C. di avere comunicato verbalmente alla banca la separazione dal coniuge cointestatario e di avere ricevuto rassicurazioni sulla chiusura del conto, dal momento che il contratto prevedeva che la “facoltà di firma disgiunta” sarebbe rimasta operativa sino all’invio, con lettera raccomandata, di una comunicazione scritta.

3. Avverso tale sentenza, la C. propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Resiste con controricorso UniCredit Credit Management Bank s.p.a., quale mandataria di UniCredit s.p.a., a sua volta mandataria di Trevi Finance 2 s.p.a. Nell’interesse della C. è stata depositata memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 1842 cod. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto di porre a carico della C. un saldo debitore che scaturiva da un contratto di apertura di credito del quale la stessa non era parte.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia trascurato di considerare che la banca, dopo che la C. aveva disconosciuto le sottoscrizioni apposte in calce ai contratti di apertura di credito, aveva dichiarato di non volersi avvalere dei documenti disconosciuti, con la conseguenza che non poteva essere attribuito rilievo alla circostanza che, all’epoca dei fatti, non fosse necessaria la forma scritta per la conclusione del contratto.

3. Con il terzo motivo, si lamenta che la cointestazione di un conto, al quale peraltro la C. non aveva accesso dal momento della separazione, non comporta il sorgere, per ciascun contitolare, delle obbligazioni assunte separatamente da altro titolare.

4. Con il quarto motivo si lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto “valida la richiesta di pagamento effettuata solo a carico di uno dei cointestatari”, peraltro non operante sul conto.

5. Con il quinto motivo si lamenta omessa pronuncia in relazione alla documentazione sulla base della quale era stato emesso il decreto ingiuntivo, ossia il solo “saldo contabile e non estratto conto”, con calcolo trimestrale degli interessi debitori, mentre quelli creditori erano conteggiati su base annua.

6. I primi tre motivi, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione logica, sono infondati.

Questa Corte ha avuto modo di puntualizzare che il collegamento negoziale non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo accordo, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, che conservano una loro causa autonoma anche se ciascuno è finalizzato ad un unitario regolamento dei reciproci interessi, con la conseguenza che, pur determinandosi, tra loro, un vincolo di reciproca dipendenza, in virtù del quale le vicende relative all’invalidità, all’inefficacia ed alla risoluzione dell’uno possono ripercuotersi sugli altri, ciascuno di essi mantiene una propria individualità giuridica (Cass. 1 ottobre 2014, n. 20726).

Ora, la Corte territoriale si è confrontata con il regolamento negoziale contenuto nel contratto di conto corrente (“dichiariamo che qualsiasi operazione in c/c potrà essere effettuata separatamente da ciascuno di noi con la firma di cui allo specimen sopra riportato e vi esoneriamo espressamente da ogni e qualsiasi responsabilità a termini di legge; tale facoltà di firma disgiunta ci impegna – a norma e per gli effetti dell’ad. 1854 c.c. – quali vostri creditori e debitori dei saldi del conto”), e, con una interpretazione della clausola negoziale che non è stata in alcun modo censurata dalla ricorrente, ha, nella sostanza, ritenuto che tale previsione consentisse a ciascuno dei correntisti di utilizzare il conto compiendo non solo operazioni di mero prelievo e di versamento, ma in genere le “operazioni bancarie” che, al pari dell’apertura di credito, sono menzionate nell’art. 1852 cod. civ. e illuminano il significato dell’espressione adoperata dal successivo art. 1854, esplicitamente richiamato nella clausola contrattuale della quale si discute.

In tale prospettiva si intende come non abbia rilievo la distinzione, che pure emerge nei motivi di censura, fra la responsabilità per il saldo passivo e la titolarità delle obbligazioni scaturenti dal contratto di apertura di credito bancario, in quanto sono stati proprio i cointestatari del conto, accettando il regolamento negoziale sopra ricordato e come sopra interpretato, a volersi avvalere della funzione di servizio di cassa tipicamente ricondotta al contratto di conto corrente bancario (Cass. 24 maggio 1991, n. 5876, la quale ne ha tratto la coerente conseguenza che, in caso di cointestazione del conto: a) non rileva, in relazione alla posizione della banca, quale dei titolari sia beneficiario dell’accredito o chi abbia utilizzato la somma accreditata oppure la provenienza ed il destinatario del bonifico, che riguardano soltanto i rapporti fra terzo e correntista; b) quando una certa somma sia affluita sul conto, la stessa rientra nella disponibilità di entrambi i correntisti, i quali, a norma dell’art. 1854 cod. civ., ne divengano condebitori nel caso in cui venga a risultare l’erroneità del suo accreditamento, restando irrilevante che taluno dei cointestatari non abbia in concreto compiuto operazioni sul conto, atteso che è sufficiente, ai fini della norma suddetta, che avesse titolo per compierle).

Alla stregua delle superiori considerazioni appare evidente l’assenza di decisività sia della mancanza di sottoscrizione, da parte della C., dei contratti di apertura di credito, sia della circostanza, dedotta dalla ricorrente, che ella avesse scelto di non accedere al conto, giacchè non risulta alcun legale impedimento alla possibilità per la stessa di operarvi.

7. Il quarto motivo è manifestamente infondato, giacchè il creditore può costringere ciascuno dei debitori solidali all’adempimento dell’obbligazione per l’intero, ai sensi dell’art. 1292 cod. civ..

8. Infondato è, infine, il quinto motivo.

Premesso che il decreto ingiuntivo è stato revocato, con la conseguenza che non assume alcun rilievo la questione della documentazione (peraltro legittimamente, attesa la portata generale dell’espressione “prova scritta”, utilizzata dall’art. 633 c.p.p., comma 1, n. 1) posta a base del provvedimento monitorio, si osserva, per il resto, che la generica e quasi incidentale considerazione dedicata in ricorso al diverso criterio di capitalizzazione di interessi attivi e passivi si correla a questioni fattuali che non risultano essere state sottoposte all’esame dei giudici di merito.

Al riguardo, va ribadita l’improponibilità, nel giudizio di cassazione, di questioni non dibattute nelle precedenti fasi processuali, quante volte esse presuppongano nuove indagini o valutazioni di fatto (v., ad es., Cass. 26 marzo 2012, n. 4787).

9. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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