Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5070 del 02/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 02/03/2011, (ud. 03/02/2011, dep. 02/03/2011), n.5070

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 759/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

F.M.I., elettivamente domiciliata in ROMA VIA

CALABRIA 56 presso lo studio dell’avvocato D’AMATO Antonio, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CECERE GIANLUCA, giusta

delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 160/2004 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SALERNO, depositata il 10/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

03/02/2011 dal Consigliere Dott. SERGIO BERNARDI;

udito per il ricorrente l’Avvocato CASELLI GIANCARLO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.M.i. cedette nel 1994 un ramo della sua azienda. Per l’atto fu accertato, ai fini dell’imposta di registro, il valore di L. 95.000.000. Il 31.12.2000 l’Agenzia delle Entrate accertò la medesima somma come plusvalenza non dichiarata dalla contribuente nel reddito d’impresa 1994. La F. propose ricorso, contestando che il valore definito ai fini dell’imposta di registro potesse porsi a base dell’accertamento Irpef. La Commissione Tributaria Provinciale di Salerno ridusse il valore accertato della plusvalenza da L. 95 a L. 13 milioni, e la CTR respinse l’appello dell’Ufficio, che ricorre con un motivo per la cassazione della sentenza. La contribuente resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54 e vizio di motivazione illogica su punto di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Si assume che non è logico ritenere che il medesimo presupposto di fatto possa essere diversamente apprezzato in relazione ad imposte diverse, ove le singole leggi d’imposta non stabiliscono differenti criteri di valutazione. E si richiamano pronunce di questa corte che hanno affermato che – in forza dei principi costituzionali di uguaglianza, di legalità, di imparzialità amministrativa e di capacità contributiva, stabiliti dagli artt. 3, 97 e 53 Cost. – il valore accertato dall’Amministrazione finanziaria ai fini applicativi di una imposta vincola la stessa Amministrazione anche nell’applicazione di altri tributi (4117/02, 19321/06).

La doglianza è fondata, ancorchè muova dal non condivisibile assunto che l’imposta di registro e l’Irpef sulla plusvalenza dovessero calcolarsi sull’identica base costituita dal valore di mercato dell’azienda ceduta. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54, assoggetta invero a tassazione Irpef la plusvalenza “realizzata” con la cessione: calcolata non in base al prezzo teorico del bene (che è oggetto dell’imposta di registro) ma in relazione al corrispettivo effettivamente percepito. Ciò stante, questa corte ha affermato che l’Amministrazione è bensì legittimata a porre il valore definito per l’imposta di registro a base dell’accertamento della plusvalenza soggetta ad Irpef, ma che tale presunzione di identità delle due basi di calcolo può essere vinta dal contribuente con la prova che, nella specie, il valore di mercato della azienda ceduta non è stato interamente realizzato (Cass. 19548/05, 21055/05, 4057/07).

Nella specie, peraltro, la CTR non ha, in fatto, accertato la circostanza che avrebbe reso inapplicabile la presunzione invocata dall’Ufficio. La sentenza impugnata non ha motivato il convincimento che il valore di mercato dell’azienda ceduta non fosse stato interamente realizzato. Dando rilievo alle risultanze di causa concernenti “la contabilità dell’azienda ceduta”, e la “capacità reddituale della stessa”, ha ritenuto raggiunta la prova che il valore di mercato dell’azienda fosse diverso ed inferiore a quello definito ai fini dell’imposta di registro: come doveva viceversa ritenersi fra le parti definitivamente accertato.

Va quindi accolto il ricorso, e – poichè non appaiono necessari altri accertamenti di fatto – decisa la causa nel merito col rigetto de ricorso introduttivo della contribuente. Le spese del processo debbono seguire la soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e – decidendo nel merito – rigetta l’originario ricorso introduttivo della lite.

Condanna la contribuente al rimborso delle spese del processo, liquidate in Euro 100,00 per diritti e Euro 400,00 per onorari per ciascuno dei gradi di merito ed in Euro 600,00 per onorari per il giudizio di legittimità; per tutti i gradi oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2011

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