Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5069 del 28/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 28/02/2017, (ud. 21/12/2016, dep.28/02/2017),  n. 5069

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12260-2015 proposto da:

Z.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

PAISIELLO 15, presso l’avvocato ENNIO FRATTICCI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FABIO MESSI, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.A.S. E DEL SOCIO ILLIMITATAMENTE RESPONSABILE

M.F., NONCHE’ DEL SOCIO ILLIMITATAMENTE RESPONSABILE

Z.S., in persona del Curatore fallimentare avv. B.P.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. GIACOMO PORRO 8, presso

l’avvocato ANSELMO CARLEVARO, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIAMPIERO PAOLI, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

ITALFONDIARIO S.P.A., BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI CIVITANOVA

MARCHE, V.F., P.M., PROCURATORE DELLA

REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 485/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 07/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato MESSI FABIO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato CARLEVARO ANSELMO, con

delega orale, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il tribunale di Ancona, in data 31-1-2014, attribuendo a Z.S. la veste di socio accomandatario illimitatamente responsabile, ne dichiarava il fallimento in estensione di quello della (OMISSIS) s.a.s.

Il reclamo del socio veniva rigettato dalla corte d’appello di Ancona con sentenza in data 7-4-2015, sulla base della considerazione che l’avvenuto rilascio al medesimo di una procura institoria dovevasi considerare di per sè dimostrativo dell’ingerenza nella gestione della s.a.s.; ingerenza della quale erano stati altresì individuati specifici e significativi atti, quali compravendite immobiliari, istanze di rilascio di concessioni edilizie, rilascio di mandati ad litem e, soprattutto, un atto di vendita di quote sociali, da ritenere atto gestorio perchè avente influenza decisiva sull’amministrazione della società.

La corte d’appello riteneva priva di rilievo probatorio, perchè inopponibile in quanto non avente data certa, una scrittura privata prodotta da Z. in sede prefallimentare, attestante che egli era stato un mero “esecutore materiale della volontà e delle scelte gestionali del socio accomandatario”.

Reputava inoltre inesistente l’eccepita preclusione derivante da un previo rigetto di altra analoga istanza di fallimento, non avendo il provvedimento di rigetto attitudine al giudicato.

Riteneva non decorso il termine annuale previsto dalla L. Fall., art. 147, comma 2, in mancanza di una causa di estinzione del rapporto sociale. Infine rigettava, perchè privo di specificità e comunque infondato, il motivo di doglianza avente a oggetto l’avvenuta abbreviazione dei termini di cui alla L. Fall., art. 15, commi 3 e 4: da un lato, perchè vi era stato un decreto implicitamente motivato con riferimento alle ragioni di urgenza e, dall’altro, perchè il debitore, costituendosi, aveva svolto difese nel merito dell’istanza di fallimento e presentato finanche una memoria con copiosa documentazione; nè egli aveva specificato quali ulteriori difese erano state in concreto pregiudicate dal minor tempo disponibile.

Per la cassazione della sentenza lo Z. ha proposto ricorso affidato a sette motivi, illustrati da memoria.

Si è costituito il curatore del fallimento del socio e della società istante, con unico controricorso.

Non hanno svolto difese i creditori intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2320 c.c. e art. 2203 c.c. e seg., non avendo la corte territoriale tenuto conto che la prima norma non prevede alcun divieto per i soci accomandatari di rilasciare procura institoria agli accomandanti. Sostiene che l’attività d’impresa compiuta dall’institore è comunque imputata al preponente senza far assumere all’institore la veste di imprenditore commerciale soggetto a fallimento, salvo che egli ometta di far conoscere ai terzi la propria posizione funzionale. Pertanto, ad avviso del ricorrente, sarebbe errato desumere l’ingerenza nella gestione dalla sola procura institoria.

Il motivo è infondato.

– Il fallimento in estensione è da associare, nell’ottica della L. Fall., art. 147, alla responsabilità gestoria del socio illimitatamente responsabile, derivata dalla struttura di governo della società. In tale specifico senso la norma impone la fallibilità anche del socio che si sia ingerito nella gestione.

Come questa Corte ha avuto modo di puntualizzare, nella società in accomandita semplice il socio accomandante, che avvalendosi di procura conferente ampio ventaglio di poteri compie atti di amministrazione, interna o esterna, ovvero tratta o conclude affari della gestione sociale, incorre, a norma dell’art. 2320 c.c., nella decadenza dalla limitazione di responsabilità, la quale, in attuazione del principio di tipicità di cui all’art. 2249 c.c., è volta a impedire che sia perduto il connotato essenziale di tale società, costituito dalla spettanza della sua amministrazione, ai sensi dell’art. 2318 c.c., al solo socio accomandatario (v. Sez. 1^ n. 29794-08). Per conseguenza si è affermato che il fallimento della predetta società va esteso, L. Fall., ex art. 147, anche all’accomandante cui siano state conferite procure denominate speciali ma talmente ampie da consentire la effettiva sostituzione all’amministratore nella sfera delle delibere di competenza di questi.

3. – La soluzione è da ribadire anche e massimamente per il caso del conferimento di procura institoria, in ragione dell’essere il titolare di una simile procura preposto all’esercizio dell’impresa con facoltà di compimento di tutti gli atti pertinenti al detto esercizio (artt. 2203 e 2204 c.c.), salve le eventuali limitazioni contenute nella procura;

limitazioni peraltro nella specie neppure dedotte e in ogni caso implicitamente escluse dall’impugnata sentenza in relazione all’avvenuto compimento, da parte di Z., di distinti atti di gestione nell’esercizio della ripetuta funzione institoria.

Può osservarsi che, dinanzi a cotale accertamento di fatto, non risultano svolte pertinenti censure alla sentenza sul versante motivazionale e nei limiti consentiti dall’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

4. Le considerazioni esposte determinano l’assorbimento del quarto motivo, col quale, deducendo falsa applicazione della L. Fall., art. 147, comma 1, il ricorrente addebita alla corte d’appello di aver dato per scontata l’estensione del fallimento della s.a.s. al socio accomandante, sulla scorta della supposta ingerenza nella gestione della società.

5. – Col secondo motivo, deducendo violazione degli artt. 112, 214 e 215 c.p.c. e falsa applicazione dell’art. 2704 c.c. e L. Fall., art. 45, Z. censura la sentenza per aver affermato l’inidoneità probatoria della scrittura data (OMISSIS), attestante l’effettiva sua posizione rispetto alla società.

A dire del ricorrente, il documento era stato prodotto in sede prefallimentare e l’eccezione di mancanza di data certa non poteva essere rilevata d’ufficio.

Il motivo è manifestamente infondato.

6. – La mancanza di data certa nelle scritture private si configura come fatto impeditivo all’accoglimento della domanda, sicchè essa resta oggetto di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche di ufficio dal giudice (v. risolutivamente Sez. un. n. 4213-13, in ordine alle scritture prodotte dal creditore che proponga istanza di ammissione al passivo fallimentare; e v. altresì conf. Sez. 5″ n. 3404-15).

Giova sottolineare che le eccezioni in senso lato sono in linea generale rilevabili d’ufficio o proponibili dalla parte interessata anche in sede di impugnazione (qualunque sia il tipo di giudizio: v. per il processo ordinario Sez. 1″ n. 5249-16), ove i fatti sui quali si fondano, sebbene non precedentemente allegati dalla stessa parte, emergano dagli atti di causa.

Ciò ancor più rileva per il reclamo di cui alla L. Fall., art. 18, stante l’ampiezza devolutiva che lo caratterizza.

E’ inammissibile l’argomentazione ulteriormente prospettata dal ricorrente nella memoria di cui all’art. 378 c.p.c., a proposito dell’obbligo del giudice di instaurare il contraddittorio sull’eccezione in senso lato. Risolutivamente si osserva che la corrispondente questione non è stata sollevata col motivo di ricorso, il quale si è mantenuto nei limiti dell’infondata tesi della necessità di una tempestiva eccezione di parte, per essere quella di data certa un’eccezione in senso stretto.

7. – Col terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 22 in quanto l’istanza di fallimento in estensione aveva fatto seguito ad analoghe istanze di alcuni creditori della s.a.s. le quali erano state decise in senso negativo dal tribunale di Ancona con la sentenza n. 21 del 2013, che aveva dichiarato il fallimento della sola s.a.s. e dell’accomandatario.

Quella decisione aveva considerato che gli elementi offerti non consentissero “di individuare comportamenti posti in essere dal procuratore speciale oltre i limiti della procura conferitagli, tali da poter ritenere che egli si (fosse) ingerito nella gestione della società assumendo di fatto la qualifica di socio illimitatamente responsabile”. Errata sarebbe allora, secondo il ricorrente, la tesi della corte d’appello di Ancona circa la totale assenza di stabilità del decreto di rigetto dell’istanza di fallimento. Posto che la nuova istanza avanzata dal fallimento della s.a.s. non era stata basata su elementi nuovi da sottoporre a ulteriore vaglio giurisdizionale, la previa decisione di rigetto si sarebbe dovuta ritenere idonea al giudicato e la seconda istanza avrebbe dovuto essere dalla corte territoriale considerata inammissibile o improcedibile.

Il terzo motivo è infondato.

8. – Risponde a un principio consolidato che il decreto reiettivo dell’istanza di fallimento – al pari di quello che conferma il rigetto – non è idoneo al giudicato, tanto che non è ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7, trattandosi di provvedimento non definitivo e privo di natura decisoria su diritti soggettivi (v. ex aliis, tra le più recenti, Sez. 1 n. 6683-15).

L’inidoneità al giudicato non dipende dalla forma del provvedimento ma dal suo contenuto, sicchè rileva anche se il provvedimento di rigetto sia assunto, in parte qua, con la sentenza dichiarativa del fallimento della società e dell’ accomandatario.

Difatti in termini generali la ratio dell’insegnamento è che l’istante – qualunque istante, sia esso il creditore sia esso, nel caso di cui alla L. Fall., art. 147, il curatore della società fallita con soci illimitatamente responsabili – non è portatore di un diritto all’altrui fallimento. Tanto che non interessa neppure quale sia la ragione per la quale l’iniziativa di fallimento sia stata respinta – per motivi di rito ovvero per l’apprezzamento di circostanze di fatto ostative o per l’enunciazione di principi di diritto (v. Sez. 1 n. 19446-11; n. 1501801).

Quel che solo rileva è che il provvedimento, nella parte che pronuncia il rigetto, non può essere inteso come provvedimento che nega in concreto la sussistenza di un diritto al fallimento del debitore, posto che un simile diritto, nel sistema, non è configurabile.

9. – Col quinto mezzo il ricorrente denunzia la falsa applicazione della L. Fall., art. 147, comma 2, giacchè il fallimento del socio illimitatamente responsabile può esser dichiarato solo entro l’anno dal momento in cui egli abbia perduto la responsabilità illimitata, ovvero dal momento in cui tale perdita sia stata resa opponibile ai terzi.

Sostiene che la perdita della responsabilità illimitata era da individuare nella data di pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento della s.a.s., mentre, come effetto della declaratoria di incostituzionalità di cui a C. cost. n. 319 del 2000, ai fini della decorrenza del termine annuale relativamente al socio non si sarebbe potuto far riferimento al regime della pubblicità al registro delle imprese.

La tesi, in definitiva, è questa: la sentenza dichiarativa del fallimento della s.a.s. (la n. (OMISSIS)) era stata emessa il (OMISSIS); quella dichiarativa del fallimento in estensione era stata emessa il (OMISSIS); dunque il termine annuale era già decorso.

10. – Il motivo è privo di fondamento per l’assorbente ragione che, ai fini specifici, la data della sentenza dichiarativa del fallimento della società non rileva affatto.

In tal senso la Corte deve correggere anche la motivazione della sentenza d’appello.

Il fallimento in estensione del socio accomandante di una società in accomandita semplice che, in quanto ingeritosi nella gestione, abbia assunto responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, è soggetto al termine di decadenza di un anno dall’iscrizione nel registro delle imprese di una vicenda, personale o societaria, che abbia comportato il venir meno della suddetta sua responsabilità.

La data della sentenza dichiarativa di fallimento della società non assume alcuna rilevanza perchè non comporta il venir meno della responsabilità per estinzione della società o per scioglimento del singolo rapporto sociale (cfr. Sez. 1^ n. 23651-14).

Invero, l’accomandante che abbia violato il divieto previsto dall’art. 2320 c.c. assume uno stato equiparabile a quello dell’accomandatario occulto, sicchè, per il principio di certezza delle situazioni giuridiche, il termine annuale L. Fall., ex art. 147 non decorre nè dalla data del recesso, nè da quella della dichiarazione di fallimento della società, che non scioglie il vincolo tra i soci, ma unicamente dal giorno in cui lo scioglimento del rapporto sociale con il socio sia portato a conoscenza dei creditori con idonee forme di pubblicità (cfr. in termini anche Sez. 6^-1 n. 2411215).

11. – Nel sesto motivo si denunzia la nullità del procedimento per violazione della L. Fall., art. 15, comma 5, in ordine alla avvenuta abbreviazione dei termini di comparizione, non essendo state palesate le ragioni di urgenza a base della disposta abbreviazione ed essendo stato con ciò violato il diritto a un giusto processo.

Il motivo è inammissibile, non essendo stata censurata la specifica ratio in forza della quale la corte d’appello ha ritenuto sanata ogni eventuale nullità dall’avvenuta predisposizione di difese di merito senza indicazione del pregiudizio difensivo in concreto subito.

12. – Anche col settimo motivo il ricorrente denunzia la nullità del procedimento, questa volta per violazione della L. Fall., artt. 25 e 35 a proposito del contegno del curatore, che aveva rinunciato a impugnare la sentenza di improcedibilità dell’antecedente istanza di fallimento in estensione ma aveva anche utilizzato l’autorizzazione del giudice delegato per la presentazione di successiva istanza.

Il motivo è destituito di ogni fondamento.

E’ difatti pacifico, anche in base alle difese del ricorrente, che la curatela del fallimento della s.a.s. era stata autorizzata dal giudice delegato a presentare una prima istanza di fallimento nei riguardi di Z.. Tale istanza era stata dal tribunale dichiarata improcedibile sull’erroneo presupposto del difetto di autorizzazione, giacchè, come emerge dalla stessa narrativa di parte ricorrente, l’autorizzazione esisteva ma era stata semplicemente inserita nel fascicolo del fallimento della società.

Questo è sufficiente a rigettare l’attuale doglianza, volta che la già accordata autorizzazione non necessitava di essere replicata a seguito della reiezione dell’istanza originaria.

La declaratoria di improcedibilità, come il rigetto, non costituisce infatti provvedimento definitivo e decisorio su diritti soggettivi.

Spese alla soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 21 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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