Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5068 del 03/03/2010

Cassazione civile sez. III, 03/03/2010, (ud. 11/01/2010, dep. 03/03/2010), n.5068

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28533/2005 proposto da:

T.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso lo studio dell’avvocato IANNOTTA

Gregorio, che lo rappresenta e difende per delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.P.G., G.L., N.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI MONTI PARIOLI 8/A, presso

lo studio dell’avvocato BOSCAGLI ADRIANA, rappresentati e difesi

dall’avvocato TEDESCHI Gabriele con delega a margine del

controricorso;

M.G., ED ROMANA SPA (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 308, presso lo studio

dell’avvocato RUFFOLO UGO, che li rappresenta e difende con delega a

margine del controricorso;

B.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA MONTI PARIOLI 8/A, presso lo studio dell’avvocato BOSCAGLI

ADRIANA, che lo rappresenta e difende con delega a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

ED IL MESSAGGERO SPA, J.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 779/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

Sezione Prima Civile, emessa il 10/02/2005; depositata il 21/02/2005;

R.G.N. 1872/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/01/2010 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito l’Avvocato ALESSANDRA IANNOTTA (per delega Avvocato GREGORIO

IANNOTTA);

udito l’Avvocato PIER CARTONI MOSCATELLI (per delega Avvocato UGO

RUFFOLO);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

T.F., in proprio e nella qualità di legale rappresentante dell’Ente Autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo, conveniva, davanti al tribunale di Roma, i dipendenti dell’Ente licenziati D.P., N., G. e B., nonchè C.P., quale direttore responsabile de (OMISSIS), il giornalista I.P., la spa Il Messaggero e la Editrice Romana spa, editrice del quotidiano Il Tempo, nonchè il suo direttore responsabile M.G., chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni morali e patrimoniali derivatigli dalla pubblicazione di un comunicato stampa in data (OMISSIS) diffuso dai dipendenti licenziati, nonchè dalla pubblicazione, sui due quotidiani, di articoli basati sulle accuse contenute nel predetto comunicato, false e gravamente lesive del proprio onore e della propria reputazione.

Si costituivano tutti i convenuti ad eccezione dello I. contestando, alcuni, in rito, la propria legittimazione passiva e quella attiva dell’attore e tutti, nel merito, la fondatezza della domanda.

Con sentenza del 22.2.2001, il tribunale dichiarava il difetto di legittimazione attiva del T. quale rappresentante dell’Ente ed il difetto di legittimazione passiva dello I., del M. e delle due società editrici, con riferimento al comunicato stampa ed agli scritti dei quali essi non erano, rispettivamente editori e giornalisti; rigettava, quindi, nel merito la domanda del T., in proprio, nei confronti dei giornali e dei giornalisti per assenza di dolo, e dei dipendenti per assenza di dolo e legittimità della critica.

Ad eguale conclusione perveniva la Corte d’Appello che, con sentenza del 21.2.2005, rigettava l’appello proposto dal T..

Quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resistono con controricorso B.G., D.P. G., N.A. e G.L., la Editrice Romana srl ed il M..

La Editrice Romana srl ed il M. hanno anche presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi che disciplinano la responsabilità per illecito esercizio del diritto di critica: art. 360 cod. proc. civ., n. 3; violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ.; art. 360 cod. proc. civ., n. 3;

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo non è fondato.

Deve premettersi che il diritto di critica non si concreta, come quello di cronaca, nella narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio, o, più genericamente, in una opinione, la quale, come tale, non può che essere fondata su di un’interpretazione dei fatti e dei comportamenti e, quindi, non può che essere soggettiva, cioè corrispondere al punto di vista di chi la manifesta.

Resta, però, fermo che il fatto o comportamento presupposto ed oggetto della critica deve corrispondere a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive, così come accade per il diritto di cronaca.

Il diritto di critica, inoltre, non diversamente da quello di cronaca, è condizionato, quanto alla legittimità del suo esercizio, dal limite della continenza, sia sotto l’aspetto della correttezza formale dell’esposizione, sia sotto quello sostanziale della non eccedenza dei limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse, e deve essere accompagnato da congrua motivazione del giudizio di disvalore incidente sull’onore o la reputazione.

Tuttavia, quando la narrazione di determinati fatti, per essere esposta insieme ad opinioni dell’autore, rappresenti nel contempo esercizio del diritto di cronaca e di quello di critica, la valutazione di continenza non può essere condotta sulla base degli indicati criteri di natura essenzialmente formale, ma deve lasciare spazio alla interpretazione soggettiva dei fatti esposti, di modo che la critica non può ritenersi sempre vietata quando sia idonea ad offendere la reputazione individuale, essendo, invece, decisivo, ai fini del riconoscimento dell’esimente, un bilanciamento fra l’interesse individuale alla reputazione e quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita, il quale è ravvisabile nella pertinenza della critica di cui si tratta all’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza del fatto oggetto della critica (v. anche Cass. 19.12.2006 n. 27141; Cass. 11.1.2005 n. 379).

E’ necessario pertanto, ancorare il diritto di cronaca e di critica al rispetto dei criteri di verità obiettiva – o ancora più precisamente – è necessario che il fatto presupposto, ed oggetto del diritto di critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene e per le altre circostanze.

Alla luce di queste considerazioni non coglie nel segno la censura del ricorrente secondo la quale il comunicato stampa del (OMISSIS) ed il successivo documento del (OMISSIS) “distributivo del primo” sono espressioni di un intento diffamatorio, per l’assenza di circostanze veritiere in ordine alle dichiarazioni negli stessi documenti contenute.

La Corte di merito, infatti, ha puntualmente sottolineato che tali documenti sono stati firmati dai dipendenti “nell’ambito della controversia di lavoro che li opponeva al direttore dell’ente, nella ragionevole convinzione di essere stati da lui gravemente discriminati, in attuazione di una politica di gestione del Parco Nazionale autoritaria, personalistica ed arbitraria”.

Ed ha aggiunto – ed il particolare non è di poco rilievo ai fini che qui interessano – che “Peraltro, tali affermazioni sono state corroborate dalle decisioni (tutte a favore dei lavoratori) del TAR e del Consiglio di Stato, emesse in parte anche prima del comunicato, nonchè da pareri conformi di vari soggetti istituzionali (Corte dei Conti, sindacati) e da iniziative giudiziarie intentate nei confronti del T. dalla Procura di Sulmona per vari reati ( relativi alla gestione dell’Ente) ed erano, quindi, conformi alle critiche che si stavano diffondendo sulla gestione dell’Ente”.

Ne consegue che le critiche – come correttamente ritenuto dalla Corte di merito e puntualmente motivato – non possono considerarsi espressione di un intento diffamatorio, poggiando su circostanze obiettivamente provate od anche soltanto putativamente ritenute veritiere, esaustivamente indicate.

Di qui, l’insussistenza delle violazioni e dei vizi motivazionali lamentati.

Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi che disciplinano la responsabilità per illecito esercizio del diritto di critica: Fraintendimento e, quindi, violazione del diritto di critica condizionato, quanto alla legittimità del suo esercizio, all’osservanza del limite della continenza espositiva: art. 360 cod. proc. civ., n. 3; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo non è fondato.

Va, a tal fine, sottolineato che il diritto di critica giornalistica può essere esercitato anche in modo graffiante, ma con il parametro della proporzione tra l’importanza del fatto e la necessità della sua esposizione, anche in chiave critica, ed i contenuti espressivi con i quali la critica è esercitata.

La critica, però, non deve trascendere in attacchi e aggressioni personali diretti a colpire, sul piano individuale, la figura morale del soggetto criticato (Cass. 6.8.2007 n. 17180).

Nè può sostenersi – con riferimento alla diffamazione a mezzo stampa -, nè da un punto di vista giuridico, nè logico, che debba prevalere il diritto all’onore ed alla reputazione sul diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero pure in chiave critica.

Infatti, qualunque critica che concerna persone è idonea ad incidere, in qualche modo, in senso negativo sulla reputazione di qualcuno e, tuttavia, escludere il diritto di critica quando leda, sia pure in modo minimo, l’altrui reputazione, significherebbe negare il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero.

Corollario di questo principio è che il diritto di critica può essere esercitato utilizzando espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purchè siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato. (Cass. 20.10.2006 n. 22527; Cass. 16.5.2008 n. 12420).

Nella specie, la Corte di merito sì è così pronunciata: “Si aggiunga che il tono, pur aspro, usato nel comunicato, non scade mai in offese gratuite nei confronti dell’odierno appellante e deve, pertanto, ritenersi rispettoso del requisito della continenza verbale”; chiarendo che “Le affermazioni dei dipendenti licenziati rientrano, comunque, nell’ambito del normale diritto di critica, trattandosi certamente di questione di pubblica rilevanza (dato il grosso interesse nazionale e, in ogni caso, locale, del Parco) e – si ripete – non essendo stati violati i canoni della continenza verbale (malgrado i toni polemici ed aspri usati)”.

In particolare, ha rilevato “…anche l’espressione pulizia etnica perde gran parte del suo valore offensivo (come facilmente percepibile dal lettore), essendo usata dai mass media certamente non in senso letterale, ma con riferimento ad ogni operazione volta ad emarginare, pur legittimamente ed in modo lecito, persone sgradite”.

Ed ha concluso: ” Anche l’argomento della necessità di esaminare il comunicato nel suo intero contesto (e non in rapporto alle singole frasi) non ha pregio, in quanto la lettura dell’integrale scritto va operata – come detto nell’ambito della controversia di lavoro e delle affermate discriminazioni subite dai lavoratori e causa di una scorretta gestione dell’Ente”.

Il contesto in cui si sono svolti i fatti che hanno dato luogo al presente giudizio – e di cui da atto in sentenza – conferma la correttezza del convincimento cui è pervenuta la Corte di merito in ordine all’insussistenza della responsabilità per diffamazione nei confronti dei dipendenti, odierni resistenti.

A ciò si aggiunga che, in questa materia, qualora la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell’autore dello scritto, in modo da costituire nel contempo esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza – come già detto – non può essere condotta sulla base di criteri solo formali, richiedendosi, invece, un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita (art. 21 Cost.).

Ed un tale bilanciamento è riscontrabile nella pertinenza della critica all’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza, non del fatto oggetto di critica, ma di quella interpretazione del fatto, che costituisce, assieme alla continenza, requisito per l’esimente dell’esercizio del diritto di critica (v. anche Cass. 7.1.2009 n. 25).

Nella specie – come ha puntualmente evidenziato la Corte di merito – il contenuto dei documenti e delle interviste, era ispirato da un’ inequivoca contrapposizione nell’ambito di una grave controversia lavorativa, per la quale la critica poteva legittimare l’uso di un linguaggio pungente ed incisivo.

In questo contesto, pertanto, la Corte di merito ha specificamente esaminato il loro contenuto, escludendone il carattere diffamatorio, nell’ambito di un corretto bilanciamento dei riferiti interessi; nel rispetto, quindi, anche del principio stabilito dall’art. 21 Cost..

D’altra parte, deve ulteriormente sottolinearsi che nell’ipotesi, in cui – come nella specie – la narrazione di fatti determinati sìa esposta insieme alle opinioni di chi la compie, in modo da costituire al tempo stesso esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza sostanziale e formale si attenua, per lasciare spazio all’interpretazione soggettiva dei fatti narrati e per svolgere le censure che si vogliono esprimere (v. anche Cass. 2.7.1998 n. 6459).

Anche sotto questo profilo, pertanto, la censura è destituita di fondamento.

Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi che disciplinano la responsabilità per illecito esercizio del diritto di critica: art. 360 cod. proc. civ., n. 3;

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo non è fondato.

La Corte di merito ha escluso la diffamazione a mezzo stampa anche nei confronti dei giornalisti e degli editori “non potendo parlarsi di diffamazione a mezzo stampa da parte di un giornalista che si è limitato, quasi asetticamente, a riportare il comunicato di cui sopra (ovvero stralci di esso) e delle interviste a un dipendente e a un dirigente sindacale, peraltro anch’esse ripetitive di quanto esposto nel comunicato, con riferimento, quindi, a una condotta già ritenuta penalmente lecita”.

Ed ha, ancora più puntualmente, rilevato che “i giornali, in particolare, hanno correttamente riportato fedelmente, il pensiero dell’intervistato, senza necessità di particolari ed ulteriori controlli, dal momento che i personaggi intervistati, per la loro qualità (dirigente sindacale e dirigente del Parco), consentivano un legittimo affidamento da parte del giornale (tra l’altro risultando i fatti esposti e descritti corroborati dalle decisioni dei giudici amministrativi e dai numerosi altri elementi pubblici sopra esposti) sulla veridicità, pur di parte, dei fatti esposti”.

Con riferimento alla pubblicazione di un’intervista, è stato, in particolare, affermato da questa Corte (Cass. 24.4.2008 n. 10686) che è applicabile la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca alla condotta del giornalista che, pubblicando “alla lettera” il testo di una intervista, riporti dichiarazioni del soggetto intervistato oggettivamente lesive dell’altrui reputazione, a condizione che la qualità dei soggetti coinvolti, la materia della discussione ed il più generale contesto in cui le dichiarazioni sono state rese presentino, sulla base di una valutazione riservata al giudice di merito (insindacabile in sede di legittimità se sorretta da logica ed adeguata motivazione), indiscutibili profili di interesse pubblico all’informazione, tali da far prevalere sulla posizione soggettiva del singolo il diritto di informare del giornalista (v. anche Cass. 24.4.2008 n. 10686).

Ora, se si parte da questo principio, la condotta dei giornalisti andrebbe esente da responsabilità, anche se le dichiarazioni, in ipotesi, fossero state lesive dell’altrui reputazione; ciò che, nella specie, ai fini che qui interessano, è stato già escluso per le precedenti considerazioni.

E già sotto questo profilo la censura non potrebbe essere seguita.

Ma, quel che è assorbente nella specie è che la Corte, nel rispetto dei principii esposti, ha correttamente escluso la sussistenza della diffamazione – con motivazione congrua, corretta ed immune da vizi logici e giuridici – sottolineando che il riportare “quasi asetticamante” il contenuto di quel documento e fedelmente il pensiero dell’intervistato non potesse integrare una condotta lesiva, fonte di responsabilità per il giornalista e l’editore, tenendo nel dovuto conto la qualità degli intervistati, nel contesto dei fatti storici come accertati anche in sede giudiziaria, fonte di un loro ragionevole motivo di affidamento.

Entrambi i vizi denunciati, pertanto, non sussistono.

Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo in favore dei resistenti, vanno poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida: in favore di B.G., in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari; della Editrice Romana srl e di M.G., in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per onorari; di D.P. G., N.A. e G.L., in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari; il tutto oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 11 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2010

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