Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5066 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/02/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 25/02/2020), n.5066

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 33429/2018 R.G. proposto da:

D.M. e F.A., rappresentati e difesi dall’avv. Gaetano

Barone e dall’avv. Angela Barone, con domicilio in Ragusa, Via

Archimede n. 37.

– ricorrenti –

contro

LANIFICIO DI RAGUSA S.R.L., in persona del legale rappresentante

p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Sebastiano Sallemi, con

domicilio eletto in Roma, Viale Piemonte n. 32, presso l’avv.

Giuseppe Spada.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 1847/2018,

depositata in data 5.9.2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

31.10.2019 dal Consigliere Dott. Fortunato Giuseppe.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 287/2014, il Tribunale di Ragusa ha respinto la domanda di rilascio proposta dal Lanificio di Ragusa s.r.l. nei confronti di D.M. e F.A., nonchè la riconvenzionale, proposta da questi ultimi, diretta a far dichiarare l’usucapione dell’immobile sito nella locale (OMISSIS).

La società resistente aveva dedotto che il bene era detenuto in forza di un comodato ormai cessato.

D.M. e F.A. avevano invece eccepito che il contratto era simulato e che le parti avevano in realtà stipulato una promessa di donazione, sostenendo di aver posseduto l’immobile per oltre un ventennio.

La pronuncia di primo grado, impugnata dai soli D. e F. relativamente al rigetto della riconvenzionale, è stata confermata in appello.

La Corte distrettuale di Catania ha ritenuto decisivo che gli appellanti non avessero compiuto atti di interversione nel periodo successivo al 24.4.1989 (data di stipula del comodato), nè in quello intercorrente tra il 1984 ed il 1989, entro cui aveva avuto effetto la scrittura ad effetti obbligatori con cui le parti si erano impegnati a stipulare una futura donazione.

Emendando la motivazione del primo giudice, la Corte di merito ha stabilito che il potere di fatto esercitato sin dal 1984 andava qualificato come mera detenzione, mentre, a partire dal 24.4.1989 non era comunque decorso il ventennio, dato che la domanda di rilascio era stata proposta con un primo ricorso del 28.12.2005, notificato in data 14.1.2006.

La cassazione della sentenza è chiesta da D.M. e F.A. sulla base di due motivi di ricorso.

La Lanificio di Ragusa ha proposto controricorso.

In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo deduce la violazione degli artt. 1141,1164,1414,2909 c.c. e art. 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, sostenendo che il tribunale, nel respingere la domanda di rilascio, aveva negato che l’immobile fosse stato detenuto dai ricorrenti, poichè il comodato era simulato, non occorrendo, quindi, ai fini dell’usucapione, il compimento di atti di interversione, come invece erroneamente stabilito dalla Corte d’appello.

Il secondo motivo denuncia la violazione, sotto altro profilo, dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 324,343,346c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che il tribunale aveva accertato che la concessione del bene era avvenuto in base ad un atto di donazione idoneo al trasferimento del possesso e che il periodo da prendere in considerazione per la pronuncia sulla riconvenzionale era compreso tra il novembre 1984 (allorquando vi era stata la consegna del bene) e la data di proposizione del ricorso. Il giudice d’appello non poteva ravvisare, in capo ai ricorrenti, una mera situazione di detenzione, nè poteva valorizzare dati cronologici del tutto diversi da quelli già individuati in primo grado, poichè il Lanificio di Ragusa, soccombente rispetto alla domanda di rilascio, non aveva impugnato la sentenza in via incidentale, nè aveva riproposto le suddette questioni in appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

2. I due motivi, che richiedono un esame congiunto per la stretta

connessione delle questioni sollevate, sono infondati.

Il tribunale, pronunciando sulla domanda di rilascio, ha ritenuto decisivo che il contratto di comodato fosse simulato, assumendo che, per tale ragione, la società non avesse diritto alla restituzione del bene, mancando il titolo dedotto a fondamento della domanda. Pur avendo affermato che la consegna era avvenuta in attuazione di una promessa di donazione, idonea a trasferire il possesso ad usucapionem, ha però stabilito che la società, continuando a versare le imposte gravanti sull’immobile, aveva conservato la disponibilità del bene, giungendo conseguentemente a respingere anche la riconvenzionale.

Da tali accertamenti non discendono le conseguenze prospettate in ricorso, atteso che il rigetto della domanda principale è dipesa dalla ritenuta inefficacia del comodato, sicchè l’ulteriore passaggio argomentativo (ossia che la promessa di donazione fosse idonea a trasmettere il possesso) appare svolto in funzione meramente rafforzativa e risulta comunque confutata, riguardo alle concrete vicende di causa, dall’ulteriore rilievo secondo cui la società aveva conservato il possesso dell’immobile.

L’esercizio del possesso ad usucapionem non era – quindi – oggetto di alcun accertamento passato in giudicato, sia alla luce dell’effettivo contenuto della pronuncia, sia in base al principio secondo cui la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dar luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, avendo risolto questioni controverse che, in quanto dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni non decisive per la pronuncia, fondata su altre ragioni (Cass. 4732/2012; Cass. 21566/2017).

Essendo stata devoluta al giudice di secondo grado la riconvenzionale di usucapione, occorreva procedere al completo esame dei relativi dei fatti costitutivi, non potendosi individuare un nucleo minimo della pronuncia divenuto definitivo.

Come più volte affermato da questa Corte, ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico.

Ne consegue che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione (tra le tante, Cass. 24783/2018; Cass. 12202/2017; Cass. 16853/2018).

2.1. Non merita inoltre adesione la tesi secondo cui la simulazione del comodato, rendendo l’atto inefficace, era comunque idoneo al conferimento del possesso ad usucapionem.

Non era decisiva, difatti, l’invalidità o l’inefficacia del contratto, quanto il fatto che la disponibilità era stata conseguita in base ad un titolo che, sebbene viziato, era tale da conferire un potere limitato dal riconoscimento dei concorrenti diritti di proprietà in capo alla società, potendo dar luogo ad una mera situazione di detenzione. Neppure la promessa di donazione poteva dar luogo all’acquisto del possesso.

Questa Corte ha già affermato che, ove la consegna di un bene costituisca effetto anticipato di un contratto ad effetti obbligatori, la disponibilità del bene non è riconducibile ad una situazione possessoria, ma, avendo titolo di un rapporto di natura personale, sostanzia un’ipotesi di detenzione (cfr. in tema di preliminare, tra le più recenti, Cass. 3305/2019; Cass. 20359/2017; Cass. 7155/2017).

Analoghi principi sono stati affermati con riferimento alla promessa di donazione, rispetto alla quale, a prescindere dalla sua validità, poteva al più riconnettersi un effetto traslativo della detenzione, con conseguente insussistenza del possesso utile ai fini dell’usucapione (Cass. 10289/2018).

La stessa presunzione di possesso di cui all’art. 1141 c.c., comma 1, non era invocabile in presenza di un rapporto ad effetti obbligatori, presupponendo, al contrario, la mancanza di prova che il potere di fatto sulla cosa fosse stato esercitato inizialmente come detenzione. In tali ipotesi, l’attività non corrisponde all’esercizio di un diritto reale, occorrendo il mutamento del titolo ex art. 1141 c.c., comma 2, mediante il compimento di attività materiali

svolte in opposizione al proprietario.

Il ricorso è quindi respinto con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi ed in Euro 2500,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%, in favore dell’avv. Sebastiano Sallemi, dichiaratosi antistatario.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 31 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 25 febbraio 2020

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