Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5064 del 05/03/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 5064 Anno 2018
Presidente: BALESTRIERI FEDERICO
Relatore: BELLE’ ROBERTO

SENTENZA

sul ricorso 26048-2016 proposto da:
FASANO MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
LEONE IV 57, presso lo studio dell’avvocato LUIGI
MONTAGNARO, rappresentata e difesa dall’avvocato
FERNANDO PALERMO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017
4414

ASTRA

BINGO

S.R.L.,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA QUINTINO SELLA, 41, presso lo studio
dell’avvocato MARGHERITA VALENTINI, rappresentata e

Data pubblicazione: 05/03/2018

difesa dall’avvocato MASSIMILIANO DEL VECCHIO, giusta
delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 116/2016 della CORTE D’APPELLO
DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/11/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTO
BELLE’;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato LUIGI MONTAGNARO per delega Avvocato
FERNANDO PALERMO.

30/05/2016 R.G.N. 651/15;

R. G. n. 26048/2016

FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto, ha confermato,
con sentenza n. 116/2016, la pronuncia del Tribunale di Taranto con la quale era
stata respinta l’impugnativa del licenziamento intimato da Astra Bingo s.r.l. nei
confronti di Fasano Maria per superamento del periodo di comporto.
2. La Corte d’Appello, pur prendendo atto che erroneamente il Tribunale
aveva fatto riferimento ad assenze per malattia degli anni 2007 e 2008, mentre

frutto di un mero errore materiale, avendo il primo giudice inteso riferirsi a
queste ultime due annate. Ritenendo poi la continuativa assenza dal lavoro della
Fasano dal 31.7.2008 al 30.6.2009 e considerando che, secondo il C.C.N.L. di
categoria, il comporto aveva durata di 180 giorni per anno da computarsi dalla
prima assenza ovvero, a ritroso, dalla data del licenziamento, la Corte sosteneva
che esattamente il Tribunale avesse concluso per l’avvenuto superamento di
esso.
3. Venivano altresì rigettate, per quanto qui ancora interessa, le censure di
merito mosse dalla lavoratrice alla c.t.u., i cui esiti erano stati condivisi dal
Tribunale e con cui era stato escluso che le patologie poste a base delle assenze
potessero essere state cagionate dalle condizioni del lavoro svolto dalla Fasano
presso Astra Bingo, dapprima dal 2003 come cameriera addetta ai tavoli e poi,
dal giugno 2005, come venditrice addetta all’accoglienza dei clienti in sala. La
Corte rilevava come il c.t.u. avesse collocato l’insorgere della TBC polmonare in
capo alla Fasano ben otto mesi prima dell’inizio del lavoro presso Astra Bingo e
come, tanto la malattia da reflusso gastro esofageo, quanto la dermatite da
contatto, non presentavano alcuna connessione con il lavoro svolto, oltre ad
essere state accertate solo in epoca recente.
4. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Fasano con tre
motivi, poi illustrati da memoria. Astra Bingo ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con un primo complesso motivo (rubricato come violazione e\o falsa
applicazione di norma di diritto) la Fasano sostiene la violazione dell’art. 2110
c.c. e della L. 604/1966 e 108/1990 (senza indicare gli articoli di queste ultime
leggi cui si riferirebbe l’impugnativa) sotto diversi profili.
Da un primo punto di vista essa afferma che la Corte d’Appello, una volta
preso atto dell’errore commesso dal Tribunale, avrebbe dovuto comunque
riformare parzialmente la sentenza di primo grado.

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Roberto Be è, estensore

il licenziamento si fondava su assenze del 2008 e 2009, riteneva che ciò fosse

R. G. n. 26048/2016

La lavoratrice sostiene poi che vi erano giorni festivi non compresi nelle
certificazioni mediche, per quanto riguardava l’anno 2009, sicché il computo del
periodo di comporto era errato ed il licenziamento era da ritenersi intimato prima
della scadenza di esso.
Un terzo profilo è dedicato all’assunto per cui la Fasano sarebbe stata
assente per lo svolgimento di terapie parzialmente o momentaneamente
invalidanti, le cui giornate non avrebbero dovuto essere computate nell’ambito

2. Vanno dapprima esaminati i motivi espressi con le ultime due censure, in
quanto la detrazione dei giorni ivi prospettata potrebbe in astratto inficiare la
maturazione del periodo di comporto, anche a prescindere dalla fondatezza della
critica più generale in ordine alla inidonea valutazione da parte della Corte
d’Appello dell’errore commesso dal Tribunale nella considerazione delle annate
cui si riferivano le assenze.
Le predette censure sono tuttavia inammissibili.
2.1 Deducendo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di
detrarre dal periodo di comporto le giornate festive dell’anno 2009 che non erano
coperte da certificazioni di malattia, la ricorrente fa evidentemente riferimento a
tre giornate (1.1.2009 – 1.2.2009 – 1.5.2009) che effettivamente non sono
riportate nelle certificazioni elencate, con indicazione di date di inizio e di fine del
periodo di riferimento, nel ricorso per cassazione.
Tali giornate si inseriscono nell’ambito di un periodo di assenza dal lavoro,
quello che va dal 31.7.2008 al 30.6.2009, che la Corte d’Appello, senza che sul
punto vi siano state contestazioni, ha esplicitamente indicato come continuativo.
Vale allora il principio consolidato, e qui da ribadirsi perché intrinsecamente
razionale, secondo cui «nel periodo di comporto (…) vanno computate» non solo
le festività interne ai periodi di malattia, ma «anche (…) le assenze intermedie
del lavoratore tra una malattia e quella seguente, dovendosi presumere, in
difetto di prova contraria, la continuità dell’episodio morboso, onde grava sul
lavoratore l’onere della prova contraria a tale presunzione» (Cass. 30 marzo
2010, n. 7658; Cass. 18 febbraio 1997, n. 1467).
Il motivo di ricorso tuttavia consiste nella sola affermazione del mancato
scomputo di quelle giornate (in ipotesi rilevante ai sensi dell’art. 360 n. 5, c.p.c.,
fattispecie cui il vizio, adducendo l’omessa considerazione di fatti che dovrebbero
sovvertire il giudizio sul superamento del periodo di comporto, deve essere in
realtà riportato) ed è invece privo di indicazioni rispetto ad una qualsivoglia

4
Rober- o B
rejlè, estensore

‘\)

del comporto.

R. G. n. 26048/2016

ragione per cui quelle giornate non dovrebbero essere considerate come di
assenza dal servizio.
Esso è quindi carente anche solo dell’indicazione di quali elementi di prova
contraria, richiesta in forza del principio sopra richiamato, in ipotesi ricorrano al
fine di supportare, nonostante l’assenza continuativa, una qualche fattispecie che
giustifichi la detrazione di quelle giornate dal periodo di comporto.
Manca quindi quanto necessario al fine di prospettare la decisività della

all’art. 360 n. 5, c.p.c.
2.2 Quanto alla questione sulla detrazione dal comporto delle assenze per
sottoposizione a terapie invalidanti, i profili di inammissibilità sono plurimi e
concorrenti.
La ricorrente infatti non indica neppure quando, dove e come la questione
sulla necessità di non considerare le corrispondenti giornate sarebbe stata
prospettata nelle fasi di merito, il che, oltre a palesare un difetto di specificità del
ricorso (rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 366 n. 6, c.p.c.) impedisce di
superare l’esplicita difesa della controricorrente secondo cui si tratterebbe di
questione inammissibile perché tardiva.
D’altra parte la giurisprudenza citata dalla ricorrente (Cass. 22 agosto 2016,
n. 17243) ha preso in considerazione la sottoposizione a terapie invalidanti non
di per sé, ma in quanto l’ipotesi era in quel caso contemplata espressamente dal
relativo C.C.N.L., come ragione di esclusione delle corrispondenti giornate dal
calcolo del comporto. Circostanza, quella in ordine alla sussistenza di una
previsione di C.C.N.L. in tal senso, che sarebbe stato necessario addurre anche
nel caso di specie, perché altrimenti l’esclusione dal comporto resta priva di
sostegno giuridico, ma di cui non vi alcun cenno nell’ambito del ricorso qui da
definire. Anche da questo punto di vista il motivo (da riportare ancora all’ipotesi
di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., in quanto si sostiene che la considerazione di
quelle giornate avrebbe anche in questo caso consentito di sovvertire il giudizio
sul superamento del comporto) è quindi carente, sotto il profilo della mancata
indicazione di profili necessari per apprezzare la decisività delle circostanze,
anche inerenti la contrattazione collettiva, la cui valutazione sarebbe stata
tralasciata. La decisività è del resto elemento espresso dell’ipotesi di cui all’art.
360 n. 5 c.p.c., sicché la carenza di quanto necessario ad apprezzarne la
ricorrenza rende inammissibile il motivo.
2.3 L’inammissibilità dei profili di computo delle giornate di assenza utili ad
integrare il periodo comporto appena esaminati consente a questo punto di

Roberto Bellè,

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estensore

censura e ciò è ragione di inammissibilità per difformità dal paradigma di cui

R. G. n. 26048/2016

respingere pianamente la prima censura sollevata con il motivo in esame ed
inerente il fatto che la Corte territoriale, a dire della ricorrente, nel rilevare che la
motivazione del Tribunale conteneva un errore, avrebbe dovuto indursi alla
riforma della sentenza impugnata.
E’ vero infatti che la Corte d’Appello ha riscontrato un errore nella
motivazione di primo grado in ordine alle annate cui si riferivano le assenze, in
quanto il Tribunale fece riferimento al 2007 e 2008, mentre le certificazioni

Il giudice del gravame, tuttavia, non solo ha qualificato l’accaduto nei
termini del mero errore materiale, ma ha anche, per giungere a confermare
l’accertamento del Tribunale in ordine all’avvenuto superamento del periodo di
comporto, riepilogato i dati di merito da considerare, tra cui il perdurare
continuativo dell’assenza dal 31.7.2008 al 30.6.2009 (continuatività che, per
quanto sopra detto, non viene inficiata dagli altri profili di ricorso per cassazione)
e la durata, di 180 giorni per anno, del periodo di comporto; essendo poi
evidente che per mere ragioni di calendario dal 1.1.2009 al 29.6.2009 (il
licenziamento è avvenuto il 30.6.2009) quel periodo, rispetto all’anno 2009, era
integralmente maturato.
Non vi era quindi ragione alcuna per cui all’errore commesso dal Tribunale
dovesse conseguire la riforma della pronuncia, come propugnato dall’odierna
ricorrente.

3. Con un secondo motivo (rubricato come inerente l’ipotesi di cui all’art.
360 n. 5 c.p.c.) viene censurata l’omessa valutazione da parte della Corte
d’Appello circa fatti decisivi per il giudizio, con riferimento all’assunto secondo cui
le malattie che avevano cagionato le assenze poste a base del licenziamento
sarebbero state determinate dalle condizioni di lavoro.
Da un primo punto di vista la Fasano rileva come la c.t.u. sulla cui base tale
derivazione causale era stata esclusa dai giudici di merito avesse trascurato di
considerare, nonostante note critiche del c.t.p. in tal senso, gli ispessimenti
pleurici da essa documentati.
Un secondo profilo concerne invece l’omessa considerazione di un
documento, ovverosia il PPD test del 7.3.2003, anteriore all’inizio del rapporto di
lavoro (16.4.2003), dal cui esito negativo si sarebbe dovuto desumere il nesso
causale tra la tubercolosi successivamente contratta e l’attività lavorativa.
Una terza censura fa riferimento ai test epicutanei, quali elementi
sintomatologici di allergie da contatto asseritamente contratte sul luogo di lavoro

6
Roberto Bellè, estensore

\

mediche riguardavano il 2008 ed il 2009.

R. G. n. 26048/2016

nonché al reflusso gastroesofageo ed altre patologie; inoltre si lamenta che la
c.t.u. nulla riferirebbe sulla spirometria e sull’esame della paziente svolti durante
le operazioni di c.t.u.

4. Quanto agli ispessimenti pleurici, le critiche mosse dal c.t.p. alla c.t.u.
non sono stati riportate e quindi la Corte non viene messa in condizione di
apprezzarle in alcun modo.

non vi sia stata valutazione di tali ispessimenti, il motivo è generico.
La prospettazione dell’omessa valutazione di quei reperti come carenza
decisiva rispetto al conseguente giudizio di merito presuppone una valutazione di
causalità non solo tra la patologia e le condizioni di lavoro, ma anche tra essa e
le assenze.
Ciò imponeva di indicare quando esattamente fosse emersa la sussistenza
degli ispessimenti (nel ricorso per cassazione si fa riferimento generico agli “anni
2008/2009”, ma anche ad un certificato medico del 21.8.2009 e quindi
successivo alle assenze del comporto) e soprattutto quale sintomatologia fosse
ad esse specificatamente riconnessa e fosse risultata tale da imporre le assenze,
per tale causa, dal servizio.
L’assenza o genericità di tali precisazioni non consente alla Corte di valutare
la reale decisività dell’omissione lamentata e ciò comporta l’impossibilità di
ricondurre la censura ad una valida prospettazione del vizio di cui all’art. 360 n.
5, c.p.c. e quindi, anche in parte qua, vi è inammissibilità del ricorso.
4.1 Quanto al test della tbc, a conforto dei propri assunti la ricorrente cita
una “perizia di parte in atti (…) datata 15.12.2014” ed una certificazione del
29.7.2004.
Rispetto ad entrambi i documenti non vi è menzione del contesto
processuale in cui essi sarebbero stati prodotti o acquisiti al giudizio e dunque
ricorre violazione dell’art. 369, co. 2, n. 4 c.p.c.
Inoltre la ricorrente afferma che il c.t.u. avrebbe considerato quel test, per
asserire che esso non escluderebbe che la patologia fosse già in atto, senza
però, a dire della Fasano, supportare l’affermazione con riscontri oggettivi o con
indicazione di specifica letteratura scientifica. Sostenendosi che, viceversa, come
risultante dalla menzionata certificazione 29.7.2004 dell’infettivologo, la
negatività di quel test avrebbe escluso con buona ragionevolezza l’esistenza di
un’infezione tubercolare antecedentemente ad esso.

7
Roberto Bele, estensore

Al di la di ciò, considerando la questione con riferimento al fatto in sé che

R. G. n. 26048/2016

Tali deduzioni si limitano quindi a proporre una diversa interpretazione di un
fatto in sé considerato dal c.t.u. (e, di conseguenza, dalla sentenza di primo
grado che alla c.t.u. ha rinviato e che poi è stata confermata sul punto dalla
Corte d’Appello), senza addurre argomentazioni scientifiche tali da far concludere
nel senso di una radicale contraddittorietà o mera apparenza delle valutazioni
peritali sul punto e, quindi, della sentenza, tutto riducendosi alla proposizione di
un’opinione contraria a quella del c.t.u. e delle sentenze di merito.

valutazioni e del convincimento del c.t.u. e dei giudici di merito che hanno fatto
leva sulle valutazioni del c.t.u. stesso, con il fine di ottenere una nuova
pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.
(Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148).
Difettano quindi i presupposti idonei ad integrare un valido motivo di
impugnazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.
4.2 Del tutto generiche sono poi le restanti doglianze, che puramente
affermano carenze della c.t.u. o valorizzano diverse risultanze, pur trattandosi in
gran parte di profili realtà valutati in sede peritale (test dermatologici; reflusso)
ed in altra parte di fatti (rinite cronica) di cui non è idoneamente argomentata la
decísività o dei quali (mancata considerazione dell’esame della paziente o della
spirometria) non è neppure indicato l’esito, in ipotesi favorevole alla tesi della
ricorrente, che si assume puramente e semplicemente come tale da inficiare le
conclusioni del c.t.u.
Anche in questo caso, con modalità peraltro anche in parte non vere ed in
parte inconferenti o prive della dovuta specificità, si propone una mera
rivalutazione delle acquisizioni di merito, che è inammissibile perché tale da
collocarsi al di fuori dei rigorosi parametri (omesso esame di un fatto decisivo)
entro cui l’art. 360 n. 5, c.p.c. consente di apprezzare le valutazioni di fatto.

5. Con un terzo motivo, dedotto ex art. 360, n. 3, c.p.c., la ricorrente
denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c., per avere la corte territoriale trascurato
la sentenza del Tribunale di Taranto, resa in altro giudizio tra le stesse parti, con
la quale era stato annullato un precedente licenziamento, con decisione che era
a suo dire rilevante nel presente giudizio in quanto in essa si era accertato che il
rapporto di lavoro era iniziato fin dal 16.4.2003 e dunque in epoca in cui il Tine
test del libretto di idoneità sanitaria attestava l’assenza di TBC ed il buono stato
di salute della lavoratrice.

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Roberto Bylè, estensore

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La censura si sostanzia quindi in un’inammissibile istanza di revisione delle

R. G. n. 26048/2016

Inoltre quella sentenza, a suo dire, aveva accertato anche le mansioni
proprie della Fasano come dedotte nel presente giudizio e tali da comportare
l’esposizione a fattori di rischio che avevano determinato la TBC stessa e il suo
aggravamento con ispessimenti pleurici e manifestazioni cutanee.
Parimenti, aggiungeva la ricorrente, era stato ignorato il fatto che, nella
causa da essa promossa contro l’INPS, era stata accertata la propria invalidità
civile, avendo il c.t.u. di quella controversia riconosciuto l’invalidità (come anche

5.1 In proposito si osserva che la sentenza impugnata afferma, sulla base
della c.t.u. svolta in causa, che la TBC sarebbe insorta 8 mesi prima
dell’assunzione presso la Astra Bingo.
Pertanto, sia che si consideri, quale momento iniziale delle asserite
esposizioni a rischio, la data di assunzione del 1.10.2003 (indicata nel ricorso
come di assunzione da parte di tale Bingo Puglia con mansioni di cameriera), sia
che si consideri il 16.4.2003, data di inizio del rapporto presso Astra Bingo in
mansioni che sottoponevano alle esposizioni dedotte, nulla muta.
Infatti, seppure quegli otto mesi dovessero essere intesi a ritroso dal
1.10.2003, si ricadrebbe comunque in epoca anteriore al 16.4.2003 ed a fortiori
ciò sarebbe se la data di riferimento fosse quella dell’aprile 2003.
Il motivo in parte qua è quindi inconferente ed inidoneo ad inficiare la ratio
decidendi.
5.2 Quanto alla causa contro l’I.N.P.S., nel ricorso non si indica neppure se
la sentenza ad essa relativa sia mai stata prodotta, sicché vi è difetto di
specificità ex art. 366, n. 6 c.p.c., oltre che di rispetto della regola di cui all’art.
369, co. 2, n. 4, c.p.c.
Comunque il riferimento a tale causa ed alla c.t.u. ivi svolta è lacunoso ed
inconferente, in quanto il ricorso per cassazione fa riferimento ad essa come
inerente l’invalidità civile e dunque ad un beneficio che è notoriamente
indipendente da origini lavorative della patologia.
5.3 Quanto poi alla c.t.u. svolta in quella diversa causa e che a dire della
Fasano avrebbe accertato la derivazione professionale delle malattie, il ricorso
per cassazione è del tutto generico, e come tale inammissibile, ex art. 360 n. 5,
c.p.c., contenendo la sola menzione di tali asserite conclusioni peritali, senza
alcun richiamo alle argomentazioni di sostegno ad esse, che in ipotesi consenta
di valutarne la decisività rispetto ai diversi apprezzamenti sviluppati dal c.t.u.
della presente causa.

9
Roberto Bellè, estensore

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da verbale della Commissione medica di verifica) e la malattia professionale.

R. G. n. 26048/2016

5.4 Analogamente è per il riferimento ad un verbale della Commissione
medica di verifica, parimenti menzionato senza dirsi quando esso sarebbe stato
prodotto e riferendosi soltanto che il medesimo sancirebbe la sussistenza
dell’invalidità: fatto che è, in sé solo, irrilevante, non esprimendo alcun nesso tra
lavorazioni e patologie.

delle spese del giudizio di legittimità.

7. L’attuale condizione della ricorrente di ammessa al patrocinio a spese
dello Stato esclude, allo stato, la debenza del raddoppio del contributo unificato
previsto dall’art. 13 co. 1-quater del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass. 22
marzo 2017, n. 7368; Cass. 2 settembre 2014, n. 18523).

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla
controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00
per compensi ed in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del
15 °A) ed accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Massimiliano Del
Vecchio.

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 14.11.2017.

Il Consigliere est.
dott. Roberto Bellè

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Il Presidente
dott. Federico Ballestrieri

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6. La reiezione del ricorso comporta la regolazione secondo soccombenza

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