Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5062 del 28/02/2017

Cassazione civile, sez. I, 28/02/2017, (ud. 01/12/2016, dep.28/02/2017),  n. 5062

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

N.B., elettivamente domiciliato in Roma, alla via del Tritone

n. 169, presso l’avv. Liliana Curtilli, dalla quale è rappresentato

e difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

N.N.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 2991/14

pubblicata l’8 maggio 2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 1

dicembre 2016 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CERONI Francesca, la quale ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del (OMISSIS), il Tribunale di Civitavecchia pronunciò la separazione personale dei coniugi N.B. e N.N., rigettando la domanda di addebito proposta da quest’ultima, affidando ad entrambi i genitori la figlia minore M., con collocazione presso la madre, e ponendo a carico del padre l’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 450,00 e la sopportazione del 50% delle spese mediche non coperte dal Servizio sanitario nazionale, nonchè delle spese scolastiche e sportive preventivamente concordate.

2. – L’impugnazione proposta dalla Nu. è stata parzialmente accolta dalla Corte d’Appello di Roma, che con sentenza dell’8 maggio 2014 ha posto a carico del N. l’obbligo di contribuire anche al mantenimento del coniuge mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 200,00, da corrispondersi con decorrenza dal mese di gennaio 2010 e da rivalutarsi annualmente secondo gl’indici Istat, confermando nel resto la sentenza impugnata.

A fondamento della decisione, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha osservato che a seguito della cessazione della convivenza la Nu. aveva continuato a prestare saltuariamente lavoro d’insegnante e assistente presso una scuola privata per l’infanzia, con un reddito annuale di Euro 1.371,00 nell’anno 2009, incrementato mediante lo svolgimento dell’attività di baby sitter e di lezioni private di musica. Precisato che a seguito della vendita della casa coniugale, decisa dalle parti per l’impossibilità di far fronte al mutuo contratto per l’acquisto, ella aveva dovuto reperire un’altra sistemazione abitativa per sè e per la figlia, con lei convivente, assumendosi l’onere del relativo canone di locazione, ammontante da ultimo ad Euro 12.000,00 annui, ha ritenuto indimostrato che l’appellante convivesse more uxorio con altra persona, rilevando che, nel riportare i risultati dei test somministrati alla figlia, il c.t.u. nominato in primo grado si era limitato a valutare la condizione psicologica della minore, senza fare alcun riferimento concreto a tale convivenza; ha aggiunto comunque che, nonostante l’inottemperanza della Nu. all’invito a produrre la documentazione riguardante i propri redditi, la predetta convivenza sarebbe risultata insufficiente a dimostrare un miglioramento della sua situazione economica, peraltro neppure dedotta dall’appellato. Premesso inoltre che il N., sottufficiale della Guardia di Finanza, era titolare di un reddito annuo di Euro 23.000,00 netti, già percepito all’epoca della cessazione della convivenza, la Corte ha ritenuto non provata la disponibilità di ulteriori entrate, aggiungendo che anch’egli aveva dovuto procurarsi una nuova sistemazione abitativa. Ciò posto, e precisato che entrambi i coniugi avevano acquisito una quota del prezzo di vendita della casa coniugale, detratto l’importo versato ad estinzione del mutuo, la Corte ha ritenuto sussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’assegno in favore dell’appellante, osservando che nel corso della convivenza il nucleo familiare aveva potuto contare esclusivamente sulle entrate dell’appellato, e reputando compatibile con la condizione economica di quest’ultimo l’imposizione dell’obbligo di corrispondere un assegno di Euro 200,00, con decorrenza dal mese successivo alla pronuncia della sentenza di primo grado, fermi restando i provvedimenti provvisori adottati nel corso del giudizio.

3. – Avverso la predetta sentenza il N. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati anche con memoria. L’intimata non ha svolto attività difensiva.

La causa, avviata alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., con ordinanza del 13 aprile 2016 è stata rinviata alla pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 156 c.c., osservando che, nel porre a suo carico l’assegno per il mantenimento del coniuge, la Corte di merito non ha considerato che nelle more del giudizio d’appello era venuto meno il relativo presupposto, costituito dallo status di coniuge della richiedente; con sentenza dell’11 maggio 2012, passata in giudicato in data anteriore alla pronuncia della sentenza impugnata, era stato infatti pronunciato lo scioglimento del matrimonio, senza l’adozione di alcuna statuizione in ordine all’assegno divorzile, non avendo la Nu. formulato alcuna domanda in tal senso.

2. – Con il secondo motivo d’impugnazione, il ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4, comma 8, e art. 5, comma 6, e dell’art. 100 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver omesso di dichiarare l’avvenuta cessazione della materia del contendere, in conseguenza dei provvedimenti provvisori e della sentenza pronunciati nel giudizio di divorzio, che avevano escluso definitivamente il diritto della Nu. all’assegno di mantenimento. Sostiene infatti che il provvedimento presidenziale che statuisce provvisoriamente in ordine alla spettanza dell’assegno divorzile, pur basandosi su criteri autonomi e distinti rispetto a quelli su cui si fondano i corrispondenti provvedimenti del giudizio di separazione, si sovrappone ad essi, avendo natura cautelare e non essendo logicamente e giuridicamente concepibile la coesistenza di regimi patrimoniali diversi in relazione al medesimo arco temporale. Afferma comunque che, nel riconoscere alla Nu. il diritto all’assegno, la Corte di merito ha erroneamente omesso di stabilire che esso fosse dovuto soltanto fino alla data di pronuncia dei provvedimenti presidenziali nel giudizio di divorzio ovvero fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, che comporta la cessazione del predetto obbligo.

3. – I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la medesima questione, sono infondati.

La pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, operando ex nunc dal momento del passaggio in giudicato, non comporta infatti la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale iniziato anteriormente alla proposizione della domanda di divorzio e ancora in corso alla data della decisione, ove sia configurabile l’interesse di una delle parti all’operatività della pronuncia di separazione e dei conseguenti provvedimenti patrimoniali, il cui limite temporale di efficacia è rappresentato proprio dal passaggio in giudicato della sentenza che determina il venir meno del vincolo coniugale (cfr. Cass., Sez. 1, 26 agosto 2013, n. 19555; 28 ottobre 2005, n. 21091; Cass., Sez. 6, 22 luglio 2013, n. 17825). Tale principio, costantemente ribadito da questa Corte, trova applicazione anche all’assegno dovuto per il mantenimento del coniuge, essendo il relativo obbligo destinato a cessare, in assenza di circostanze sopravvenute, soltanto a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, dal quale decorre l’obbligo di corrispondere l’eventuale assegno divorzile, salvo che, nell’esercizio del potere discrezionale attribuitogli dalla L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 13 il tribunale non disponga che tale obbligo produca effetti fin dal momento della proposizione della domanda. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, nonostante l’avvenuta instaurazione del giudizio di divorzio, conclusosi con sentenza passata in giudicato prima della pronuncia di quella in esame, ha ugualmente provveduto alla determinazione dell’assegno dovuto dal ricorrente per il mantenimento del coniuge, il cui riconoscimento non si pone in alcun modo in contrasto con l’avvenuto scioglimento del matrimonio, essendo destinato a produrre effetto dalla data di proposizione della domanda di separazione e fino a quella del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio.

Nessun rilievo può assumere, al riguardo, la circostanza, fatta valere dal ricorrente, che nel giudizio di divorzio non sia stata adottata alcuna statuizione in ordine all’assegno, essendosi l’intimata astenuta dal proporre la relativa domanda, ed avendo il Presidente del Tribunale disposto, all’udienza di comparizione personale dei coniugi, la conferma dei provvedimenti adottati nel giudizio di separazione. La mancata proposizione della domanda di determinazione dell’assegno divorzile non comporta infatti la rinuncia al riconoscimento dell’assegno di mantenimento, trattandosi di emolumenti ben distinti per finalità e presupposti, nonchè dovuti, rispettivamente, per il periodo anteriore e per quello successivo alla cessazione del vincolo coniugale. Quanto invece ai provvedimenti urgenti nell’interesse dei coniugi e della prole, che l’art. 4 cit., comma 8 nel testo modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 8 attribuisce al presidente del tribunale il potere di adottare nel giudizio di divorzio, con funzione anticipatoria rispetto alle statuizioni definitive, è pur vero che la portata degli stessi si estende anche ai rapporti patrimoniali ed implica la facoltà d’incidere a titolo provvisorio sulle condizioni eventualmente diverse stabilite in sede di separazione (cfr. Cass., Sez. 1, 14 ottobre 2010, n. 21245; 12 novembre 1991, n. 12034; 18 aprile 1991, n. 4193); nella specie, tuttavia, la mancata adozione di misure specifiche non può essere in alcun modo interpretata come un’implicita revoca dell’assegno di mantenimento, avuto riguardo all’espressa conferma dei provvedimenti adottati in sede di separazione, che consente di escludere la predetta interferenza.

4. – Con il terzo motivo d’impugnazione, il ricorrente deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 c.p.c., comma 6, sostenendo che, ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno, la sentenza impugnata ha fatto ricorso ad argomentazioni tra loro inconciliabili. Essa, infatti, per un verso ha affermato la necessità di verificare la sussistenza di una disparità economica tra i coniugi, nonchè di tenere presenti i redditi dell’obbligato, mentre per altro verso ha rigettato, ritenendola esplorativa, la richiesta d’indagini sui redditi dell’appellante. Il rilievo decisivo conferito alla natura precaria e saltuaria dell’attività lavorativa svolta dalla Nu. si pone a sua volta in contrasto con l’accertata capacità della stessa di far fronte al canone di locazione della sua nuova abitazione, nonchè con la circostanza, emergente dalla documentazione prodotta, che nel predetto immobile ella svolge attività lavorativa in qualità di responsabile della gestione di un asilo nido.

4.1. – Il motivo è infondato.

Pur avendo dato atto dell’inottemperanza della Nu. all’ordine di produrre una documentazione aggiornata dei propri redditi, la Corte di merito ha ritenuto di poter disporre di elementi sufficienti per la ricostruzione della situazione economico-patrimoniale dell’intimata, individuando le fonti reddituali di quest’ultima e gli oneri a suo carico sulla base delle allegazioni di parte e dei documenti prodotti, rispetto ai quali ha rilevato che lo stesso ricorrente non era stato in grado di addurre la sopravvenienza di sostanziali miglioramenti. Non ricorre pertanto, nella specie, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, ai fini della censurabilità dell’accertamento dei fatti compiuto dal giudice di merito, per la cui configurabilità non è sufficiente la mera contraddittorietà della motivazione (a meno che la stessa, traducendosi in argomentazioni inidonee a rivelare la ratio decidendi, non si risolva in una sostanziale mancanza di motivazione), ma occorre che sia stato totalmente pretermesso un fatto storico idoneo ad orientare diversamente la decisione, ovvero che la motivazione svolta al riguardo risulti meramente apparente oppure perplessa ed obiettivamente incomprensibile, o ancora caratterizzata da argomentazioni tra loro inconciliabili, risultando pertanto irrilevante anche la semplice insufficienza della motivazione (cfr. Cass., Sez. 6, 6 luglio 2015, n. 13928; 8 ottobre 2014, n. 21257; 9 giugno 2014, n. 12928). In particolare, non risulta censurabile ai sensi della predetta disposizione la correttezza logica della motivazione in ordine alla valenza probatoria di specifiche risultanze processuali (cfr. Cass., Sez. lav., 21 ottobre 2015, n. 21439; 16 luglio 2014, n. 16300), ovvero l’omesso esame di elementi istruttori, qualora, come nella specie, il fatto storico rilevante ai fini della decisione sia stato comunque preso in considerazione dal giudice di merito, ancorchè la motivazione non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass., Sez. 6, 1 luglio 2015, n. 13448; 10 febbraio 2015, n. 2498).

5. – Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.

Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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