Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5059 del 03/03/2010

Cassazione civile sez. III, 03/03/2010, (ud. 09/12/2009, dep. 03/03/2010), n.5059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. CALABRESE Donato – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19545/2005 proposto da:

D.F., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. PISANELLI 4, presso lo studio

dell’avvocato GIGLI Giuseppe, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GIULIANO ARTURO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA CAMILLUCCIA 741, presso lo studio dell’avvocato

CONTALDI LA GROTTERIA CARLO, rappresentato e difeso dall’avvocato

MURGO Mario Gesualdo giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

CDU TRENTINO CRISTIANI DEMOCRATICI UNITI, GI.AR.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 420/2004 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

Sezione Seconda, emessa il 7/12/2004, depositata il 14/12/2004;

R.G.N. 75/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/12/2009 dal Consigliere Dott. DONATO CALABRESE;

udito l’Avvocato Luigi SESTILI per delega avv. Giuseppe GIGLI;

udito l’Avvocato Paolo PITTORI per delega avv. Mario GESUALDO MURGO;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO E DIRITTO

L’avv. D.F. conveniva, in giudizio avanti il Tribunale di Trento il CDU Trentino e, in via surrogatoria quale commissario del partito, il Sen. G.R. per ottenerne la condanna al pagamento di compensi professionali quale difensore in cause promosse nei confronti di consiglieri provinciali per l’adempimento dell’impegno contributivo dagli stessi assunto all’atto dell’accettazione della loro candidatura elettorale.

I convenuti, costituitisi, contestavano la domanda precisando che l’attività professionale era stata svolta in realtà dall’avv. Gi.Ar., padre di Gi.Ni., all’epoca coordinatore provinciale del partito, che provvedevano a chiamare in causa per essere dallo stesso manlevati, per accordo con lui intervenuto.

Il Tribunale con sentenza in data 31.1.2003 condannava il CDU Trentino al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 13.239,98 mentre rigettava la domanda nei confronti del G. nonchè quella contro il chiamato in causa avv. Gi..

La decisione veniva impugnata dall’attrice nei confronti del sen. G. con notifica dell’impugnazione anche al CDU e all’avv. Gi. nella veste di litisconsorti processuali.

La Corte d’appello di Trento con sentenza del 14.12.2004 rigettava l’appello, confermando la decisione impugnata.

Per la cassazione lo stesso avv. D.F. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi.

Ha resistito il Sen. G.R. con controricorso.

Il CDU Trentino e l’avv. Gi.Ar. non hanno svolto attività difensiva.

Ciò posto, nel primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c.. Lamenta che la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile l’azione surrogatoria svolta da essa D. nei confronti del Sen. G., gestore del patrimonio del partito (CDU Trentino), ritenendo avere essa stessa D. agito per il recupero di un credito professionale non ancora accertato e tutto da accertare, nel mentre, di contro, la sentenza di primo grado presupponeva, sostiene la ricorrente, che tale credito fosse certo e che su tale punto la sentenza era passata in giudicato in mancanza di appello incidentale.

Il motivo va disatteso.

Secondo quanto emerge ex actis, infatti, il Tribunale, dopo aver qualificato l’azione surrogatoria proposta dall’avv. D. F., odierna ricorrente, come azione risarcitoria da atto illecito, ha escluso l’ammissibilità dell’azione surrogatoria stessa per il fatto che, avendo l’azione risarcitoria natura personale, questa può essere esercitata esclusivamente dal soggetto danneggiato.

La pronuncia del primo giudice non ha presupposto, dunque, la certezza del credito (e non ne è conseguita, quindi, su di essa la formazione del giudicato), ma è stata, nella specie, una pronuncia di inammissibilità, che si è posta prima di ogni indagine e decisione relativa alla certezza o incertezza del credito fatto valere dalla attrice, ovvero emessa con riferimento al momento della proposizione dell’azione surrogatoria.

Nel secondo motivo, pure per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., e omessa motivazione, deduce la ricorrente che la sentenza (Cass. n. 10428/1998) richiamata dal giudice d’appello a sostegno della propria decisione riguarda una fattispecie differente, in cui il credito vantato dall’attore in surrogatoria era sub iudice in un diverso ed antecedente processo, avente ad oggetto un’azione di riduzione.

Anche questo motivo è da disattendere, giacchè il principio di diritto enunciato dalla richiamata sentenza è, comunque, quello secondo cui presupposto essenziale per l’esercizio dell’azione surrogatoria è la qualità di creditore e, quindi, la sussistenza di un credito certo, pur se sottoposto a termine o condizione.

Nella specie, invece, ha rilevato la Corte trentina, l’attrice D. ha agito a tutela di un presunto credito non ancora accertato e tutto da accertare, rispetto al quale è configurabile una mera aspettativa di fatto (e non di diritto) che, risolvendosi nella speranza dell’accoglimento dell’azione proposta, non consente di ritenere sussistente la qualità di creditore necessaria per agire in surrogatoria.

“Per tale assorbente ragione” i giudici d’appello hanno pertanto ritenuto “di dover confermare il giudizio di inammissibilità dell’azione espresso dal Tribunale”, esplicitando, così, compiutamente, il proprio decisum in ordine all’azione proposta dalla odierna ricorrente.

Nel terzo motivo si denuncia ancora violazione del giudicato interno (art. 2909 c.c.) in punto di ritenuta mancanza in capo al Sen. G. del potere di rappresentanza del partito. Adduce la ricorrente che, avendo il primo giudice ritenuto che gli appelli che il Sen. G. aveva rifiutato di proporre non avessero possibilità di successo, ciò presuppone in maniera ineliminabile che egli avesse il potere di proporli con conseguente formazione del giudicato per mancata proposizione di appello incidentale.

Senonchè, oltre a trattarsi di mera deduzione, l’assunto deve ritenersi confliggente e di conseguenza assorbito dalla dichiarata inammissibilità dell’azione surrogatoria.

Peraltro, in fatto, il giudice d’appello ha rilevato che la D. ha sorvolato su una questione di “rilevanza dirimente”, poichè, in sostanza, non ha chiarito quale ruolo o meglio in base a quale norma statutaria il G. avrebbe potuto bloccare gli appelli.

Nel quarto motivo, denunciando violazione dell’art. 36 c.c., e motivazione contraddittoria, la ricorrente lamenta il mancato riconoscimento del potere di rappresentanza del partito in capo al Sen. G., atteso che egli, all’epoca dei fatti, era il coordinatore provinciale del partito, per cui ne derivava, per statuto, la rappresentanza del partito.

Il motivo non è fondato.

La Corte d’appello ha osservato infatti non essere risultato provato che il G. avesse la rappresentanza del partito, rilevando nel contempo che relativamente alle controversie che avevano avuto esito negativo la procura alle liti era stata conferita all’avv. D. proprio dal coordinatore provinciale che non era però il G..

Nel quinto motivo deduce la ricorrente omessa motivazione a proposito della fondatezza degli appelli che il Sen. G. rifiutò di proporre.

Pure questo motivo non può trovare accoglimento.

La Corte territoriale, per un verso, ha ritenuto la carenza di potere, e perciò di legittimazione, in capo al senatore di proporre gli appelli e, per altro verso, ha detto di “non condividere l’affermazione di un esito favorevole scontato degli appelli se fossero stati promossi”, aggiungendo che il Sen. G. “verosimilmente può essersi dichiarato contrario alla proposizione degli appelli” ma che si trattava di una “scelta motivata dalla opinabilità del risultato e dal timore di dover gravare il partito di spese giudiziale che in primo grado erano state compensate”, riconoscendo, così, la Corte, dignità di preoccupazione a tale opinabilità.

Sotto ogni aspetto, dunque, la Corte d’appello ha fornito sul punto adeguata motivazione.

Conclusivamente, pertanto, il ricorso va rigettato. Compensate le spese del presente giudizio per giusti motivi, correlati alla particolarità della fattispecie all’esame.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2010

 

 

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