Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5058 del 28/02/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. un., 28/02/2017, (ud. 21/02/2017, dep.28/02/2017),  n. 5058

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. DIDONE Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. PETITTI Stefano – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, e AGENZIA NAZIONALE DI VALUTAZIONE

DEL SISTEMA UNIVERSITARIO E DELLA RICERCA – AN-VUR, in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici di questa

domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrenti –

contro

FO.En., F.R., FE.Er., I.L.,

M.E.M., P.A. e L.G., rappresentati e

difesi, in forza di procura speciale a margine del controricorso,

dagli Avvocati Franco Gaetano Scoca, Fo.En.,

M.E.M. e P.A., con domicilio eletto in Roma presso lo

studio Grez, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;

– controricorrenti –

avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 53/16 in data 11

gennaio 2016;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 21

febbraio 2017 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti;

uditi l’Avvocato dello Stato Fabio Tortora e l’Avvocato

Fo.En.;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Tommaso Basile, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Fo.En., Rosario F., Erminio Fe., I.L., M.E.M., P.A. e L.G., tutti professori universitari ordinari di diritto amministrativo, sono responsabili a vario titolo (direttore, condirettori, componente del comitato scientifico) della rivista Diritto e processo amministrativo, che è stata ritenuta pubblicazione non di eccellenza e, quindi, non inserita dal Consiglio direttivo dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca – ANVUR nella lista delle riviste scientifiche di area giuridica incluse nella classe A, ai fini dell’abilitazione scientifica nazionale di cui alla L. 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonchè delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), e per la formazione delle Commissioni nazionali di cui al D.M. 7 giugno 2012, n. 76 (Regolamento recante criteri e parametri per la valutazione dei candidati ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari, nonchè le modalità di accertamento della qualificazione dei Commissari, ai sensi della L. 30 dicembre 2010, n. 240, art. 16, comma 3, lett. a, b e c, e del D.P.R. 14 settembre 2011, n. 222, art. 4 e art. 6, commi 4 e 5).

Con il ricorso di primo grado i predetti professori universitari impugnavano una serie di atti lamentati come lesivi in via principale o presupposta, emessi dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca – MIUR (il Decreto 7 giugno 2012, n. 76, compresi tutti gli allegati relativi agli indicatori di attività scientifica non bibliometrici, in specie l’allegato B, ed atti susseguenti) e dall’ANVUR (provvedimenti applicativi e in particolare la Delib. 21 giugno 2012, n. 50 che stabilisce le modalità di calcolo degli indicatori da utilizzare ai fini della selezione degli aspiranti commissari e della valutazione dei candidati per l’abilitazione scientifica nazionale, oltre all’attività istruttoria del GEV – Gruppo di esperti della valutazione della ricerca e del Gruppo di lavoro libri e riviste scientifiche dell’area 12).

Vi faceva seguito un primo atto di motivi aggiunti, occasionato da una riclassificazione in classe A da parte dell’ANVUR di altre riviste, tramite la quale doglianza si denunciavano disparità di trattamento e ingiustizia manifesta.

Avendo poi l’ANVUR sottoposto a rivalutazione la rivista qui dibattuta in esecuzione dell’ordinanza del Tribunale amministrativo del Lazio n. 934 del 22 febbraio 2013, con secondi motivi aggiunti venivano contestati dai ricorrenti gli atti ulteriori relativi al riesame, sulla base di altri numerosi motivi di impugnazione (nella specie, la Delib. 19 giugno 2013, n. 74, del Consiglio direttivo dell’ANVUR, confermativa dell’inclusione in classe B; gli atti istruttori del riesame; i giudizi dei referees).

La questione dibattuta si riferiva alla identificazione ed applicazione – rispetto alla rivista in argomento – dell’indice (rating) di scientificità di una rivista giuridica, agli effetti della valutazione e inclusione (o meglio: non inclusione) nella classe (o fascia) A di cui al citato D.M. 7 giugno 2012, n. 76, allegato B, a tenore del quale:

“2. Per ciascun settore concorsuale di cui al numero 1 (vale a dire: per i “settori concorsuali cui si applicano gli indicatori di attività scientifica non bibliometrici”, tra i quali è l’area disciplinare n. 12, Scienze giuridiche) l’ANVUR, anche avvalendosi dei gruppi di esperti della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) e delle società scientifiche nazionali, effettua una suddivisione delle riviste su cui hanno pubblicato gli studiosi italiani in tre classi di merito:

a) le riviste di classe A sono quelle, dotate di ISSN, riconosciute come eccellenti a livello internazionale per il rigore delle procedure di revisione e per la diffusione, stima e impatto nelle comunità degli studiosi del settore, indicati anche dalla presenza delle riviste stesse nelle maggiori banche dati nazionali e internazionali;

b) le riviste di classe B sono quelle, dotate di ISSN, che godono di buona reputazione presso la comunità scientifica di riferimento e hanno diffusione almeno nazionale;

c) tutte le altre riviste scientifiche appartengono alla classe C”.

2. – Con sentenza n. 324 del 2014 il Tribunale amministrativo regionale del Lazio dichiarava inammissibile il ricorso in relazione alla domanda di annullamento degli atti inerenti la procedura di abilitazione scientifica nazionale (per difetto di interesse dei ricorrenti) e improcedibile quella di annullamento e di nullità degli originali provvedimenti di classificazione (per essere medio tempore intervenuta una nuova classificazione adottata in esecuzione della favorevole ordinanza di sospensiva adottata dal primo Giudice).

Nel merito, il Tribunale amministrativo respingeva i motivi di ricorso proposti avverso la nuova classificazione in classe B adottata a seguito dell’ordinanza cautelare.

3. – La sentenza veniva impugnata in appello dai soccombenti.

Con sentenza 25 marzo 2015, n. 1584, il Consiglio di Stato accoglieva il ricorso e conseguentemente annullava gli atti dell’ANVUR nei limiti di cui in parte motiva.

4. – Con la delibera del Consiglio direttivo n. 71 del 13 maggio 2015, l’ANVUR confermava il riconoscimento del carattere scientifico della rivista Diritto e processo amministrativo, ma ne ribadiva altresì la collocazione nell’ambito della classe B.

Pertanto, i ricorrenti vittoriosi all’esito del giudizio di appello chiedevano al Consiglio di Stato di accertare e dichiarare l’inottemperanza (in primis, dell’ANVUR) nell’attuare quanto deciso dalla sentenza n. 1584 del 2015.

Si costituiva in giudizio il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, resistendo.

5. – Il Consiglio di Stato, con sentenza in data 11 gennaio 2016, lo ha accolto nei sensi e con gli effetti di cui al punto 8 della motivazione, ha disposto la comunicazione della sentenza al Prefetto di Roma ai sensi e per gli effetti di cui al richiamato punto 8 della motivazione e ha ordinato l’esecuzione della sentenza dall’autorità amministrativa.

5.1. – Il Consiglio di Stato ha ritenuto che la delibera dell’ANVUR recante gli esiti dell’attività di riesame conseguente all’annullamento in sede giurisdizionale della precedente valutazione risulta effettivamente viziata per contrasto con il contenuto precettivo, e dunque conformativo, della sentenza n. 1584 del 2015.

A tal fine, il Consiglio di Stato – premesso che la sentenza la cui esecuzione è in discussione aveva sancito l’illegittimità della rinnovata classificazione in classe B della rivista Diritto e processo amministrativo (si tratta della classificazione disposta dall’ANVUR in data 19 giugno 2013) – ha richiamato le principali ragioni poste a fondamento del disposto annullamento: (a) l’affermazione secondo cui la riconfermata classificazione in classe B della rivista è illegittima “sotto l’assorbente e prevalente profilo del difetto di istruttoria” (punto 4.1 della motivazione); (b) il rilievo secondo cui, ai fini della predisposizione degli elenchi di cui all’allegato B del D.M. n. 76 del 2012, “le riviste sono state valutate e classificate in retrospettiva sulla base di procedure e specifiche tecniche ex post, nell’assenza di parametri e metodi consolidati nella comunità scientifica di riferimento (…) nelle attività di monitoraggio, come quella praticata in esame, la costruzione di indici ex ante appare essenziale per identificare la soglia (di qua o di là) e per la misurazione differenziale degli scostamenti. Nella specie la valutazione è stata rimessa a rilevamenti di ordine sostanzialmente opinabile” (ivi, punto 4.4.); (c) l’affermazione secondo cui “non è dubitabile che la procedura di specie sia caratterizzata da una valutazione in assoluto, frutto di regole tecnico-discrezionali, ma il tema reale è la mancata predisposizione di canoni tecnici in relazione alla situazione assoggettata, tali da consentire di verificare anche l’uniformità del metro di giudizio verso tutte le riviste e ciascuna di esse, come emerge dalla riportata ricostruzione dell’intera vicenda relativamente alla coerenza generale e per quanto concerne la specifica valutazione” (ivi, punto 6.2); (d) il rilievo secondo cui “conclusivamente, la sussistenza delle condizioni legali per la catalogazione delle riviste di area giuridica in classe A andava verificata con preregolati canoni e metodi di analisi oggettivi e compatibili rispetto ai criteri di legge ed in relazione alla concreta situazione degli aspetti di complessiva valutazione tecnico-discrezionale, come diagnosticata dai Gruppi di Lavoro” (ivi, punto 7.1).

Secondo il Consiglio di Stato, poichè la mancata predeterminazione di criteri ex ante da porre a fondamento delle determinazioni dell’amministrazione ha rappresentato un aspetto fondamentale sul quale si è incentrata la sentenza di appello, l’ANVUR non avrebbe potuto legittimamente fondare le proprie rinnovate determinazioni (quelle tradottesi con la sostanziale ripetizione di cui alla delibera del Consiglio direttivo n. 71 del 2015) ancora una volta in assenza dei canoni tecnici predeterminati e dei “preregolati canoni e metodi di analisi oggettivi” richiamati dalla sentenza n. 1584 del 2015.

Il giudice amministrativo ha quindi sottolineato che il Consiglio direttivo dell’ANVUR (nel richiamare e fare proprio l’operato del sottogruppo di area 12): (a) non ha attuato in modo corretto e coerente la parte centrale della sentenza n. 1584 del 2015 e ha finito per operare la rivalutazione della rivista ancora una volta senza fare uso di criteri predeterminati, e anzi discostandosi in modo consapevole proprio dai criteri da ultimo enucleati; (b) ha ritenuto di poter desumere i criteri di valutazione del caso di specie dal dictum della richiamata sentenza, ma ha omesso di fare applicazione proprio del principale di tali criteri (quello relativo alla predeterminazione dei parametri valutativi); (c) ha operato, comunque, una selezione parziale e distorsiva dei riferimenti desumibili dalla sentenza n. 1584 del 2015 (come quello relativo alla internazionalizzazione della rivista, che non risulta coerente con la parte dispositiva della decisione oggetto di ottemperanza); (d) ha operato in modo contraddittorio, in quanto per un verso ha reputato necessario l’espletamento dell’istruttoria sulla base dei (sei) canoni tecnici predeterminati da ultimo enucleati (pagina 4, terzo capoverso), mentre per altro verso ha fatto proprio il giudizio del sottogruppo di area 12 il quale si fonda su parametri del tutto diversi e comunque non omogenei con i primi.

Il Consiglio di Stato ha poi sottolineato che le valutazioni del Gruppo di lavoro libri e riviste scientifiche dell’area 12 (in allegato alla Delib. ANVUR n. 71 del 2015) non sono coerenti con quanto desumibile dalla richiamata sentenza: sia con riguardo ai ripetuti richiami operato dal Gruppo di lavoro alla questione dell’internazionalizzazione della rivista, all’assenza di abstract in lingua inglese e alla circostanza per cui i suoi contenuti sono di fatto inaccessibili alla comunità scientifica internazionale; sia quanto al passaggio dell’allegato alla Delib. n. 71 del 2015 con cui vengono affrontate (e superate, attraverso un giudizio di fatto confermativo del precedente) le criticità rilevate dal Consiglio di Stato per ciò che riguarda la valutazione del parere della società scientifica nazionale di riferimento (si tratta dell’AIPDA l’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo); sia per quel che riguarda l’utilizzo del criterio della c.d. peer review.

5.2. – Una volta affermato che le operazioni valutative di cui alla Delib. ANVUR n. 71 del 2015 si sono poste in violazione ed elusione del giudicato, il giudice amministrativo ha valutato le conseguenze di tale vizio in relazione all’invocato riconoscimento dell’iscrizione fra le riviste di classe A ai sensi del D.M. n. 76 del 2012, giungendo ad escludere che all’amministrazione possa essere consentito ripronunziarsi una quarta volta in ordine alla classificazione della rivista Diritto e processo amministrativo.

Al riguardo, il Consiglio di Stato ha sottolineato: (a) che l’amministrazione aveva già espresso per la prima volta un giudizio in data 24 ottobre del 2012, collocando la rivista in questione in classe B; (b) che, a seguito dell’ordinanza cautelare di primo grado n. 934 del 2013, l’amministrazione aveva rinnovato la valutazione, confermando tuttavia la disposta classificazione in classe B (si tratta del provvedimento ANVUR del 19 giugno 2013); (c) che, a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale della rinnovata classificazione, l’ANVUR aveva adottato un terzo atto di sostanziale conferma dei precedenti (si tratta della delibera del Consiglio direttivo n. 71 del 2015).

E siccome contrasterebbe con i principi di garanzia e di efficienza amministrativa e di effettività della portata obbligante del giudicato l’ennesima edizione in capo al Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca e all’ANVUR di una intatta potestà valutativa, il Consiglio di Stato ne ha fatto conseguire senz’altro il riconoscimento dell’invocata classificazione della rivista Diritto e processo amministrativo nella classe A di cui all’allegato B al D.M. n. 76 del 2014.

Pertanto il Consiglio di Stato ha ordinato all’ANVUR di provvedere entro trenta giorni dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della decisione ad iscrivere la rivista Diritto e processo amministrativo nella predetta classe A; e ha statuito che, in caso di permanente inottemperanza al decisum di cui alla sentenza n. 1584 del 2015, all’iscrizione in questione provvederà, su semplice richiesta dei ricorrenti, un commissario ad acta, individuato nel Prefetto di Roma.

6. – Per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e l’ANVUR hanno proposto ricorso, con atto notificato il 19 aprile 2016, sulla base di un motivo.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo, le Amministrazioni ricorrenti denunciano, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 1, e art. 362 c.p.c., eccesso di potere giurisdizionale, per violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 134 cod. proc. amm., in quanto il Consiglio di Stato si sarebbe erroneamente ritenuto titolare, rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio, di un potere giurisdizionale esteso al merito e, sulla scorta di tale erroneo presupposto, si sarebbe sostituito all’amministrazione procedente nell’esercizio dei poteri discrezionali che a quest’ultima competono.

Le ricorrenti pongono la seguente questione di diritto: se sussista la giurisdizione di merito tipica del giudizio di ottemperanza (con gli annessi poteri di sostituzione del giudice alla pubblica amministrazione) allorquando ad essere censurato sia un provvedimento amministrativo che presenti cumulativamente le seguenti caratteristiche: (a) sia successivo a una pronuncia giudiziale di annullamento; (b) presenti un contenuto non satisfattivo per il ricorrente vittorioso nel giudizio di cognizione; (c) risulti fondato su ragioni estranee alla dimensione oggettiva del giudicato cognitorio.

Ad avviso del Ministero e dell’ANVUR, poichè non sarebbe condivisibile la tesi dell’esaurimento del potere discrezionale in conseguenza di un giudicato di annullamento, la delibera del Consiglio direttivo n. 71 del 2015, recante la conferma della collocazione in classe B, non poteva considerarsi in contrasto con il giudicato di appello (e dunque passibile di ricorso in ottemperanza) solo in ragione del suo contenuto non favorevole alla parte vittoriosa nel giudizio di cognizione.

Infatti, la sentenza di appello n. 1584 del 2015 non avrebbe appurato la spettanza, per la rivista Diritto e processo amministrativo, della classe A, essendosi, invece, limitata a riscontrare l’omessa predeterminazione, da parte dell’ANVUR, dei parametri valutativi, sicchè la discrezionalità dell’ANVUR, nel compiere la riclassificazione, non sarebbe stata in alcun modo intaccata dal giudicato.

Ad avviso delle Amministrazioni, è stato lo stesso giudice amministrativo (tanto nella ordinanza cautelare del TAR quanto nella pronuncia di appello del Consiglio di Stato) ad avere imposto la riedizione dell’istruttoria procedimentale sulla scorta di nuovi criteri: e allorquando sia proprio il giudice ad imporre alla P.A. di rideterminarsi su nuove basi, tale rieffusione del potere non potrebbe essere sottoposta ad alcun regime di limitazione o contingentamento.

Il giudicato di appello – si osserva – non imprimeva affatto un assetto definitivo alla fattispecie dedotta in giudizio, ma al contrario imponeva all’ANVUR di provvedere ex novo, su rinnovate basi, a compiere le operazioni di valutazione discrezionale di propria esclusiva competenza.

2. – Il motivo è infondato.

2.1. – L’oggetto specifico del giudizio a quo è l’ottemperanza al giudicato formatosi a seguito della sentenza n. 1584 del 2015 del Consiglio di Stato, e tale giudizio si è concluso con la sentenza impugnata con il ricorso in esame per motivi inerenti alla giurisdizione (eccesso di potere giurisdizionale), in riferimento agli artt. 7 e 134 cod. proc. amm..

2.2. – Nel ribadire che le decisioni del Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza sono soggette al sindacato delle Sezioni Unite sul rispetto dei limiti esterni della giurisdizione, la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. U., 26 aprile 2013, n. 10060; Cass., Sez. U., 3 febbraio 2014, n. 2289) ha chiarito che, poichè nel giudizio di ottemperanza è attribuita al giudice amministrativo una giurisdizione anche di merito, per distinguere le fattispecie in cui il sindacato sui limiti di tale giurisdizione è consentito da quello in cui risulta invece inammissibile, risulta decisivo stabilire se quel che viene in questione è il modo in cui il potere giurisdizionale di ottemperanza è stato esercitato dal giudice amministrativo, attenendo ciò ai limiti interni della giurisdizione, oppure il fatto stesso che un tal potere, con la particolare estensione che lo caratterizza, a detto giudice non spettava.

In particolare, quando l’ottemperanza sia stata invocata denunciando comportamenti elusivi del giudicato o manifestamente in contrasto con esso, afferiscono ai limiti interni della giurisdizione gli eventuali errori imputati al giudice amministrativo nell’individuazione degli effetti conformativi del giudicato medesimo, nella ricostruzione della successiva attività dell’amministrazione e nella valutazione di non conformità di questa agli obblighi derivanti dal giudicato; trattandosi, invece, dei limiti esterni di detta giurisdizione quando è posta in discussione la possibilità stessa, nella situazione data, di far ricorso alla giurisdizione di ottemperanza.

Questa Corte regolatrice ha altresì precisato (Cass., Sez. U., 19 gennaio 2012, n. 736; Cass., Sez. U., 2 febbraio 2015, n. 1823; Cass., Sez. U., 31 marzo 2015, n. 6494) che il giudizio di ottemperanza, in particolare nel caso in cui sia denunciato un comportamento della pubblica amministrazione elusivo del giudicato, si svolge in una triplice operazione: (a) di interpretazione del giudicato, al fine di individuare il comportamento doveroso per la pubblica amministrazione in sede di ottemperanza; (b) di accertamento del comportamento in effetti tenuto dalla medesima amministrazione; (c) di valutazione della conformità del comportamento tenuto dall’amministrazione a quello che avrebbe dovuto tenere.

Gli errori nei quali incorra il giudice amministrativo nel compimento delle indicate operazioni, e i vizi che inficiano la motivazione sugli stessi punti, essendo inerenti al giudizio di ottemperanza, restano confinati all’interno della giurisdizione medesima, e non integrano quell’eccesso di potere giurisdizionale che solo è sindacabile dalla Corte di cassazione.

2.3. – Nella specie, il Consiglio di Stato, con un esame analitico e allo stesso tempo stringente della fattispecie, ha individuato il comando contenuto nella sentenza da ottemperare e conseguentemente gli obblighi conformativi da essa derivanti all’amministrazione soccombente, affermando che una delle principali ragioni poste a fondamento del disposto annullamento dell’atto amministrativo è “la mancata predeterminazione di criteri ex ante da porre a fondamento delle determinazioni dell’amministrazione”; e – considerato il comportamento tenuto dall’amministrazione e concretizzatosi nella delibera del Consiglio direttivo dell’ANVUR n. 71 del 2015 – ne ha valutato la non conformità rispetto alle prescrizioni del giudicato.

Nel sottolineare che l’enucleazione dei criteri “a monte” non rappresentava per l’Agenzia nazionale di valutazione una mera facoltà il cui esercizio poteva essere declinato alla luce di considerazioni attinenti le autodeterminazioni dell’amministrazione, ma “al contrario costituiva un vero e proprio obbligo di legge, originato dalla doverosità del dare esecuzione al giudicato di annullamento”, la sentenza qui impugnata afferma che, percorrendo una sequenza logico-procedurale contrastante con quella delineata nel giudicato di annullamento, l’ANVUR dapprima ha disposto ed eseguito la rivalutazione della classificazione della rivista Diritto e processo amministrativo ancora una volta in assenza dei necessari “canoni tecnici” di valutazione imposti dal giudicato, e subito dopo ha adottato i nuovi “canoni e metodi di analisi oggettivi” di valutazione, ma senza utilizzarli in relazione al caso che era stato oggetto della decisione pur da eseguire, proiettandoli in via applicativa solo per le fattispecie future.

Di qui la conclusione che l’amministrazione non ha attuato “in modo corretto e coerente la parte centrale della sentenza n. 1584 del 2015”, finendo per operare la rivalutazione della rivista ancora una volta senza fare uso di criteri predeterminati: il Consiglio direttivo dell’ANVUR ha ritenuto di poter desumere i criteri di valutazione del caso di specie dal dictum della citata pronuncia, ma ha omesso di fare applicazione proprio del principale di tali criteri (quello relativo alla predeterminazione dei parametri valutativi).

Una volta verificata la violazione del giudicato per mancata predeterminazione dei criteri, il Consiglio di Stato ha rilevato che le rinnovate operazioni di valutazione si sono poste in violazione ed elusione del giudicato anche per altri aspetti: (a) là dove hanno considerato per l’inserimento in fascia A, contrariamente a quanto stabilito dalla sentenza n. 1584 del 2015, l’internazionalizzazione della rivista, la presenza dell’abstract in lingua inglese e l’accessibilità dei contenuti alla comunità scientifica internazionale; (b) nella parte in cui hanno continuato a valutare in modo immotivato ed insufficiente il parere della società scientifica nazionale di riferimento (si tratta dell’AIPDA l’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo); (c) per quanto riguarda l’utilizzo del criterio della peer review.

2.5. – Ora, dalla conclusione cui è pervenuto il Consiglio di Stato, nel senso che le rinnovate operazioni di valutazione hanno disatteso ed eluso gli obblighi conformativi puntualmente sanciti dalla sentenza di cognizione, si può dissentire, o viceversa si può convenire con essa; ma appare innegabile che, nell’esprimerla, il giudice amministrativo ha adempiuto il compito che gli compete quale giudice dell’ottemperanza, ossia quale giudice naturale della conformazione dell’attività amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che da quel giudicato discendono o che in esso trovano il proprio presupposto. Compito che, come già sottolineato, proprio in ciò consiste: nel verificare se l’azione amministrativa successiva alla decisione giurisdizionale sia o meno disallineata rispetto al contenuto del giudicato formatosi.

Gli eventuali errori nei quali il giudice amministrativo possa essere incorso nell’opera di interpretazione del giudicato e di accertamento del comportamento tenuto dall’ANVUR nonchè nella valutazione di conformità di tale comportamento rispetto a quello che si sarebbe dovuto tenere, inerendo al contenuto essenziale e tipico del giudizio di ottemperanza, restano interni alla giurisdizione stessa e non integrano il denunciato eccesso di potere giurisdizionale.

2.6. – Va, d’altra parte, escluso che il Consiglio di Stato abbia fatto discendere la violazione del giudicato dalla preclusione che impedirebbe alla P.A., all’indomani di un giudicato di annullamento, di rideterminarsi in senso non satisfattivo rispetto all’interesse pretensivo vantato dai ricorrenti vittoriosi.

Il Consiglio di Stato non ha affatto ritenuto l’ulteriore provvedimento negativo dell’ANVUR successivo al giudicato ricorribile in ottemperanza solo in ragione della sua non satisfattività rispetto alle pretese dei privati vittoriosi; ma ha giudicato il ricorso in ottemperanza esperibile perchè l’illegittimità dell’azione amministrativa trova fondamento e parametro di valutazione proprio nella mancata coerenza con la decisione giurisdizionale.

Inoltre, poichè al giudice amministrativo, in sede di ottemperanza, è espressamente attribuito un potere di giurisdizione anche di merito (art. 7 cod. proc. amm., comma 6, e art. 134 cod. proc. amm.), con possibilità sia di procedere alla determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo ed alla emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione, sia di sostituirsi all’amministrazione, nominando, ove occorra, un commissario ad acta, un eccesso di potere giurisdizionale del Consiglio di Stato, per invasione della sfera riservata al potere discrezionale della pubblica amministrazione, non potrebbe essere ravvisato nel fatto in sè che il giudice dell’ottemperanza, rilevata la violazione o l’elusione del giudicato amministrativo, abbia ordinato all’ANVUR di provvedere ad iscrivere la rivista in questione nella classe A, nominando un commissario ad acta in caso di persistente inottemperanza. A tale conclusione, infatti, il giudice amministrativo è giunto sul rilievo che l’obbligo di dare esecuzione ai provvedimenti del giudice vale specialmente per la pubblica amministrazione, in un’ottica di leale e imparziale esercizio del munus publicum; e dopo avere sottolineato che è preclusa all’amministrazione una riedizione del potere sulla medesima fattispecie, laddove essa abbia già adottato provvedimenti negativi sempre dichiarati illegittimi in sede giurisdizionale e successivamente abbia riprovveduto in violazione ed esecuzione del primo giudicato, senza peritarsi di introdurre nella fattispecie nuovi elementi di diniego rispettosi del primo giudicato di annullamento.

3. – Il ricorso è rigettato.

La complessità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

4. – Sebbene impugnazione sia integralmente respinta, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato ricorrenti, le quali, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass., Sez. U., 8 maggio 2014, n. 9938).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA