Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5057 del 02/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 02/03/2011, (ud. 26/11/2010, dep. 02/03/2011), n.5057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17256/2006 proposto da:

R.R., B.A., B.A.S.,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio

dell’avvocato LAGOZINO NICOLA, rappresentati e difesi dall’avvocato

TESAURO Francesco, giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 69/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 14/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

26/11/2010 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito per il resistente l’Avvocato SPINA, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 14/4/2005 la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia respingeva il gravame interposto dai sigg.ri R.R. ed altri, quali eredi del sig. B.A., nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Milano di rigetto dell’opposizione spiegata avverso avviso, notificato nel 2001, di liquidazione dell’imposta di successione relativo a dichiarazione presentata il 12/4/1999.

Avverso la suindicata decisione del giudice dell’appello le sigg.re R.R. e B.A.S. propongono ora ricorso per cassazione affidato a 2 motivi.

L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con entrambi i motivi le ricorrenti denunziano “illegittimità costituzionale della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 69, comma 15, per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.”.

Lamentano che la censurata norma transitoria, nell’includere nell’ambito di applicazione della L. n. 342 del 2000 le successioni apertesi a decorrere dal 1 luglio 2000, nessun “riferimento” faccia invero a quelle viceversa anteriori a tale data e non ancora definite, a tale stregua determinando “una disparità di trattamento nell’ambito della stessa categoria di contribuenti”.

Si dolgono che la norma in questione neghi altresì che “si applichi anche un’agevolazione -come quella a beneficio delle persone invalide – di particolare significato equitativo”, sicchè contribuenti affetti da “medesima situazione di invalidità” sono diversamente tassati a seconda che la successione si sia aperta a decorrere dal 1 luglio 2000 ovvero anteriormente a tale data.

I motivi sono entrambi infondati, e il 2^ è altresì in parte inammissibile, là dove la riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito senza debitamente riportarli nel ricorso. (es.. la riconosciuta invalidità della “sig. B.A.S. …

(cfr. allegato al ricorso di primo grado n. 5”, la riconosciuta invalidità della “sig. R.R. … nella misura dell’80 per cento (cfr. allegato n. 3”).

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il principio di irretroattività delle leggi, sancito in via generale dall’art. 11 preleggi, è in materia tributaria espressamente previsto nel c.d.

Statuto del contribuente, limitatamente ai profili sostanziali del rapporto tributario ed agli obblighi, anche formali, dalla cui violazione possano conseguire effetti negativi per il contribuente (v. Cass., 27/8/2001. n. 11274), laddove è viceversa senz’altro ammissibile farsi luogo all’applicazione di norme in materia di procedure di accertamento a rapporti sostanziali anteriori, alla entrata in vigore delle norme stesse (v. Cass., 13/6/2002, n. 8415).

Si è al riguardo precisato che la disposizione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 3 (secondo cui, salvo i casi di eccezionali in cui è ammessa l’emanazione di norme interpretative, “le disposizioni tributarie non hanno effetti retroattivi”) è da interpretarsi e applicarsi alla luce dell’art. 1, comma 1, ove si stabilisce che “le disposizioni della presente legge, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”.

La L. n. 212 del 2000, ha inteso a tale stregua attribuire alle proprie disposizioni il valore di “principi generali dell’ordinamento tributario” (v. Cass., 14/4/2004. n. 7080).

Nella categoria dei principi giuridici è insita, come si desume dall’art. 12 preleggi, comma 2 (anche) la funzione di orientamento ermeneutico ed applicativo vincolante nell’interpretazione del diritto.

Qualsiasi dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla L. n. 212 del 2000, deve essere pertanto dall’interprete risolto nel senso più conforme ai principi dello statuto del contribuente, cui la legislazione tributaria, anche antecedente, deve essere adeguata, anche al di là delle modificazioni, relativamente modeste, introdotte nella normativa previgente con il D.Lgs. 26 gennaio 2001, in applicazione di una delega contenuta nella citata n. 212 del 2000, art. 16 (v. Cass..

14/4/2004. n. 7080).

Questa prescrizione non è diretta soltanto al legislatore tributario, ma si riflette come criterio interpretativo sull’esercizio della stessa attività applicativa dell’interprete, che è chiamato ad applicare quei principi anche con riferimento a leggi tributarie che non siano state oggetto di correzione, vale dire virtualmente tutte le altre norme dell’ordinamento tributario.

Come del pari già sottolineato da questa Corte, il valore ermeneutico dei principi statutari si fonda su due rilievi: a) quello secondo cui l’interpretazione conforme a statuto si risolve, in definitiva, nell’interpretazione conforme alle norme costituzionali richiamate, che lo statuto stesso dichiara esplicitamente di attuare nell’ordinamento tributario; b) quello, diretta conseguenza del primo, secondo cui alcuni dei principi posti dalla L. n. 212 del 2000. proprio in quanto esplicitazioni generali, nella materia tributaria, delle richiamate norme costituzionali, debbono ritenersi “immanenti” nell’ordinamento stesso già prima dell’entrata in vigore dello statuto e, quindi, vincolanti l’interprete in forza del fondamentale canone ermeneutico della “interpretazione adeguatrice” a Costituzione, cioè, del dovere dell’interprete di preferire, nel dubbio, il significato e la portata della disposizione interpretata conformi a Costituzione (cfr. Cass.. 10/12/2002, n. 17576).

Questo valore opera, peraltro, nei limiti del più generale principio dell’irretroattività della legge: nell’ambito delle disposizioni statutarie si devono distinguere quelle che sono espressione di principi già immanenti nel diritto o nell’ordinamento tributari e quelle che – pur dettate in attuazione delle norme costituzionali richiamate nello statuto del contribuente – presentano, invece, un contenuto totalmente o parzialmente innovativo rispetto a quello della legislazione tributaria preesistente.

Anche la L. n. 212 del 2000, art. 3, in materia di irretroattività delle disposizioni tributarie, inquadrato nell’ambito del principio enunciato dall’art. 1 della legge, assume invero un preciso valore interpretativo, quale criterio per consentire all’interprete di ricavare dalla lettera delle norme il senso che le renda compatibili con i principi costituzionali richiamati nello statuto (v. Cass., 3/3/2001, n. 4760; Cass., 14/4/2008, n. 7080).

Il principio di irretroattività delle leggi tributarie, quale (ulteriore) garanzia attribuita ai contribuenti piuttosto che l’esplicitazione di un principio già immanente nell’ordinamento (atteso che l’art. 25 Cost., prevede il divieto di irretroattività solamente per le disposizioni penali), costituisce pur sempre un valido criterio interpretativo da applicare anche alla normativa preesistente ed anche con riferimento a fattispecie anteriori (v.

Cass., 14/4/2004, n. 7080, che ne ha conseguentemente tratto che allorquando una normativa fiscale sia suscettibile di duplice interpretazione, una che ne comporti la retroattività ed un’altra che l’escluda, l’interprete deve privilegiare invero la seconda interpretazione, conforme a criteri generali introdotto con lo statuto del contribuente, e attraverso di esso ai valori costituzionali intesi in senso ampio, dallo stesso legislatore direttamente interpretati attraverso lo statuto).

Orbene, di tali principi il giudice dell’appello ha nell’impugnata sentenza fatto invero puntuale e corretta applicazione.

La L. n. 432 del 2000, è senz’altro innovativa in tema di successioni e donazioni, la retroattività risultando espressamente esclusa dallo stesso art. 69, comma 7, nella parte in cui il riferimento temporale applicativo viene testualmente indicato in relazione “ai fatti accaduti e agli atti comunque formati successivamente alla data del 1 luglio 2000” (cfr. Cass., 10/2/2006, n. 2955).

A tale stregua, il mancato “riferimento” alle successioni apertesi anteriormente al 1 luglio 2000 e non ancora definite, anzichè determinare, come lamentato dalle odierne ricorrenti, “una disparità di trattamento nell’ambito della stessa categoria di contribuenti”, risulta invero consentaneo con il suindicato principio generale di non retroattività delle norme tributarie, essendo d’altro canto noto che la successione delle leggi, purchè come appunto nel caso rispondente a criteri di ragionevolezza, non può mai porsi come fonte di illegittime discriminazioni, costituendo di per sè il fluire del tempo un fattore di disomogeneità delle situazioni poste a confronto (cfr. Cass., Sez. Un., 23/1/2004. n. 1240).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2011

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