Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5056 del 02/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 02/03/2011, (ud. 26/11/2010, dep. 02/03/2011), n.5056

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.V.R., D.V.G. e L.P.A.,

elettivamente domiciliati in Roma, Corso Trieste n. 88, presso l’avv.

DI GIORGIO Francesco, che li rappresenta e difende unitamente

all’avv. Angelo Turco giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, Ufficio di Eboli;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, sez. staccata di Salerno, n. 176/05/05, depositatali 17

giugno 2005.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 26

novembre 2010 dal Relatore Cons. Dott. Biagio Virgilio;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso per quanto di ragione.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. D.V.R., D.V.G. e L.P.A. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, indicata in epigrafe, con la quale è stato rigettato sia l’appello proposto dai contribuenti, unitamente ad altri coeredi, contro la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso dagli stessi proposto avverso avviso di liquidazione di imposta di registro, donazione ed INVIM, sia il ricorso contro il provvedimento di diniego di definizione della lite pendente emesso dall’Ufficio della L. n. 289 del 2002, ex art. 16.

2. L’Agenzia delle entrate non si è costituita.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, i ricorrenti, denunciando “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5”, censurano la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice a quo ha “totalmente omesso di esaminare e decidere in ordine al primo motivo di impugnazione ovvero alla applicabilità e ricorribilità nel caso in esame della circolare 15.1.03 n. 3/E che al punto 10.3 afferma l’applicabilità della definizione fiscale quando l’avviso di liquidazione assolva anche alla funzione di atto di accertamento”.

Con il secondo motivo, denunciando “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5”, si deduce che il giudice d’appello ha omesso di esaminare e decidere “quanto specificamente gli appellanti avevano evidenziato come errori di attribuzione di valori alla donazione di singole quote”, nonchè sul motivo di appello per il quale “l’atto di liquidazione in tale ipotesi assume la natura di un vero e proprio atto di accertamento”.

Infine, con il terzo motivo (“violazione art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5”), si censura nuovamente l’omessa pronuncia su altro punto dell’appello, secondo il quale “l’eventuale rigetto dell’appello in ordine alla definibilità in condono dell’avviso di liquidazione doveva tener conto che l’effettuato condono, ancorchè respinto, restava valido ed operante per gli interessi e sanzioni che comunque non erano dovuti”.

3. I tre motivi si rivelano inammissibili per più ragioni.

In primo luogo, essi non investono le rationes decidendi della sentenza impugnata, costituite, quanto al rigetto del ricorso avverso il diniego di condono, dalla considerazione che la controversia riguarda avviso di liquidazione emesso a seguito di sentenza passata in giudicato, e quindi un mero atto di riscossione, e, quanto al ricorso in appello, dal rilievo che quest’ultimo conteneva eccezioni e richieste “genericamente formulate”, in quanto “ai lamentati errori che sarebbero stati commessi dal primo giudice gli appellanti non oppongono concreti elementi e non dimostrano in che cosa consistono concretamente gli invocati errori”.

In secondo luogo, le censure sopra sintetizzate si rivelano generiche e prive del requisito dell’autosufficienza, non riportando testualmente, nei loro esatti termini, le doglianze alla sentenza di primo grado che il giudice d’appello avrebbe omesso di esaminare (Cass., Sez. un., n. 15781 del 2005).

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2011

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