Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5051 del 03/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 03/03/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 03/03/2010), n.5051

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in

carica, ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso i cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, via dei

Portoghesi 12;

– ricorrenti –

contro

N.M., elettivamente domiciliato in Firenze alla via San

Gallo 54 presso lo studio dell’avv. Traversi Alessandro;

– intimato –

avverso la sentenza 20/21/02, depositata in data 30 maggio 2002,

della Commissione tributaria regionale della Toscana;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

20.1.10 dal Consigliere Dott. CARLEO Giovanni;

Udita la difesa svolta dall’Avvocatura Generale dello Stato per conto

del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle

Entrate, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, la

cassazione della sentenza impugnata con ogni consequenziale

statuizione anche in ordine alle spese processuali;

Udito il P.G. in persona del Dott. SEPE Ennio Attilio che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso con le pronunce consequenziali.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Ufficio II.DD. di Firenze notificava a N.M. avviso di accertamento con il quale in relazione all’anno 1991 accertava, ai fini Irpef ed Ilor, un reddito di impresa non dichiarato di L. 545.261.596 sul presupposto dell’esercizio di una attivita’ di vendita di capi di abbigliamento non dichiarata. Tale avviso cosi’ come quello, successivamente notificatogli, riguardante il 1992, anno per il quale era stato accertato un reddito di impresa non dichiarato di L. 209.981.364, si fondava sul pI.C.M. Technoglass S.p.a. della G. di F. di Firenze dal quale emergeva che il N., dopo aver cessato nel 1980 l’attivita’ di commerciante di abbigliamento, aveva esercitato abusivamente la professione e dal 1984 al 1992 aveva avuto la disponbilita’ di diversi conti bancari sui quali erano stati effettuati movimenti bancari per alcuni miliardi di L. ogni anno. Il N. presentava distinti ricorsi avverso i due avvisi alla Commissione tributaria provinciale di Firenze, la quale li rigettava.

Proponeva appello il contribuente.

La Commissione tributaria regionale della Toscana accoglieva il gravame compensando le spese di giudizio.

Avverso la detta sentenza hanno quindi proposto ricorso per Cassazione articolato in due motivi il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima doglianza, deducendo il vizio di violazione di legge (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 1 e 2 e art. 654 c.p.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) nonche’ il vizio di motivazione insufficiente, i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata a) nella parte in cui la CTR ha ritenuto l’illegittimita’ dell’accertamento relativo alla movimentazione bancaria per violazione dell’art. 32 sopra citato, norma la quale prevede che l’ufficio ha l’obbligo “di invitare i contribuenti a dare notizie e dati rilevanti ai fini dell’accertamento per le operazioni annotate sui conti correnti bancari”; b) nella parte in cui ha trascurato che nessuna prova era stata fornita dal contribuente circa l’estraneita’ delle operazioni bancarie all’attivita’ economica; c) nella parte in cui ha attribuito rilievo alla sentenza penale di assoluzione del N..

Ed invero la CTR avrebbe errato per aver trascurato a) che l’invio del questionario o la richiesta di documenti di cui all’art. 32 citato non sono momenti necessari della serie procedimentale finalizzata alla rettifica b) che sarebbe stato onere del contribuente dimostrare che le operazioni bancarie non si riferissero ad attivita’ commerciale c) che nella stessa sentenza penale il giudice aveva precisato che nel processo tributario, a differenza del giudizio penale, era possibile il ricorso a presunzioni. La censura e’ fondata. Ed invero, riguardo al primo profilo di doglianza, giova precisare che questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare il principio secondo cui “il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 nella parte in cui prevede l’invito al contribuente a fornire dati e notizie in ordine agli accertamenti bancari, non impone all’Ufficio l’obbligo di uno specifico e previo invito, ma gli attribuisce una mera facolta’, della quale puo’ avvalersi in piena discrezionalita’;

il mancato esercizio di tale facolta’ non puo’ quindi determinare l’illegittimita’ della verifica operata sulla base dei medesimi accertamenti (Cass. n. 14675/06).

Parimenti, merita di essere condiviso il secondo profilo di doglianza. A riguardo, si deve sottolineare che questa Corte ha recentemente affermato il principio secondo cui “in tema di accertamento Irpef e Iva, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 53 e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2 pongono (ai fini degli accertamenti e delle rettifiche previsti dai successivi D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39 e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54) presunzioni legali, ancorche’ semplici, in forza delle quali i versamenti su conto corrente bancario, in assenza di prova contraria del contribuente che attesti la loro inerenza all’imponibile dichiarato ovvero ad operazioni non imponibili, si presumono rappresentativi di corrispettivi imponibili in forza di una vincolante valutazione legislativa. (Cass. n. 18868/07). Ne deriva che al fine di superare la presunzione di cui sopra occorre che sia il contribuente a fornire la prova liberatoria dimostrando la riferibilita’ di ogni singola movimentazione del conto ad attivita’ estranee all’impresa commerciale, prova liberatoria che nella specie non e’ stata fornita dal N. ad onta della presunzione di legge.

Quanto al terzo profilo della censura, vale la pena di rilevare che “nel processo tributario il giudice puo’ fondare il proprio convincimento anche su elementi presuntivi, con una sua autonoma valutazione rispetto a quella del giudice penale” (Cass. n. 12041/08), onde la fondatezza della censura mossa dai ricorrenti. Ne consegue che in applicazione dei principi riportati la doglianza esaminata nei suoi diversi profili merita di essere accolta, ritenendosi in essa assorbito il secondo motivo di impugnazione, articolato sotto il profilo della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d nonche’ sotto il profilo della motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria, per aver la CTR omesso di esaminare i numerosi fatti dai quali i giudici di primo grado avevano desunto l’esistenza di un’attivita’ commerciale in nero e trascurato che nella specie era consentito il ricorso alle presunzioni.

Il ricorso per Cassazione, siccome fondato, deve essere accolto e la sentenza impugnata, che ha fatto riferimento, in modo non corretto, ad una regula iuris diversa, deve essere cassata. Con l’ulteriore conseguenza che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo della lite proposto dal contribuente.

L’alternarsi dell’esito delle decisioni giustifica la compensazione delle spese relativamente alle fasi di merito. All’accoglimento del ricorso consegue la condanna dell’intimato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’ liquidate come in dispositivo.

PQM

La CORTE Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, rigetta il ricorso introduttivo della lite proposto dal contribuente.

Compensa le spese tra le parti riguardo ai giudizi di merito.

Condanna l’intimato alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 6.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, in Camera di Consiglio, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2010

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