Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5048 del 03/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 03/03/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 03/03/2010), n.5048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

KIDCO SERVICES SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA AGOSTINO DEPRETIS 86, presso lo

studio dell’avvocato ADONNINO PIETRO, che lo rappresenta e difende

per procura speciale rilasciata dal Consolato Generale d’Italia a

GEDDA il 24/01/2008 n. Reg. 8;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 63/2006 della COMM. TRIB. REG. di L’AQUILA,

depositata il 30/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

14/01/2010 dal Consigliere Dott. MERONE Antonio;

udito per il ricorrente l’Avvocato ADONNINO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

L’odierna ricorrente, Kidco Services S.R.L., riferisce che il contenzioso trae origine dal ricorso con il quale la societa’ ha impugnato un avviso di accertamento notificato dal competente ufficio finanziario, relativo alla rettifica della dichiarazione che la stessa societa’ ha presentato in qualita’ di sostituto d’imposta, con riferimento all’esercizio 1996. Con l’atto impugnato, l’ufficio contestava la corresponsione al personale dipendente di emolumenti non dichiarati, con conseguente omesso versamento delle ritenute fiscali e degli altri oneri erariali, con applicazione delle relative sanzioni.

La commissione tributaria provinciale adita in primo grado ha rigettato il ricorso. La commissione tributaria regionale ha poi accolto in parte l’appello della societa’ “statuendo che i costi effettivamente sostenuti per le retribuzioni dei dipendenti sono deducibili e, rigetta nel resto”.

Con l’odierno ricorso, la societa’ chiede la cassazione della sentenza di appello sulla base di un unico articolato motivo, illustrato anche con memoria. L’intimata Agenzia delle entrate non ha svolto alcuna attivita’ difensiva.

Diritto

Il ricorso e’ inammissibile.

Innanzitutto, la narrazione dei fatti contenuta nella sentenza riguarda la ricostruzione del maggior reddito che l’ufficio finanziario competente ha accertato nei confronti della societa’ ricorrente in generale e non il profilo specifico relativo alla violazioni inerenti la dichiarazione presentata in qualita’ di sostituto d’imposta per l’esercizio 1996. Cosi’ pure la motivazione in diritto riguarda in generale la valenza delle presunzioni sulla base delle quali e’ stato accertato il maggior reddito accertato a carico della societa’ e non specificamente le violazioni fiscali relative alle retribuzioni pagate “a nero”. Il thema decidendum trattato dalla CTR e’ totalmente diverso da quello narrato dalla societa’ ricorrente, tanto e’ vero che i giudici di appello accogliendo parzialmente l’appello della societa’ hanno riconosciuto che il reddito accertato in capo alla societa’ deve essere ridotto dei costi relativi alle retribuzioni pagate ai dipendenti, questione relativa appunto all’accertamento del reddito societario e non agli obblighi del sostituto d’imposta.

In definitiva, la parte ricorrente espone una vicenda giudiziaria non riconoscibile in quella trattata dai giudici di appello. Pertanto, il ricorso e’ inammissibile perche’ non offre una esposizione dei fatti confrontabile con quella contenuta nella sentenza impugnata e, quindi, non consente di valutare la fondatezza delle censure che sono relative a tutt’altre questioni.

Naturalmente, non e’ escluso che l’errore sia stato commesso dalla CTR che potrebbe aver giudicato su questioni diverse da quelle effettivamente prospettata con l’appello della societa’. Ma se cosi’ fosse, la societa’ avrebbe dovuto agire con impugnazione revocatoria, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

Inoltre, con l’unico motivo dedotto a sostegno della richiesta di cassazione della sentenza impugnata, la difesa della societa’ denuncia la “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23”. L’epigrafe del motivo appare ambigua perche’ non lascia comprendere se il motivo sia unico, riferito al solo vizio di motivazione (come lascerebbe pensare il riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5) o alla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23 ovvero si tratti di un duplice motivo, uno riferito al vizio di motivazione e l’altro riferito alla violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. In ogni caso, pero’, il motivo (o i motivi) e’ (sono) inammissibile(i). mancando il quesito di diritto riferito, eventualmente, alla violazione della citata disposizione di legge sintetica, specifica ed autosufficiente indicazione dei fatti “controversi e decisivi” per il giudizio, in relazione ai quali la motivazione dei giudici di appello sarebbe stata omessa o comunque redatta in maniera insufficiente. Come noto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Collegio intende dare continuita’, “Il complesso normativo costituito dall’art. 366 c.p.c., n. 4, dall’art. 366 bis c.p.c. e dall’art. 375 c.p.c., n. 5, – nel testo risultante dalla novella recata dal D.Lgs. n. 40 del 2006 – deve interpretarsi nel senso che, anche per quanto concerne i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione del motivo deve essere accompagnata da un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’. In base a siffatta interpretazione, la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. si sottrae, “in parte qua”, a censure di incostituzionalita’ in riferimento agli artt. 76, 77, 24, 111 Cost., all’art. 117 Cost., comma 1, (quest’ultimo parametro in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU), giacche’: 1) quanto alla supposta violazione degli art. 76 e 77 Cost., l’onere imposto al ricorrente assolve ad una funzione servente rispetto ai compiti di nomofilachia della Corte di cassazione, cosi’ inscrivendosi nell’oggetto e nelle finalita’ ispiratrici della Legge Delega n. 80 del 2005; 2) quanto al preteso contrasto con gli artt. 76, 77, 24, 111 Cost., con l’art. 117 Cost., comma 1, non sussiste una limitazione del diritto di accesso al giudice, tenuto conto che il requisito di contenuto – forma (consistente nel ridurre a sintesi il complesso degli argomenti critici sviluppati nella illustrazione del motivo) costituisce un mezzo di esercizio di detto diritto nell’ambito di un giudizio di impugnazione concepito primariamente come mezzo di verifica della legittimita’ della decisione, sicche’ il requisito medesimo si accorda intrinsecamente con lo scopo e con la funzione del giudizio per il quale e’ stato imposto come onere a carico della parte” (Cass. 2652/2008).

Conseguentemente, il ricorso va rigettato. Nulla va disposto per le spese, a carico della sola parte soccombente.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2010

 

 

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