Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5046 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/02/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 25/02/2020), n.5046

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21924-2014 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIALOJA 3,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI PASSALACQUA, rappresentata e

difesa dall’avvocato RENATO CIAMARRA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PIGNATARO INTERAMNA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 46, resso

lo studio dell’avvocato RUGGERO FRASCAROLI, rappresentato e difeso

dall’avvocato LORETO GENTILE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1044/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/03/2014 R.G.N. 10314/2009;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

CHE:

il Tribunale di Cassino, accogliendo parzialmente la domanda di R.A., già dipendente part time del Comune di Pignataro Interamfia, ha condannato l’ente, sul presupposto dell’illegittimità della procedura di collocamento in disponibilità posta in essere in conseguenza della rideterminazione della dotazione organica conseguente al procedimento di gestione del dissesto finanziario del medesimo Comune, al pagamento della differenza tra la retribuzione spettante e l’indennità percepita dal novembre 2007 a tutto il mese di giugno 2009;

il Tribunale riteneva fondato l’assunto della R. secondo cui il mancato svolgimento della consultazione sindacale, quale illo tempore prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 rendesse illegittima la procedura di collocamento in disponibilità e giustificasse quindi l’accoglimento della domanda dispiegata;

la Corte d’Appello di Roma, adita dal gravame del Comune di Pignataro Interamna, ha riformato la pronuncia di primo grado;

essa ha ritenuto inapplicabile al caso di specie il procedimento di cui all’art. 33 cit., per un duplice ordine di ragioni, consistenti nel fatto che i dipendenti coinvolti, una volta calcolati gli addetti part time secondo i criteri di cui al D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6 non raggiungevano la soglia delle undici unità prevista dallo stesso art. 33 quale condizione per l’applicazione delle regole procedurali in esso contenute e nel fatto che, comunque, la consultazione sindacale non era prevista nella disciplina speciale da applicarsi rispetto alle eccedenze constatate nell’ambito del procedimento di dissesto di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000 (artt. 244 ss.), in quanto la relativa determinazione del soprannumero doveva avvenire sulla base del rapporto dipendenti-popolazione (D.Lgs. n. 267 cit., art. 259, comma 7 e art. 263); avverso tale pronuncia la R. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, resistiti da controricorso del Comune di Pignataro Interamna;

il pubblico ministero ha depositato memoria con cui ha chiesto l’accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo la ricorrente afferma, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., per avere la Corte distrettuale completamente omesso di indicare nella sentenza impugnata gli elementi da cui avrebbe tratto il proprio convincimento, mancando ogni disamina logica e giuridica che rendesse possibile il controllo sull’esattezza e logicità del ragionamento svolto;

il motivo è palesemente infondato, in quanto, come si desume dalla stessa narrativa di cui sopra, la Corte distrettuale ha esposto due ben precise ragioni giuridiche sulla cui base ha disatteso la domanda dispiegata;

con il secondo motivo la ricorrente sostiene la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6 per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto che, rispetto al limite numerico previsto nel D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 33 potesse avere valore il criterio di cui all’art. 6 cit., in quanto destinato ad operare rispetto a calcoli relativi alle dimensioni di unità od organici e non rispetto a procedure di eccedenza destinate a coinvolgere singolarmente ciascun lavoratore interessato, secondo un calcolo da attuare dunque “per teste”;

con il terzo motivo è affermata, anche sulla base di quanto sostenuto con il secondo motivo, la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 in quanto, pur nella ricorrenza del requisito numerico, la Corte aveva errato nel ritenere che l’ente fosse esentato dall’osservanza delle previste procedure sindacali, anche per richiamo del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 260 alle vigenti disposizioni e quindi anche all’art. 33 cit. ed alle relative procedure;

il terzo motivo è logicamente preliminare ed è infondato;

il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 260 stabilisce che “i dipendenti dichiarati in eccedenza ai sensi dell’art. 259, comma 6, sono collocati in disponibilità” e che “ad essi si applicano le vigenti disposizioni, così come integrate dai contratti collettivi di lavoro, in tema di eccedenza di personale e di mobilità collettiva o individuale”;

la gestione delle dotazioni organiche nel pubblico impiego privatizzato si caratterizza per una fase di macro-organizzazione, destinata alla determinazione della consistenza di esse, seguita da una successiva fase destinata alla valutazione sulle possibilità di ricollocazione del personale in esubero ed infine da una fase di collocamento in disponibilità del personale eccedentario;

nel sistema generale del D.Lgs. n. 165 del 2001 le prime due tali fasi sono scandite reciprocamente dalla disciplina dell’art. 6 (macro-organizzazione) e dell’art. 33 (ricollocazione o definitiva determinazione delle eccedenze) che prevedono, secondo diverse configurazioni tra l’altro modificate nel corso degli anni, incombenti di informazione e/o consultazione sindacale;

infine, vi è il collocamento in disponibilità, che riguarda il personale “che non sia possibile impiegare diversamente nell’ambito della medesima amministrazione e che non possa essere ricollocato presso altre amministrazioni, ovvero che non abbia preso servizio presso la diversa amministrazione che, secondo gli accordi intervenuti ai sensi dei commi precedenti, ne avrebbe consentito la ricollocazione” (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, comma 7);

il D.Lgs. n. 267 del 2000 contiene una disciplina speciale propria del riassetto organizzativo attuato, a fini di risparmio di spesa, nella fase di dissesto dell’ente pubblico;

la specialità si evince inequivocabilmente, a parte per la chiara eccezionalità insita nella condizione di dissesto, dal fatto che i parametri di revisione della dotazione organica sono fissati dalla legge (D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 259, comma 6, secondo cui è da considerare in tali casi “eccedente il personale comunque in servizio in sovrannumero rispetto ai rapporti medi dipendenti-popolazione di cui all’art. 263, comma 2”) e dal fatto che l’applicazione delle “vigenti disposizioni” è riferita dall’art. 260 ai lavoratori (già) collocati in disponibilità (“ad essi”) e non alla fase di rideterminazione dell’organico o di gestione dei prospettati esuberi;

le prime due fasi di revisione della dotazione organica e determinazione delle effettive eccedenze, quali regolate dagli artt. 6 e 33 citt. e caratterizzate dal coinvolgimento sindacale, in via di consultazione preventiva (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 6 nel testo vigente ratione temporis) anche sulla falsariga di quanto stabilito per i licenziamenti collettivi del settore privato (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 sempre quale vigente ratione temporis) ed ora (a partire dalla L. n. 183 del 2001, per quanto attiene all’art. 33 cit. e dal D.L. n. 95 del 2012 per quanto riguarda l’art. 6 cit.) limitato ad incombenti informativi, non sono dunque destinate a trovare applicazione per le corrispondenti decisioni da assumere in caso di dissesto, che restano disciplinate secondo le regole speciale del t.u. n. 267 del 2000; la disciplina comune (art. 33 cit.) si applica invece soltanto rispetto ai lavoratori (già) risultati in eccedenza, per i quali opera il richiamo di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 260, comma 1, e dunque, nella sostanza, il trattamento e giuridico proprio del collocamento in disponibilità, ma non è questa fase che è qui coinvolta dall’oggetto del contendere;

l’estraneità al caso di specie della disciplina di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, comma 2 rende superflua la questione sulle modalità di calcolo del limite quantitativo cui in via generale soggiaceva l’applicazione della citata norma (eccedenza di almeno dieci unità: art. 33, comma 2, nel testo ratione temporis) e dunque non vi è luogo a definire quanto in proposito sollecitato con il secondo motivo e con la prima parte del terzo motivo;

il ricorso va dunque rigettato, con regolazione secondo soccombenza delle spese del grado.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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