Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5046 del 01/03/2011

Cassazione civile sez. II, 01/03/2011, (ud. 03/02/2011, dep. 01/03/2011), n.5046

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

O.A., rappresentato e difeso, in virtù di procura a

margine del ricorso, dall’Avv. Gabrielli Giovanni, per legge

domiciliato nella Cancelleria civile della Corte di cassazione,

piazza Cavour, Roma;

– ricorrente –

contro

M.D. e M.V., rappresentati e difesi, in forza di

procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Sanzin Samo

e Francesco Carlo Bianca, elettivamente domiciliati nello studio di

quest’ultimo in Roma, via delle Milizie, n. 9;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 272

depositata il 29 aprile 2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3

febbraio 2011 dal Consigliere relatore Dott. GIUSTI Alberto;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – O.A. ha convenuto in giudizio, con atto di citazione notificato il 15 gennaio 1992, i fratelli F. e M.D., chiedendo l’emissione di una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. che tenesse luogo del contratto definitivo di vendita di un immobile sito in (OMISSIS), a lui promesso in vendita dai convenuti con preliminare del 27 maggio 1991, nonchè la condanna dei medesimi al risarcimento dei danni.

Ha dedotto: di avere versato ai M. la somma di L. 85 milioni a titolo di caparra; che il contratto definitivo avrebbe dovuto essere stipulato entro il 31 dicembre 1991; che i M., nonostante i ripetuti solleciti, non avevano voluto concludere il contratto.

Si sono costituiti i convenuti, i quali, resistendo alla domanda attrice, hanno chiesto in via riconvenzionale la risoluzione del preliminare ed il ristoro del danno, lamentando l’inadempimento dell’attore all’obbligo di stipulare il definitivo.

Il Tribunale di Gorizia, con sentenza in data 24 febbraio 2003, ha dichiarato la nullità del preliminare per essere l’immobile affetto da irregolarità edilizie non sanate, ed ha disposto la restituzione della somma versata a titolo di caparra, compensando tra le parti le spese di lite.

2. – Contro la sentenza del Tribunale hanno proposto appello principale l’ O. ed appello incidentale D. e M.V., quest’ultima in qualità di erede di M.F.. I M. hanno chiesto la declaratoria di legittimità del loro recesso, con diritto a trattenere la caparra.

2.1. – La Corte d’appello di Trieste, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 29 aprile 2005, in accoglimento dell’impugnazione incidentale, ha accertato e dichiarato che legittimamente i promittenti venditori erano receduti, ex art. 1385 c.c., dal contratto, ed ha condannato l’ O. al rimborso delle spese di entrambi i gradi.

2.2. – La Corte territoriale – premesso che, non essendovi alcuna irregolarità urbanistica da sanare, non poteva essere dichiarata la nullità del preliminare – ha rilevato: che fu l’ O. a rimanere inerte a fronte del tempestivo invito dei M., avvenuto il 3 dicembre 1991; che fu l’ O. a designare tardivamente il notaio;

che fu l’ O., ancora, a rimanere inerte a fronte dell’indisponibilità del notaio, senza ricercarne un altro e senza comunicare alcunchè ai M..

La Corte territoriale ha considerato legittima la reazione dei M., che non hanno inteso più stipulare il definitivo con una persona “scorretta ed inaffidabile, cui era imputabile l’inadempimento” ed hanno pertanto chiesto (prima la risoluzione del patto per colpa del promissario acquirente e poi) l’accertamento della legittimità del recesso.

La Corte di Trieste ha escluso che con la citazione del gennaio 1992 l’attore si sia dichiarato disposto a pagare il prezzo ancora dovuto.

Solo in corso di causa, dopo che costituendosi i M. avevano avanzato domanda di risoluzione del preliminare e quindi era venuta in essere una situazione che impediva, ex art. 1453 c.c., u.c., l’adempimento tardivo, l’ O. ha chiesto di adempiere puramente e semplicemente ai suoi obblighi.

La Corte d’appello ha infine rilevato che legittimamente i M., già in sede di conclusioni di primo grado, avevano modificato la loro domanda iniziale di risoluzione del contratto con risarcimento dei danni patiti in quella di recesso, ex art. 1385 c.c., con ritenzione della caparra, ciò configurando una mera emandatio libelli.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello l’ O. ha proposto ricorso, con atto notificato il 13 luglio 2005, sulla base di un motivo.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2932 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, censurando che la Corte d’appello abbia ritenuto che solo in corso di causa l’ O. si fosse dichiarato disposto a pagare il prezzo ancora dovuto. Tale motivazione sarebbe erronea, perchè nella citazione introduttiva vi era idonea istanza di adempimento dell’obbligazione assunta con il contratto preliminare. Questa idoneità non verrebbe meno solo perchè accompagnata dalla domanda di risarcimento dei danni subiti per effetto del ritardo dei promittenti venditori.

Quanto alla violazione di legge, il ricorrente richiama l’orientamento secondo cui l’offerta di adempimento della controprestazione da parte di chi domanda sentenza sostitutiva di un contratto traslativo è necessaria solo nel caso in cui l’adempimento di tale controprestazione sia esigibile in data anteriore a quella del contratto traslativo stesso e, quindi, della sentenza deputata a tenerne luogo; diversamente, è il giudice che deve pronunciare sentenza costitutiva, subordinandone l’effetto traslativo al pagamento o all’idonea offerta di pagamento della controprestazione.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata è fondata su due rationes decidendi, ciascuna sufficiente a sorreggerla.

La Corte d’appello ha, da un lato, rilevato che l’inadempimento del preliminare è dipeso dal comportamento in mala fede dell’ O. e dalla negligenza dimostrata nel contattare il notaio in data ormai prossima alla scadenza del contratto. In questa prospettiva, la Corte territoriale ha negato la richiesta tutela costitutiva ex art. 2932 c.c. in capo all’ O., sul rilievo che di questa non possa avvalersi il contraente inadempiente, e dall’altro ha giudicato legittimo il recesso ex art. 1385 c.c., comma 2, dei M., promittenti venditori.

Dall’altro lato, la Corte territoriale ha osservato che la citazione originaria dell’ O. non conteneva idonea istanza di adempimento, ancorchè tardiva, dell’obbligo assunto con il preliminare, avendo l’attore chiesto solo in corso di causa di adempiere ai suoi obblighi.

Il motivo di ricorso attacca soltanto questa seconda ratio decidendi, sostenendo che la citazione originaria già recava idonea istanza di adempimento dell’obbligo assunto con il preliminare e che, in ogni caso, l’offerta di adempimento della controprestazione da parte di agisce ex art. 2932 c.c. è necessaria soltanto ove l’adempimento di essa sia esigibile in data anteriore a quella del contratto traslativo stesso.

Nessuna specifica doglianza viene articolata dal ricorrente contro la prima ratio decidendo.

Trova pertanto applicazione, per rendere inammissibile il motivo, il principio di diritto secondo cui nel caso in cui la decisione impugnata sia fondata su una pluralità di ragioni, tra di loro distinte e tutte autonomamente sufficienti a sorreggerla sul piano logico-giuridico, è necessario, affinchè si giunga alla cassazione della pronuncia, che il ricorso si rivolga contro ciascuna di queste, in quanto, in caso contrario, le ragioni non censurate sortirebbero l’effetto di mantenere ferma la decisione basata su di esse (da ultimo, Cass., Sez. 3, 20 novembre 2009, n. 24540).

2. – Il rigetto è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti in solido, che liquida, in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 3 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2011

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