Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5045 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/02/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 25/02/2020), n.5045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25175-2014 proposto da:

R.P., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FERDINANDO DEL MONDO;

– ricorrente –

contro

REGIONE CAMPANIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POLI 29, presso lo studio

dell’avvocato ALBA DI LASCIO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3158/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 28/04/2014 r.g.n. 344/2013.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza in data 14-28 aprile 2014 n. 3158 la Corte d’Appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da R.P., lavoratore socialmente utile (LSU) utilizzato presso la REGIONE CAMPANIA per un orario eccedente le 20 ore settimanali, per il pagamento delle differenze maturate nell’anno 2010 rispetto all’importo integrativo liquidato dalla REGIONE.

2. La Corte territoriale preliminarmente, aderendo al principio enunciato da Cass. sez. lav. 3 maggio 2012 n. 6670, individuava la disciplina di riferimento nel D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8 norma non abrogata – nè espressamente nè per incompatibilità- dal D.Lgs. n. 81 del 2000: il trattamento integrativo dell’assegno erogato dall’INPS per le ore di impegno eccedenti le 20 ore settimanali era dunque pari alla retribuzione del livello iniziale del personale dipendente che svolgeva attività analoghe presso il soggetto utilizzatore, calcolata al netto delle ritenute previdenziali ed assistenziali.

3. L’art. 52, comma 3, CCNL di categoria precisava che la retribuzione oraria si otteneva applicando il divisore 156 alla retribuzione mensile.

4. Il criterio posto a base del computo delle differenze rivendicate dal R. non era conforme al dettato normativo e contrattuale: esso considerava la retribuzione globale di fatto mensile (art. 10, comma 2, lett. d CCNL 9 maggio 2006) invece della retribuzione mensile (art. 10, lett. a medesimo CCNL); inoltre utilizzava un divisore più basso di quello previsto dal CCNL (70 invece di 156), corrispondente al numero medio mensile delle ore eccedenti.

5. In appello il R. aveva dedotto che, in ogni caso, la tariffa oraria era superiore a quella liquidata dalla REGIONE (Euro 7,74 anzichè Euro 7,24). Si trattava di questione nuova, in quanto dalla documentazione prodotta e dai conteggi allegati al ricorso si evinceva che le differenze derivavano dal computo della tariffa oraria secondo i suddetti criteri non corretti; non risultava invece che il ricorrente lamentasse il mancato adeguamento della tariffa oraria agli incrementi delle retribuzioni tabellari intervenuti nella successione dei contratti collettivi.

6.Infine l’appellante aveva l’onere processuale di specificare i pretesi errori di calcolo degli importi liquidati e di fornire la base documentale di verifica degli stessi mentre non erano stati versati in atti i documenti necessari a tale verifica.

7.Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza R.P., articolato in due motivi, cui la REGIONE CAMPANIA ha opposto difese con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione di norme di legge e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro: art. 2697 c.c.; artt. 3,38 Cost. e art. 117 Cost., comma 1; art. 4, comma uno, direttiva 1999/70/CE; art. 12 preleggi; artt. 112,113,115 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, D.L. 28 maggio 1981, n. 244, art. 1 bis convertito con modificazioni nella L. n. 390 del 1981, nel testo sostituito dalla L. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 8; D.Lgs. 1 dicembre 1997, n. 468, art. 8; artt. 1362 c.c. e ss.; CC.CC.NN. LL. REGIONI – ENTI LOCALI 14.9.2000 (art. 52, commi due e tre) 5.10.2001 (art. 1); 22.1.2004 (art. 29); 9.5.2006 (art. 2); 20.4.2008 (art. 6); 31 luglio 2009 (art. 2). Omesso esame circa un punto decisivo della controversia.

2. Esposti i fatti ed indicate le norme rilevanti di legge (D.L. 28 maggio 1981, n. 244, art. 1 bis e D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8) e di contratto collettivo (art. 10 CCNL 9.5.2006)- ha assunto che dalle stesse si ricaverebbe il principio di equiparazione del trattamento economico del lavoratore socialmente utile a quello del dipendente comparabile del soggetto utilizzatore e che erroneamente la Corte territoriale aveva assimilato il lavoro svolto in regime di plusorario al rapporto giuridico previdenziale intercorrente tra la pubblica amministrazione ed i lavoratori socialmente utili.

3. Ha altresì dedotto che la assegnazione a lavori socialmente utili rientrerebbe nella categoria dei rapporti di lavoro conclusi nell’ambito di un progetto specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico, formazione con durata temporalmente definita (secondo la legge quadro in materia di formazione professionale – L. 21 dicembre 1978 n. 845, art. 7 – non più di quattro cicli, ciascuno di durata non superiore a 600 ore). In particolare, per i lavori socialmente utili il D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 1 e, successivamente, il D.Lgs. n. 81 del 2000, art. 4, prevedevano la durata del progetto, che determinava la durata della formazione professionale; il rinnovo avrebbe potuto avere durata massima di otto mesi (L. n. 388 del 2000, art. 78, comma 2). Nei fatti si erano invece avute proroghe successive, fino alla stabilizzazione (L. n. 296 del 2006 e L. n. 244 del 2007), senza tenere conto della compiuta formazione professionale.

4. In definitiva, pur se inserito in un progetto di lavoro socialmente utile, egli doveva essere considerato come dipendente a termine: da ciò la applicazione del principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE.

5.Inoltre l’art. 52 CCNL 14.9.2000 (poi art. 10, comma 3, CCNL 9.5.2006) dopo avere previsto che la retribuzione oraria si ottiene dividendo la retribuzione mensile per 156, stabiliva che nel caso di orario di lavoro ridotto si procedeva al conseguentemente ri-proporzionamento del divisore, operazione da cui derivava il divisore (70) utilizzato nel conteggio.

6.Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione di norme di legge e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro: artt. 112,113,115 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, art. 437 c.p.c.; D.Lgs. 1 dicembre 1997, n. 468, art. 8; CCNL REGIONI ED ENTI LOCALI 31.7.2009. Omesso esame circa un punto decisivo della controversia.

7.Ha esposto che con il secondo motivo di appello si deduceva che l’importo integrativo liquidato dalla REGIONE era inadeguato pur a voler considerare il solo livello retributivo iniziale ed utilizzare il divisore 156; ha censurato la sentenza impugnata per avere affermato trattarsi di questione nuova.

8. Ha dedotto che nel prospetto contabile allegato al ricorso introduttivo il calcolo della tariffa oraria era stato effettuato con riferimento al livello retributivo iniziale della categoria A1 (ed ad altre indennità) e che al capo s) si indicava che per la categoria A1 il CCNL REGIONI ENTI LOCALI 31 luglio 2009 – tabella B – prodotto in causa – determinava la nuova retribuzione tabellare dall’1 gennaio 2009 in Euro 16.314,37.

9.Il ricorso è infondato.

10.Le questioni poste con il primo motivo di ricorso sono state già esaminate da questa Corte con ordinanza della sezione VI, 07/11/2018, n. 28481, ai cui principi si intende assicurare in questa sede continuità.

11.Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte l’occupazione temporanea in lavori socialmente utili non integra un rapporto di lavoro subordinato, in quanto, ai sensi del D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8 – poi riprodotto dal D.Lgs. 28 febbraio 2000, n. 81, art. 4 – l’utilizzazione di tali lavoratori non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro ma realizza un rapporto speciale che coinvolge più soggetti (oltre al lavoratore, l’amministrazione pubblica beneficiaria della prestazione e l’ente previdenziale erogatore dell’assegno o di altro trattamento previdenziale) di matrice assistenziale e con una finalità formativa diretta alla riqualificazione del personale per una possibile ricollocazione (Cass. n. 2887 del 2008, n. 2605 del 2013, n. 22287 del 2014, n 6155/2018).

12. Tale disciplina regola l’ipotesi, riconducibile al particolare istituto contemplato dal legislatore per sopperire allo stato di disoccupazione del lavoratore, di conformità della prestazione di lavoro al progetto; soltanto nel caso in cui la prestazione resa presenti di fatto una radicale difformità dal progetto il rapporto intercorso come subordinato resta regolato dall’art. 2126 c.c. (cfr. Cass. n. 6914 del 2015, nn. 22287 e 21311 del 2014, n. 11248 del 2012 e n. 10759 del 2009; Cass. n. 15071 del 2015 e da Cass. nn. 13472 e 13596 del 2016; più recentemente, Cass. nn. 17101, 17012 e 17014 del 2017, Cass. n. 20986 del 2017).

13. Poichè nella fattispecie di causa non è in discussione che la prestazione si sia svolta in conformità al progetto, correttamente la Corte territoriale ha applicato la disciplina di cui al D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, commi 2 e 3, alla cui stregua l’importo integrativo corrisponde ad una retribuzione oraria determinata applicando il divisore previsto dal contratto collettivo del soggetto utilizzatore – (nella specie 156) – alla retribuzione – base del livello di inquadramento del dipendente comparabile.

14. La denuncia del vizio di motivazione invece è inammissibile, in quanto non corrispondente al paradigma dell’omesso esame di un fatto storico decisivo di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, ratione temporis applicabile.

15. Il secondo motivo deve dichiararsi inammissibile, in quanto il ricorrente neppure in questa sede dà conto, con la specificità richiesta dall’art. 366 c.p.c., n. 6, di avere posto con il ricorso introduttivo la questione di fatto del mancato adeguamento della retribuzione oraria di livello alla dinamica contrattuale; non sono trascritti i conteggi allegati al ricorso introduttivo e sono riportate soltanto per estratto le allegazioni di fatto articolate sul punto nello stesso atto, senza dare conto della loro incidenza sul computo delle somme richieste.

16. Non risulta, pertanto, adeguatamente censurato l’accertamento della novità della domanda.

17. Nulla per le spese, in quanto la REGIONE CAMPANIA non ha prodotto l’avviso di ricevimento della notifica a mezzo del servizio postale del controricorso.

18. Il ricorrente, ammesso al patrocinio a spese dello Stato con delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del 16.09.2014, non è tenuto al versamento dell’ulteriore importo del contributo unificato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, stante la prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 medesimo decreto (ex plurimis: Cassazione civile, sez. VI, 12/04/2017, n. 9538).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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