Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5044 del 05/03/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 5044 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PENTA ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24973/2017 R.G. proposto da
Iacovacci Carla, nata a Zagarolo (RM) il 19/05/1954 (CF.:
CVCCRL54E59M141Q) ed ivi residente al Viale Gabinova n. 12;
Giusti Cristina Giusta,

nata a Roma il 26/06/1965 (C.F.:

GSTCST65H66H501C) ed ivi residente alla via Filippo Foti n. 14;
Sili Roberto,

nato a Monte San Giovanni Campano (FR) il

30/10/1956 (C.F.: SLIRRT56R30F620K) e residente in Roma alla
via Bellingeri 38;

Dessole Maria Valeria,

nata a Sassari il

28/11/1948 (C.F.: DSSMVL48S68I452V) e residente in Roma al
Viale Marx n. 117; tutti rappresentati e difesi dagli Avv.ti
Giovannbattista Ferriolo (C.F.: FRRGMB45H15E923M), Ferdinando
Emilio Abbate (C.F.: BBTFDN61S08L126L) e Ranieri Roda (C.F.:
RDORNR59P20A944I) e presso il loro studio elettivamente
domiciliati, in Roma al Viale Mazzini n. 114/B, come da procura
apposta a margine del ricorso;
– ricorrenti –

Data pubblicazione: 05/03/2018

contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore,
con sede in Roma, alla Via Arenula n. 70, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: 80224030587), presso i
cui Uffici, siti in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato;
– controricorrenteW
avverso il decreto n. 960/2015 emesso dalla CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta all’udienza camerale del
15/12/2017 dal Consigliere Dott. Andrea Penta;
lette le conclusioni scritte rassegnate dal Procuratore Generale
Dott. Carmelo Sgroi, che ha concluso per il rinvio a pubblica
udienza del ricorso.

Ritenuto in fatto
Con ricorso per ingiunzione ex art. 3 della legge n. 89/2001
depositato l’e giugno 2015, Iacovacci Carla, Giusti Cristina Giusta,
Sili Roberto e Dessole Maria Valeria chiedevano alla Corte d’appello
di Firenze la liquidazione di un equo indennizzo per l’eccessiva
durata di un procedimento introdotto in data 8 giugno 2011 a
norma della stessa legge davanti alla Corte d’appello di Perugia.
Quest’ultima, con decreto depositato il 19 marzo 2013, liquidava a
ciascun ricorrente l’importo di C 1.000,00 a titolo di equa
riparazione.
In difetto di pagamento spontaneo, si rendeva necessario
promuovere azione esecutiva nei confronti dello Stato con precetto
notificato il 5 dicembre 2013, seguito dal pignoramento di fondi,
assegnati infine dal giudice dell’esecuzione di Roma con ordinanza
del 3 dicembre 2014.
Il magistrato designato, ravvisandone i presupposti, con decreto
del 30 luglio 2015, ingiungeva al Ministero della Giustizia il
pagamento senza dilazione della somma di C 1.000,00 per ciascuno
2

FIRENZE in data 21/03/2016 e non notificato;

dei ricorrenti, a titolo di equa riparazione per la lentezza del
suddetto procedimento di equa riparazione, oltre interessi e spese.
Con ricorso in opposizione ai sensi dell’art. 5 ter della legge n.
89/2001 depositato il 20 ottobre 2015, il Ministero si doleva della
decisione e chiedeva, in via preliminare, la dichiarazione
d’inammissibilità del ricorso per incompetenza territoriale dell’adita
Corte a favore della Corte di Perugia, con conseguente

dichiarazione d’inammissibilità del ricorso per intervenuta
decadenza dei ricorrenti, con conseguente annullamento del
decreto opposto, oppure, in ulteriore subordine, di dichiarare
infondato il ricorso per mancato superamento dei limiti di durata
ragionevoli o, quanto meno, ridurre l’ammontare dell’indennizzo a
misura di giustizia.
L’adita corte, con decreto del 21.3.2016, rigettava la domanda di
equa riparazione per intervenuta decadenza avuto riguardo al
giudizio di cognizione presupposto e dichiarava la propria
incompetenza per territorio, in favore della Corte d’appello di
Perugia, rispetto alla procedura di esecuzione, il tutto sulla base,
per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni:
1) l’azione esecutiva aveva avuto inizio con il pignoramento del
17.2.2014,

a

distanza,

quindi,

di

quasi

un

anno

dall’ottenimento della pronuncia ricognitiva del diritto all’equa
riparazione;
2) dovendosi valutare separatamente il processo di cognizione
dalla sua appendice esecutiva ai fini dell’indennizzo da
eccessiva durata, i ricorrenti erano decaduti, per decorrenza
del termine semestrale previsto dalla legge, dalla facoltà di
chiedere un’equa riparazione per la durata del giudizio
presupposto concluso con il decreto della Corte d’appello di
Perugia del 19.3.2013;
3) per quanto riguardava il successivo procedimento esecutivo,
iniziato con il pignoramento del 17.2.2014 e terminato il
.3

annullamento dell’ingiunzione, nonché, in subordine, la

3.12.2014 con il deposito dell’ordinanza di assegnazione delle
somme pignorate, era fondata l’eccezione di incompetenza
per territorio sollevata dal Ministero, essendosi il detto
procedimento svolto presso il Tribunale di Roma, con la
conseguenza che la competenza si sarebbe dovuta radicare,
ai sensi dell’art. 11 c.p.p., dinanzi alla Corte d’appello di
Perugia (anziché a quella di Firenze).

Iacovacci Carla, Giusti Cristina Giusta, Sili Roberto e Dessole Maria
Valeria, sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il
Ministero della Giustizia. In prossimità dell’udienza camerale, i
ricorrenti hanno depositato memoria difensiva.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 2, 3 e 4 I. n. 89/2001 e 38 e 50 c.p.c..
2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 2 e 4 I. n. 89/2001.
2.1. Entrambi i motivi si rivelano fondati.
Quanto al primo, la Corte d’appello di Firenze ha dichiarato la
decadenza dei ricorrenti rispetto al giudizio di cognizione
presupposto e la incompetenza per territorio con riferimento al
giudizio di esecuzione (perché svoltosi dinanzi al Tribunale di
Roma), con conseguente competenza, ex art. 11 c.p.p., in capo alla
Corte d’appello di Perugia.
I ricorrenti sostengono che la corte di merito avrebbe dovuto
declinare la competenza, indicare il giudice competente e fissare il
termine di riassunzione.
In materia di equa riparazione ai sensi della legge n. 89 del 2001,
anche dopo le modifiche apportate dal d.l. n. 83 del 2012,
convertito in legge n. 134 del 2012, la competenza del giudice
adito costituisce presupposto processuale e non già requisito di
ammissibilità della domanda, sicché la corte d’appello, adita con
l’opposizione di cui all’art. 5 ter della stessa legge, ove ritenga di
4

Avverso il predetto decreto hanno proposto ricorso per cassazione

non essere investita della competenza a provvedere, non può
rigettare la domanda, ma deve dichiarare la propria incompetenza
e, indicato il giudice competente, fissare il termine di riassunzione
del procedimento in applicazione dell’art. 50 c.p.c. (Sez. 6 – 2,
Sentenza n. 17380 del 01/09/2015).
Del resto, in base alla precedente formulazione dell’art. 3 I. n.
89/2001, applicabile

ratione temporis, “La domanda di equa

d’appello del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi
dell’articolo 11 del codice di procedura penale a giudicare nei
procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto e’ concluso o
estinto relativamente ai gradi di merito il procedimento nel cui
ambito la violazione si assume verificata.”.

Pertanto, era

competente il giudice del luogo in cui si era concluso o estinto,
relativamente ai gradi di merito, il procedimento nel cui ambito la
violazione si assumeva verificata (art. 11 c.p.p.).
All’attualità, ogni dubbio è eliminato dalla formulazione in equivoca
del primo comma dell’art. 3 (sostituito dall’articolo 55, comma 1,
lettera c, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 – conv. nella I.
07/08/2012 n. 134, G.U. 11/08/2012 n. 187 – , con riferimento ai
ricorsi depositati dall’11.9.2012), il quale stabilisce che

“La

domanda di equa riparazione si propone con ricorso al presidente
della corte d’appello del distretto in cui ha sede il giudice innanzi al
quale si e’ svolto il primo grado del processo presupposto. Si
applica l’articolo 125 del codice di procedura civile”.
Ma anche in precedenza era da escludersi che si potesse intendere
la dizione “relativamente ai gradi di merito” come comprensiva
della procedura esecutiva. Invero, ai fini dell’individuazione del
giudice territorialnnente competente in ordine alla relativa
domanda, il criterio di collegamento stabilito dall’art. 11 c.p.p.,
richiamato dall’art. 3, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89,
veniva applicato con riferimento al luogo in cui aveva sede il
giudice di merito dinanzi al quale aveva avuto inizio il giudizio
5

riparazione si propone con ricorso al presidente della corte

presupposto, che coincideva con quello dell’ufficio ove la causa era
stata incardinata (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24033 del 12/11/2014;
Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 9993 del 18/06/2012; Sez. U, Ordinanza
n. 6306 del 16/03/2010).
In quest’ottica, essendosi svolto il procedimento presupposto di
merito dinanzi alla Corte d’appello di Perugia, si sarebbe dovuto
radicare la competenza per intero in capo alla Corte d’appello di

2.2. Sostengono i ricorrenti che, in ogni caso (cfr. pag. 10 del
ricorso), il pignoramento sarebbe stato notificato entro il termine di
sei mesi da quando il decreto era divenuto irrevocabile, con la
conseguenza che la corte d’appello, ai fini della valutazione della
durata, avrebbe dovuto valutare unitariamente i due procedimenti
(di cognizione ed esecutivo).
Nel caso di specie, il deposito del decreto della corte d’appello
risale al 9.6.2013, la notifica dell’atto di precetto al 5.12.2013,
quella dell’atto di pignoramento al 17.2.2014, laddove l’ordinanza
di assegnazione emessa dal g.e. è datata 3.12.2014 ed il deposito
del ricorso per equa riparazione è avvenuto il 4.3.2015.
Orbene, essendo stato il giudizio presupposto instaurato 1’8.6.2011,
trova applicazione, in assenza di prova di notifica, il termine lungo
di 6 mesi e 46 giorni (ex art. 327 c.p.c. nella attuale formulazione,
applicabile ratione temporis; il termine di sospensione feriale di 30
giorni è, invece, applicabile solo dal 17.7.2014) dalla pubblicazione
del decreto, con la conseguenza che lo stesso (in mancanza di
ricorso per cassazione) è divenuto irrevocabile in data 4.11.2013.
Pertanto, per assicurarsi la unitarietà tra le due fasi, i ricorrenti
avrebbero dovuto iniziare la procedura esecutiva entro la data del
4.5.2014, termine, come visto, rispettato.
Invero, Sez. U, Sentenza n. 6312 del 19/03/2014, ha statuito che,
in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo,
in caso di ritardo della P.A. nel pagamento delle somme
riconosciute in forza di decreto di condanna “Pinto” definitivo,
6

Firenze.

pronunciato ai sensi dell’art. 3 della legge 24 marzo 2001, n. 89,
l’interessato, ove il versamento delle somme spettanti non sia
intervenuto entro il termine dilatorio di mesi sei (secondo quanto
indicato dalla Corte EDU, sentenza 29 marzo 2006, Cocchiarella
contro Italia) e giorni cinque (in relazione al disposto di cui all’art.
133, secondo comma, c.p.c.) dalla data in cui il provvedimento è
divenuto esecutivo, ha diritto – sia che abbia esperito azione

si sia limitato ad attendere l’adempimento spontaneo della P.A. ad un ulteriore indennizzo commisurato al ritardo nel
soddisfacimento della sua pretesa eccedente al suddetto termine,
nonché, ove intrapresa, all’intervenuta promozione dell’azione
esecutiva, che, tuttavia, può essere fatto valere esclusivamente
con ricorso diretto alla CEDU (in relazione all’art. 41 della
Convenzione EDU) e non con le forme e i termini dell’art. 2, comma
1, della legge n. 89 del 2001, la cui portata non si estende alla
tutela del diritto all’esecuzione delle decisioni interne esecutive.
Successivamente, Sez. U, Sentenza n. 9142 del 06/05/2016 (conf.
Sez. 6 – 2, Sentenza n. 229 del 09/01/2017), ha chiarito che, ai fini
dell’equa riparazione per irragionevole durata, il procedimento di
cognizione e quello di esecuzione devono essere considerati
unitariamente o separatamente in base alla condotta di parte, allo
scopo di preservare la certezza delle situazioni giuridiche e di
evitarne l’esercizio abusivo. Pertanto, ove si sia attivata per
l’esecuzione nel termine di sei mesi dalla definizione del
procedimento di cognizione, ai sensi dell’art. 4 della I. n. 89 del
2001, la parte può esigere la valutazione unitaria dei procedimenti,
finalisticamente considerati come

unicum,

mentre, ove abbia

lasciato spirare quel termine, essa non può più far valere
l’irragionevole durata del procedimento di cognizione, essendovi
soluzione di continuità rispetto al successivo procedimento di
esecuzione. In particolare, nell’ultima pronuncia menzionata viene
in modo in equivoco affermato che: «A seconda della condotta
7

esecutiva per il conseguimento delle somme a lui spettanti, sia che

delle parti, il procedimento presupposto può essere considerato
unitariamente o separabile in” fasi “: se la parte lascia decorrere un
termine rilevante — che va commisurato in quello di sei mesi,
previsto dall’art. 4 della legge n. 89 del 2001- dal momento oltre il
quale un procedimento diviene irrevocabile per il diritto interno, la
stessa non può poi far valere la ingiustificata durata (anche) di quel
procedimento; se invece detta parte si attiva prima dello spirare di

la sopra indicata soluzione di continuità nel procedimento
finalisticamente considerato come un unicum e dunque può
procedersi alla valutazione unitaria dello stesso ai fini della
delibazione della sua complessiva ingiustificata durata (per
un’applicazione di tale approccio interpretativo, sia pure nella
prospettiva di un rimedio straordinario di impugnazione, quale la
revocazione nell’ambito del giudizio pensionistico innanzi alla Corte
dei Conti, vedi Cass., Sez. V-2 n. 25179/2015) : in tale ipotesi
dunque deve ritenersi che riprenda vigore la decadenza prevista
dall’art. 4 della legge, con la conseguenza della perdita del diritto di
far valere l’eventuale durata non ragionevole del procedimento di
cognizione>>.
2.3. Alla stregua dei rilievi che precedono, da un lato, la corte
territoriale non avrebbe potuto al contempo rigettare la domanda
avuto riguardo al giudizio di cognizione e dichiararsi incompetente
per territorio quanto alla procedura esecutiva; e, dall’altro lato, non
vi è stata soluzione di continuità (vale a dire, oltre il termine
semestrale consentito) tra il giudizio di cognizione e la procedura
esecutiva resasi necessaria.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..
3.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento dei precedenti due.
4. In definitiva, il ricorso è meritevole di accoglimento.

8

quel termine, al fine di procedere all’esecuzione, allora non si forma

Ne consegue la cassazione del decreto impugnato, con rinvio della
causa, anche ai fini della pronuncia sulle spese del presente grado
di giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.
P. Q. M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, dichiara assorbito il
terzo, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche ai fini
della pronuncia sulle spese del presente grado di giudizio, ad altra

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile
della Corte suprema di Cassazione, il 15.12.2017.
Il Presidente
Dott. Stefano Petitti

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DEPOSITATO IN CANCELLEIVA
Roma,

5 MAR. 2018

sezione della Corte d’appello di Firenze.

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