Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5043 del 05/03/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 5043 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PENTA ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15293/2017 R.G. proposto da

Domenicucci Riccardo,

nata a Roma il 17/10/1959 (C.F.:

DMNRCR59R17H501Q) ed ivi residente al Viale Stazione Prenestina
n. 6, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Giovambattista Ferriolo
(C.F.: FRRGMB45H15E923M), Ferdinando Emilio Abbate (C.F.:
BBTFDN61S08L126L) e Ranieri Roda (C.F.: RDORNR59P20A944I) e
presso il loro studio elettivamente domiciliati, in Roma al Viale
Mazzini n. 114/B, come da procura apposta su foglio seprato;
– ricorrenti contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore,
con sede in Roma, alla Via Arenula n. 70, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: 80224030587), presso i
cui Uffici, siti in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato;
– resistente-

Data pubblicazione: 05/03/2018

avverso il decreto n. 2719/2016 emesso dalla CORTE D’APPELLO di
PERUGIA in data 26/11/2016 e non notificato;
udita la relazione della causa svolta all’udienza camerale del
15/12/2017 dal Consigliere Dott. Andrea Penta;
lette le conclusioni scritte rassegnate dal Procuratore Generale
Dott. Carmelo Sgroi, che ha concluso per il rinvio a pubblica

Ritenuto in fatto
Domenicucci Riccardo proponeva opposizione, ai sensi della legge
24 marzo 2001 n. 89, avverso il decreto con il quale era stato
rigettato per tardività il suo ricorso per indennizzo da equa
riparazione formulato per la lunga durata di un procedimento di
equa riparazione, svoltosi davanti alla Corte d’Appello di Perugia
per l’altrettanto lunga durata di un procedimento, celebrato davanti
al TAR del Lazio, definito con decreto di accoglimento depositato il
19/03/2013, poi successivamente impugnato con ricorso in
Cassazione e conclusosi con sentenza depositata in data
4/03/2015.
Nelle more del predetto giudizio per equa riparazione, il
Domenicucci, stante l’inottemperanza dell’Amministrazione a
seguito del decreto di accoglimento del 19/03/2013, intraprendeva
la fase di esecuzione dinanzi al Tribunale di Roma, che si
concludeva con ordinanza di assegnazione del 20/11/2015 in
favore del creditore procedente.
La Corte d’appello di Perugia, in persona del Consigliere designato,
con decreto n. 1372 depositato in data 23.6.2016, dichiarava
inammissibile per tardività il ricorso, ritenendo che la fase
esecutiva non potesse essere presa in considerazione in quella
sede, dovendo essere fatta valere esclusivamente con ricorso
diretto alla CEDU.

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udienza del ricorso.

Per la parte relativa alla cognizione, considerava il ricorso
inammissibile, perché tardivo rispetto alla definizione dei
procedimento, composto dalle due fasi dinanzi alla Corte d’Appello
e alla Corte di Cassazione, essendo decorso, il termine semestrale
di cui all’art. 4 della I. 89/2001 e succ. modd.
Avverso il detto decreto, il Domenicucci proponeva opposizione,
con ricorso depositato il 21.7.2016, deducendo che il primo giudice

cognizione e di esecuzione, da valutarsi, invece, unitariamente, con
la conseguenza che non avrebbe potuto ritenere la domanda come
tardivamente proposta.
In particolare, l’opponente sosteneva di essersi attivato per
l’esecuzione del decreto di condanna entro il termine di sei mesi dal
momento in cui il provvedimento adottato all’esito della fase
cognitoria era divenuto irrevocabile, notificando il titolo esecutivo
nel luglio del 2013 ed il successivo precetto nel novembre del
2014, e, pertanto, prima delta conclusione del procedimento,
avvenuta con la pronuncia della Corte di Cassazione del 4.3.2015.
L’adita corte, con decreto del 5.12.2016, rigettava l’opposizione
sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti
considerazioni:
1) premesso che la Suprema Corte, con la decisione adottata a
SS. UU. n. 9142/2016 aveva affermato il principio secondo
cui, solo ove la parte si sia attivata per l’esecuzione nel
termine di sei mesi dalla definizione del procedimento di
cognizione, ai sensi dell’art. 4 della I. n. 89 del 2001, la parte
può esigere la valutazione unitaria dei procedimenti,
finalisticamente considerati come “unicum”, poiché nel caso
di specie l’opponente risultava aver azionato il procedimento
di esecuzione, che per legge doveva ritenersi avviato con
l’atto di pignoramento, ben oltre i sei mesi previsti
dall’emissione dei titolo esecutivo (costituito dal decreto della
Corte d’appello di Perugia del 19.3.2013), le fasi di
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aveva errato nel considerare separatamente le due fasi, di

cognizione ed esecuzione non potevano essere valutate
unitariamente, essendosi tra le stesse verificata soluzione di
continuità – determinata dalla tardiva proposizione
dell’esecuzione -;
2) le stesse considerazioni si sarebbero potute estendere alla
fattispecie concreta, anche qualora si fosse considerato quale
atto introduttivo del procedimento d’esecuzione la notifica
de quo in data

28.11.2014 ;
3) il termine per proporre ricorso per equa riparazione,
pertanto, decorreva dalla conclusione del procedimento di
cognizione, definito con la sentenza della Corte di Cassazione
del 4.3.2015.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione
Domenicucci Riccardo, sulla base di un unico motivo. Si è
costituito, ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di
discussione, il Ministero della Giustizia. In prossimità dell’udienza
camerale, il ricorrente ha depositato memoria difensiva.
Considerato in diritto
1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 2 e 4 I. n. 89/2001.
In particolare, sostiene che occorra altresì considerare il termine
(introdotto dall’art. 14 del d.l. 31.12.1996 n. 669) di 120 giorni
dalla notifica del titolo esecutivo, nel corso del quale il danneggiato
non può notificare l’atto di precetto, e che, in ogni caso, tra il
momento in cui il decreto è diventato irrevocabile e la notifica,
dapprima, del titolo esecutivo e, poi, dell’atto di precetto non
sarebbero decorsi sei mesi.
1.1. Il motivo è fondato.
La corte d’appello ha rigettato l’opposizione, sostenendo che
l’opponente avrebbe azionato il procedimento di esecuzione oltre il
termine di sei mesi previsto “dall’emissione del titolo esecutivo”
(rappresentato, nel caso di specie, dal decreto del 19.3.2013; cfr.
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dell’atto di precetto, avvenuta nel caso

pag. 3 del decreto impugnato) e che, essendovi soluzione di
continuità tra le fasi di cognizione e di esecuzione, il ricorso per
equa riparazione era stato proposto oltre il termine di sei mesi dalla
sentenza di cassazione.
In definitiva, il ricorrente evidenzia di aver instaurato la procedura
esecutiva, sulla base del titolo esecutivo emesso dalla corte
d’appello, ancor prima del passaggio in giudicato del

Va premesso che, nel caso di specie, il deposito della sentenza di
cassazione risale al 4.3.2015, la notifica del titolo esecutivo al
luglio 2013 e quella dell'”atto di precetto” al 28.11.2014, laddove
l’ordinanza di assegnazione è stata adottata dal g.e. in data
20.11.2015 ed il deposito del ricorso per equa riparazione è
avvenuto il 10.6.2016 (cfr. pag. 1 del ricorso).
Va evidenziato che l’errore nel quale è incorsa la corte territoriale
(di identificare il dies a quo di decorrenza del termine semestrale
per l’instaurazione del procedimento di esecuzione nella data di
emissione del titolo esecutivo, anziché in quella in cui lo stesso è
divenuto irrevocabile) è stato implicitamente censurato attraverso
la deduzione secondo cui la procedura esecutiva sarebbe stata
attivata ancor prima della irrevocabilità del decreto che aveva
definito il giudizio di cognizione.
Orbene, per quanto venga indicata la data di notifica dell’atto di
precetto, ma non anche quella del pignoramento, ai sensi dell’art.
481, co. 1, c.p.c., deve presumersi che l’esecuzione sia iniziata
entro il 26.2.2015 e, dunque, ancor prima della definitività del
decreto di liquidazione.
1.2. Sez. U, Sentenza n. 6312 del 19/03/2014, ha statuito che, in
tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, in
caso di ritardo della P.A. nel pagamento delle somme riconosciute
in forza di decreto di condanna “Pinto” definitivo, pronunciato ai
sensi dell’art. 3 della legge 24 marzo 2001, n. 89, l’interessato, ove
il versamento delle somme spettanti non sia intervenuto entro il
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provvedimento definitorio del procedimento di cognizione.

termine dilatorio di mesi sei (secondo quanto indicato dalla Corte
EDU, sentenza 29 marzo 2006, Cocchiarella contro Italia) e giorni
cinque (in relazione al disposto di cui all’art. 133, secondo comma,
c.p.c.) dalla data in cui il provvedimento è divenuto esecutivo, ha
diritto – sia che abbia esperito azione esecutiva per il
conseguimento delle somme a lui spettanti, sia che si sia limitato
ad attendere l’adempimento spontaneo della P.A. – ad un ulteriore

pretesa eccedente al suddetto termine, nonché, ove intrapresa,
all’intervenuta promozione dell’azione esecutiva, che, tuttavia, può
essere fatto valere esclusivamente con ricorso diretto alla CEDU (in
relazione all’art. 41 della Convenzione EDU) e non con le forme e i
termini dell’art. 2, comma 1, della legge n. 89 del 2001, la cui
portata non si estende alla tutela del diritto all’esecuzione delle
decisioni interne esecutive.
Successivamente, Sez. U, Sentenza n. 9142 del 06/05/2016 (con?.
Sez. 6 – 2, Sentenza n. 229 del 09/01/2017), ha chiarito che, ai fini
dell’equa riparazione per irragionevole durata, il procedimento di
cognizione e quello di esecuzione devono essere considerati
unitariamente o separatamente in base alla condotta di parte, allo
scopo di preservare la certezza delle situazioni giuridiche e di
evitarne l’esercizio abusivo. Pertanto, ove si sia attivata per
l’esecuzione nel termine di sei mesi dalla definizione del
procedimento di cognizione, ai sensi dell’art. 4 della I. n. 89 del
2001, la parte può esigere la valutazione unitaria dei procedimenti,
finalisticamente considerati come

unicum,

mentre, ove abbia

lasciato spirare quel termine, essa non può più far valere
l’irragionevole durata del procedimento di cognizione, essendovi
soluzione di continuità rispetto al successivo procedimento di
esecuzione. In particolare, nell’ultima pronuncia menzionata viene
in modo in equivoco affermato che:

«A seconda della condotta

delle parti, il procedimento presupposto può essere considerato
unitariamente o separabile in” fasi “: se la parte lascia decorrere un
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indennizzo commisurato al ritardo nel soddisfacimento della sua

termine rilevante — che va commisurato in quello di sei mesi,
previsto dall’art. 4 della legge n. 89 del 2001- dal momento oltre il
quale un procedimento diviene irrevocabile per il diritto interno, la
stessa non può poi far valere la ingiustificata durata (anche) di quel
procedimento; se invece detta parte si attiva prima dello spirare di
quel termine, al fine di procedere all’esecuzione, allora non si forma
la sopra indicata soluzione di continuità nel procedimento

procedersi alla valutazione unitaria dello stesso ai fini della
delibazione della sua complessiva ingiustificata durata (per
un’applicazione di tale approccio interpretativo, sia pure nella
prospettiva di un rimedio straordinario di impugnazione, quale la
revocazione nell’ambito del giudizio pensionistico innanzi alla Corte
dei Conti, vedi Cass., Sez. V-2 n. 25179/2015) : in tale ipotesi
dunque deve ritenersi che riprenda vigore la decadenza prevista
dall’art. 4 della legge, con la conseguenza della perdita del diritto di
far valere l’eventuale durata non ragionevole del procedimento di
cognizione».
Alla stregua dei rilievi che precedono, non vi è stata soluzione di
continuità (vale a dire, oltre il termine semestrale consentito) tra il
giudizio di cognizione e la procedura esecutiva resasi necessaria.
Occorre, pertanto, rimettere la causa alla corte d’appello anche ai
fini della valutazione della tempestività dell’istanza di liquidazione
rispetto alla data di definitività dell’ordinanza di assegnazione
emessa dal g.e..
2. In definitiva, il ricorso è meritevole di accoglimento.
Ne consegue la cassazione del decreto impugnato, con rinvio della
causa, anche ai fini della pronuncia sulle spese del presente grado
di giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la
causa, anche ai fini della pronuncia sulle spese del presente grado
di giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia.
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finalisticamente considerato come un unicum e dunque può

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile
della Corte suprema di Cassazione, il 15.12.2017.
Il Presidente

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma,

05 MAR. 2018

Dott. Stefano Petitti

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