Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5042 del 01/03/2011

Cassazione civile sez. II, 01/03/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 01/03/2011), n.5042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15861-2005 proposto da:

B.B.A. (OMISSIS), L.M.D.

F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 82, presso lo studio dell’avvocato PENNISI

SEBASTIANO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

C.M. (OMISSIS), CE.MA., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA PRINCIPE UMBERTO 35, presso lo studio

dell’avvocato LOMBARDI CARLO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

C.T. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1989/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. MAZZACANE Vincenzo;

udito l’Avvocato PENNISI SEBASTIANO difensore dei ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato LOMBARDI CARLO difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 21-10-1992 C.M. in proprio e quale curatore speciale del fratello minore Ce.

M. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma C. T., B.B.A. e L.d.F.M. chiedendo accertarsi il proprio diritto, quali legittimari, ad una quota pari alla metà dell’eredità della propria madre D.N. M., ordinarsi la riduzione della donazione dell’appartamento sito in (OMISSIS) di cui all’atto per notaio Coppi del 17-10-1986 nella misura della metà, e conseguentemente ordinarsi la restituzione dello stesso immobile al patrimonio ereditario di D.N.M. anche nei confronti degli acquirenti B. e L. cui il bene era stato trasferito con atto a rogito notaio Coppi dell’8-3-1990 ovvero, in caso di esercizio da parte degli acquirenti della facoltà di pagare agli attori la metà del valore dell’immobile, ordinarsi loro di provvedere al pagamento di detta somma.

L’attore, premesso che in data 23-3-1988 era deceduta in (OMISSIS) D.N.M. senza lasciare testamento, e che pertanto gli unici suoi eredi legittimi e legittimari erano i figli M. e Ce.Ma. ed il coniuge C.T., esponeva che in vita la madre aveva donato al coniuge l’appartamento suddetto composto di tre camere ed accessori con garage e corte con il menzionato atto del 17-10-1986, e che con tale donazione era stata lesa la quota di legittima spettante ai figli ex art. 542 c.c. pari alla metà del patrimonio, non avendo la defunta lasciato altri beni.

Si costituivano in giudizio il B. e la L. chiedendo il rigetto della domanda, e deducendo in subordine, per l’ipotesi di accoglimento, di essere disposti a corrispondere l’equivalente in denaro per liberarsi dall’obbligo della restituzione in natura;

chiedevano inoltre di essere manlevati dal loro dante causa C. T. e dal notaio rogante Paolo Conti chiedendone la condanna alla restituzione delle somme eventualmente tenuti a versare agli attori.

Veniva dichiarata la contumacia di C.T., il quale si costituiva in giudizio a seguito della notificazione dell’atto di chiamata in causa da parte dei convenuti, senza opporsi all’azione di riduzione proposta dai figli; deduceva di avere venduto l’immobile per acquisire liquidità al prezzo di sole L. 90.000.000, e che gli acquirenti erano ben a conoscenza che il bene proveniva da una donazione.

Il Tribunale adito con sentenza del 27-4-2004 disponeva la riduzione del 50% della donazione dell’immobile predetto di cui al rogito del 17-10-1986 al fine di reintegrare la quota di legittima spettante agli attori, condannava i convenuti in solido al pagamento in favore di M. e Ce.Ma. della somma di lire 450.000.000 oltre interessi e condannava C.T. a rimborsare agli altri convenuti quanto da essi pagato agli attori.

Proposta impugnazione da parte del B. e della L. cui resistevano M. e Ce.Ma. da un lato e C. T. dall’altro la Corte di Appello di Roma con sentenza del 27- 4-2004, in parziale modifica della decisione di primo grado, ha condannato gli appellanti in solido al pagamento in favore di M. e Ce.Ma. della somma di Euro 164.406,00 oltre interessi legali dalla sentenza impugnata, ed ha condannato C.T. a rimborsare agli appellanti quanto da essi versato agli altri appellati.

Per la cassazione di tale sentenza il B. e la L. hanno proposto un ricorso basato su due motivi cui C.M. e Ce.Ma. hanno resistito con controricorso; C. T. non ha svolto attività difensiva in questa sede; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione degli artt. 563 e seg. c.c., affermano che la sentenza impugnata ha trascurato di considerare che M. e Ce.Ma. nella loro qualità di legittimar” non avevano assolto l’onere probatorio posto a loro carico in ordine alla insussistenza di altri beni in capo alla “de cuius” ed al donatario al fine di soddisfare il proprio diritto onde tutelare il diritto degli esponenti quali terzi acquirenti in buona fede dell’immobile suddetto.

La censura è infondata.

La sentenza impugnata ha affermato che, pur essendo vero che, al fine di tutelare per quanto possibile il terzo acquirente dal donatario, il legittimario deve prima escutere i beni del donatario per ottenere il soddisfacimento dei proprio diritto alla reintegrazione della legittima, tuttavia tale preventiva escussione del donatario postula indispensabilmente la effettiva esistenza di beni nel patrimonio di quest’ultimo, nella specie esclusa dal giudice di primo grado sulla base di una serie di elementi significativi, quali tra gli altri l’essere l’immobile oggetto della donazione e poi della vendita agli attuali ricorrenti l’unico bene appartenente a C.T. e il non aver costui acquisito alcun altro bene dalla successione della defunta moglie.

Orbene, premesso che con la censura in esame i ricorrenti deducono un elemento nuovo – ovvero la mancata prova della insussistenza di altri beni, oltre che nel patrimonio del donatario, anche in quello della “de cuius”- e comunque estraneo al chiaro ambito di operatività dell’art. 563 c.c., il convincimento della Corte territoriale è del tutto condivisibile; infatti, una volta che già il giudice di primo grado aveva escluso la sussistenza di altri beni di C.T. da poter escutere da parte dei legittimari con una statuizione che non risulta essere stata impugnata almeno specificatamente sul punto da parte del B. e della L. nel giudizio di appello, correttamente è stato ritenuta superflua la preventiva escussione del suddetto donatario, essendo tale escussione non una formalità meramente procedurale, ma un adempimento che, per la finalità ad esso connessa, in tanto è richiesto, in quanto vi sia l’ambito entro cui si possa esplicare, ossia l’oggetto costituito dalla possidenza del donatario, cosicchè esso si deve escludere quando questa manchi del tutto (Cass. 18-3-1961 n. 613).

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione degli artt. 555 e seg. e 737 c.c. nonchè contraddittorietà della motivazione, premesso che ai fini della riduzione delle donazioni per integrare la legittima il bene donato deve essere valutato con riferimento all’epoca dell’apertura della successione ma nello stato in cui si trovava al tempo della donazione, assumono che dalla C.T.U. espletata nel giudizio di primo grado era emerso che la maggiore consistenza riscontrata rispetto a quella di cui all’atto di donazione non poteva essere considerata ai fini della determinazione del suo valore perchè non compariva nel cespite donato e poi caduto in successione; essi aggiungono che a seguito delle contestazioni mosse sul punto dagli appellanti, il giudice di appello ha disposto una nuova C.T.U. che tuttavia, a dire della sentenza impugnata, non avrebbe sostanzialmente modificato il valore attuale dell’immobile;

tale assunto era erroneo, in quanto in particolare la sanatoria richiesta non si riferiva a due piani fuori terra, ma riguardava un piano fuori terra ed un seminterrato; inoltre il rilievo della Corte territoriale secondo cui la D.N. in data 11/10/1988 aveva presentato al catasto una denuncia di variazione per una consistenza maggiore era frutto di una palese svista, atteso che essa era deceduta il (OMISSIS), cosicchè non poteva essere l’autrice della denuncia e della eventuale variazione apportata.

I ricorrenti quindi sostengono che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che tra le conclusioni delle due suddette C.T.U. l’unica differenza ravvisabile era da individuare nel diverso valore attuale attribuito alla proprietà, laddove invece il diverso minor valore scaturiva dall’accertamento operato nella seconda C.T.U. in ordine alla effettiva più ridotta consistenza del bene oggetto della donazione, e che conseguentemente il valore complessivo dell’opera a seguito dei lavori di ampliamento e ristrutturazione, anche abusivi, non realizzati dalla D.N., non poteva essere incluso nel valore su cui determinare l’entità della quota di legittima.

La censura è infondata.

il giudice di appello, premesso che all’esito della C.T.U. disposta nel secondo grado di giudizio il valore dell’immobile oggetto della predetta donazione era risultato sostanzialmente equivalente a quello determinato dalla C.T.U. espletata in primo grado, ha rilevato che la valutazione attribuita al bene dal Tribunale era corretta, trovando fondamento in una serie di riscontri che consentivano di ritenere che la consistenza attuale dell’immobile, anche per effetto degli ampliamenti abusivamente attuati, fosse quella risultante -salvo alcuni interventi murari realizzati dagli attuali proprietari – non solo al momento della vendita, ma anche a quello precedente della donazione; in proposito la Corte territoriale ha richiamato l’istanza di sanatoria presentata a firma della D.N. al Comune di Rocca di Papa il 5-3-1986 che faceva riferimento a due piani fuori terra, circostanza che rendeva evidente l’avvenuta realizzazione di tali piani a quella data, ed ha aggiunto che la stessa D.N. aveva presentato al Catasto in data 11-10-1988 una denuncia di variazione per una consistenza maggiore non assentita da una concessione edilizia (a tal riguardo è appena il caso di osservare l’irrilevanza del fatto che a quel momento la D.N. era già deceduta, non essendo contestato che comunque tale denuncia fosse stata presentata) dalla quale risultava che anche il primo piano era già stato realizzato all’epoca, come confermato anche dalla documentazione fotografica prodotta dagli appellati.

La sentenza impugnata infine ha rilevato che gli appellanti, avendo dedotto di aver effettuato notevoli opere sull’immobile, quali quelle inerenti alla sopraelevazione di esso, non avevano fornito prove adeguate al riguardo, come la produzione di un contratto di appalto o di fatture relative ad acquisti di materiali e pagamento di compensi.

Si è quindi in presenza di un accertamento di fatto sorretto da logica ed adeguata motivazione, come tale incensurabile in questa sede, dove i ricorrenti tendono inammissibilmente a prospettare una diversa valutazione delle risultanze istruttorie ad essi più favorevole senza peraltro censurare la statuizione della sentenza impugnata in ordine alla mancata prova da parte loro delle opere che avrebbero realizzato sull’immobile per cui è causa.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3500,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2011

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