Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5040 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/02/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 25/02/2020), n.5040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12274-2016 proposto da:

RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio dell’avvocato

CARLO BOURSIER NIUTTA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 58,

presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SAVINA BOMBOI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7898/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/11/2015, R. G. N. 7187/2012.

Fatto

RILEVATO

1. Che la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accertata la esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra S.D. e Rai Radiotelevisione Italiana s.p.a. (da ora Rai s.p.a.) avente decorrenza dall’8/10/2007 e tutt’ora in atto, con diritto del lavoratore ad essere inquadrato nel 6 livello della contrattazione collettiva vigente ed alla percezione del relativo trattamento economico, ha condannato la RAI s.p.a. alla riammissione in servizio del S. con la medesima qualifica ed a corrispondere al lavoratore la normale retribuzione prevista per un impiegato di 6 livello, con decorrenza dal 17/5/2010 “e sino alla presente pronunzia”, previa detrazione della somma di Euro 4.584,00 quale aliunde perceptum relativo all’anno 2010, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali; ha condannato RAI s.p.a. a pagare a S.D. le differenze retributive eventualmente spettanti tra quanto percepito e quanto dovuto sulla base della contrattazione collettiva previa detrazione di quanto percepito a titolo di compenso in corso di rapporto, da determinarsi in separato giudizio, escludendo dal computo gli intervalli non lavorati tra un contratto e l’altro;

1.1. che, per quel che ancora rileva, la Corte di merito ha ritenuto: a) che l’assenza di progetto relativa al (primo) contratto di collaborazione coordinata, stipulato in data 8 ottobre 2007, determinasse, in applicazione del disposto del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, la conversione ex lege, fin dall’origine, in rapporto di lavoro subordinato della collaborazione fra le parti; b) che le conseguenze economiche della conversione non erano regolate dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 ma dall’ordinaria disciplina in tema di inadempimento alla stregua della quale erano dovute le retribuzioni maturate dal 17/5/2010, data di messa in mora della società; c) che l’attività svolta dal S., quale descritta nel ricorso introduttivo, era inquadrabile nel 6 livello del c.c.n.l. e non in quelli superiori rivendicati dall’originario ricorrente; d) che la condanna (generica) di RAI s.p.a. alle differenze retributive, in applicazione della previsione del contratto collettivo, doveva tener conto anche del principio dell’assorbimento per cui, ove il trattamento economico complessivamente erogato dal datore di lavoro fosse risultato superiore a quello minimo dipendente dalla qualificazione del rapporto, non dovevano essere liquidate mensilità aggiuntive commisurate ai compensi periodicamente corrisposti; era, in ogni caso, da escludere l’obbligo del lavoratore alla restituzione, ove richiesto dal datore di lavoro, della eventuale eccedenza, salva la prova dell’essere la relativa erogazione frutto di errore essenziale, ai sensi degli artt. 1429 e 1431 c.c.;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAI s.p.a. sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380, bis -.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo parte ricorrente deduce: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69 degli artt. 414,112 e 115 c.p.c.; nullità della sentenza per difetto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti. Censura la sentenza impugnata per avere la Corte di merito omesso di rilevare la carenza di allegazioni dell’originario ricorrente circa la natura continuativa e coordinata della collaborazione, così dandola aprioristicamente per scontata e ritenendo che la stessa andasse necessariamente svolta nell’ambito di un progetto;

2. che con il secondo motivo deduce: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69, della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 24 e 25 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nullità della sentenza per difetto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Censura la sentenza impugnata per avere collegato all’assenza di un progetto la trasformazione tout court in rapporto di lavoro subordinato, laddove il disposto del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1 nel testo applicabile ratione temporis, contemplava una presunzione iuris tantum di subordinazione, come confermato dalle disposizioni introdotte dalla L. n. 92 del 2012, artt. 24 e 25;

3. che con il terzo motivo deduce: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69, della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, degli artt. 1418 c.c. e sgg., degli artt. 1453 c.c. e sgg., della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 24 e 25, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nullità della sentenza per difetto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Censura l’esclusione dell’applicabilità alla fattispecie in esame del disposto della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, in tema di conseguenze economiche connesse alla conversione in rapporto di lavoro subordinato del rapporto fra le parti;

4. che con il quarto motivo deduce: violazione e falsa applicazione degli artt. 1321,1322,1325 c.c., art. 1362 c.c. e sgg., dell’art. 1372 c.c., degli artt. 152,112 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nullità della sentenza per difetto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Censura, in sintesi, la sentenza impugnata per omessa pronunzia sulla eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso;

5. che preliminarmente deve essere disattesa la eccezione di inammissibilità dei motivi primo, secondo e quarto, fondate da parte controricorrente sulla pretesa mescolanza e sovrapposizione, nell’articolazione delle censure, di vizi eterogenei; dalla relativa illustrazione è, infatti, comunque possibile cogliere il nucleo delle ragioni di doglianza formulate in relazione a ciascuno dei profili denunziati;

6. che il quarto motivo di ricorso, che viene esaminato con priorità per il carattere dirimente collegato all’eventuale accoglimento dello stesso, è inammissibile. Premesso che la sentenza impugnata non affronta specificamente la questione della risoluzione tacita del rapporto per effetto del comportamento concludente delle parti, costituiva onere di parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, dimostrarne la avvenuta rituale deduzione nei gradi di merito (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 1435 del 2013, Cass. n. 20518 del 2008, Cass. n. 22540 del 2006) e, quindi, denunziare la omessa pronunzia sulla stessa da parte del giudice di appello;

6.1. che parte ricorrente si è sottratta a tale onere in quanto si è limitata a trascrivere le difese articolate nella memoria di costituzione di primo grado relative alla eccezione ivi formulata di risoluzione per mutuo consenso del rapporto mentre ha richiamato solo genericamente quelle formulate in secondo grado (v. ricorso per cassazione, pag. 20, ove si dice L’eccezione è stata puntualmente reiterata in grado di appello). Tale modalità di articolazione della censura non è conforme alla condivisibile giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. n. 15367 del 2014, Cass. n. 6361 del 2007). Tanto assorbe gli ulteriori profili di inammissibilità, per difetto di pertinenza con le ragioni del decisum, delle prospettate violazioni di norme di diritto e della denunzia di omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, configurabile quest’ultimo solo nell’ipotesi – qui non ricorrente – nella quale l’omessa trattazione riguardi una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione (Cass. n. 25714 del 2014);

7. che il primo motivo di ricorso è infondato. Si premette che la sentenza impugnata ha dato atto che il rigetto della originaria domanda da parte del giudice di prime cure era stato fondato sull’assenza di prova del requisito della subordinazione. Da tanto si evince che il primo giudice, avendo pronunziato nel merito, aveva ritenuto superato ogni profilo attinente alla conformità del ricorso introduttivo al modello legale delineato dall’art. 414 c.p.c., e, quindi, anche in relazione alla questione della compiuta allegazione dei fatti alla base della pretesa azionata;

7.1. che l’omesso rilievo della nullità del ricorso ai sensi dell’art. 414 c.p.c., n. 4, attiene all’interpretazione dell’atto introduttivo e del suo contenuto, compiuta, sia pure implicitamente, dal giudice di primo grado, ed è soggetta alla regola generale della conversione in motivi di impugnazione ex art. 161 c.p.c., comma 1, con onere del convenuto di impugnare la decisione anche con riguardo alla pronuncia, implicita, sulla validità dell’atto (Cass. n. 12746 del 2008), oppure, ove parte vincitrice, di riproporre la relativa eccezione ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (Cass. n. 24124 del 2016). Parte ricorrente non ha allegato, prima ancora che dimostrato mediante la trascrizione oppure l’esposizione per riassunto del relativo contenuto, di avere, nella memoria di costituzione in appello, reiterato tale eccezione e tanto esclude la ammissibilità della censura incentrata sulla violazione dell’art. 414 c.p.c., formulata con il motivo in esame;

7.2. che la deduzione di violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69 è inammissibile in quanto non si configurano le denunciate violazioni di norme di legge, per insussistenza dei requisiti loro propri di verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva delle norme, nè di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa, nè tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 16038 del 2013, Cass. n. 3010 del 2012, Cass. n. 24756 del 2007, Cass. n. 12984 del 2006);

7.3. che parimenti inammissibile è la deduzione di violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. alla luce della condivisibile giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 27000 del 2016), questioni neppure formalmente dedotte con il motivo in esame;

7.4. che infondata è la censura che ascrive alla sentenza impugnata carenza di motivazione con riguardo alle caratteristiche della collaborazione necessarie al fine della riconducibilità della stessa all’ipotesi regolata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61 e sgg.. Il giudice di appello, con riferimento al contratto stipulato dal S. ha, infatti, osservato che lo stesso si risolveva in una generica indicazione delle mansioni che il lavoratore doveva svolgere, senza alcuna specifica attinenza con il risultato finale; ha ulteriormente puntualizzato: “è quindi chiaro che l’attività oggetto del contratto non è destinata ad esaurirsi al momento del conseguimento di un determinato risultato, bensì a ripetersi in continuazione, per un numero indeterminato di volte, variabile a seconda del numero delle richieste ricevute dal committente”. Da tanto si evince che vi è stato specifico accertamento sia del requisito della coordinazione con l’azienda RAI sia del requisito della continuità e tale accertamento non risulta incrinato dalla formale deduzione di omesso esame di un fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deduzione non articolata in conformità della previsione codicistica, posto che parte ricorrente non individua alcun fatto storico fenomenico, evocato nei rigorosi termini prescritti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, oggetto di discussione fra le parti di carattere decisivo, il cui esame avrebbe potuto, in tesi, invalidare con carattere di certezza e non di mera probabilità l’efficacia delle altre risultanze istruttorie alla base del convincimento del giudice di merito (Cass. n. 19150 del 2016, Cass. Sez. Un. 8053 del 2014);

8. che il secondo motivo di ricorso è infondato in tutti i profili articolati per essere la sentenza impugnata conforme alla condivisibile giurisprudenza di questa Corte – alla quale si rinvia anche per la disamina del rapporto fra la formulazione originaria delle norme in esame e le previsioni della L. n. 92 del 2012, – secondo la quale in tema di lavoro a progetto, il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, (“ratione temporis” applicabile, nella versione antecedente le modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, lett. f)), si interpreta nel senso che quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso (Cass. 23511 del 2019, in motivazione, Cass. n. 12647 del 2019, in motivazione, Cass. n. 17127 del 2016);

9. che il terzo motivo di ricorso è meritevole di accoglimento alla luce del recente, condivisibile, approdo di questa Corte la quale ha chiarito che il regime indennitario istituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, si applica anche al contratto di collaborazione a progetto illegittimo, quale fattispecie in cui ricorrono le condizioni della natura a tempo determinato del contratto di lavoro e della presenza di un fenomeno di conversione (Cass. n. 24100 del 2019);

9.1. che all’accoglimento del motivo consegue la cassazione con rinvio (anche al fine del regolamento delle spese del giudizio di legittimità) della decisione impugnata in relazione al profilo delle conseguenze economiche connesse all’accertata conversione del rapporto che dovranno essere determinate in applicazione del parametro normativo sopraindicato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, il secondo ed il quarto motivo e accoglie il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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