Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 504 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. I, 11/01/2017, (ud. 09/11/2016, dep.11/01/2017),  n. 504

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMOERGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

GRUPPO PIEMME CDA s.r.l. in persona del l.r.p.t., rappresentato e

difeso dall’avv. Giovanni D’Aloe, elettivamente domiciliato presso

il suo studio in Roma, via Germanico n. 168, come da procura a

margine dell’atto;

– ricorrente –

Contro

S.M.E.T. in liquidazione in amm.str., in persona dei commissari

liquidatori, rappresentata e difesa dall’avv. Fabrizio Criscuolo,

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, viale Bruno

Buozzi n. 99, come da procura a margine dell’atto;

– controricorrente e ricorrente in via incidentale –

per la cassazione della sentenza n. 4199/2009 della Corte d’appello

di Roma, depositata il 26.10.2009, nel giudizio iscritto al n. 4969

del R.G. 2005;

visto il verbale dell’udienza 14.6.2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 8 novembre 2016 dal Consigliere relatore Dott. FERRO Massimo;

udito per il controricorrente l’avv. Carlo Romita;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott.

Soldi Anna Maria, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

IL PROCESSO

Gruppo Piemme CDA s.r.l. (PIEMME) impugna la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4199/2009, che ebbe ad accogliere parzialmente l’appello interposto dalla S.M.E.T. s.r.l. in liquidazione in amministrazione straordinaria (SMET) avverso la sentenza Trib. Velletri 20.9.2004 e così dichiarando inefficace, ai sensi dellA L.Fall., art. 67, comma 2, il pagamento di 35.700.000 Lire eseguito dal terzo RBM s.r.l. verso la PIEMME in data 26.9.1992, con conseguente condanna restitutoria della somma.

Secondo la corte d’appello, superata l’eccezione del difetto di prova dell’inizio della fase liquidatoria in capo all’impresa in procedura concorsuale, stante l’esaurimento del programma di risanamento per il periodo 1995 – 1998, il periodo sospetto da computarsi quanto al pagamento del terzo andava calcolato sul biennio a decorrere dalla dichiarazione d’insolvenza. E la sua revocabilità conseguiva dal fatto che la relativa accettazione, da parte dell’accipiens, era avvenuta dopo che questa era stata informata delle difficoltà dell’appaltatore SMET e che i pagamenti, in base ad un complessivo e anomalo accordo di rientro, erano garantiti dal committente dei lavori, la RBM poi solvens – terzo nella circostanza.

Doveva invece essere confermato il rigetto della domanda relativa ai pagamenti diretti di SMET a PIEMME, quali effettuati con assegno post – datato e due pagherò cambiari, non ricorrendo – per la sentenza – clementi di anomalia nei mezzi solutori impiegati, in relazione al vincolo dell’azione proposta, L.Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2, nè bastando la mera preferenzialità così assicurata al creditore soddisfatto.

Il ricorso è affidato a due motivi, cui resiste SMET in amm.str. con controricorso e ricorso incidentale su un unico complesso motivo, avendo anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c., prima della udienza del 14.6.2016.

Diritto

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente in via principale deduce la violazione della L. n. 95 del 1979, art. 3, con riguardo alla mancata estensione della procedura a tutte le società del “gruppo Fiore” e sul punto della mancata prova della cessazione dell’esercizio dell’impresa da parte di dette società, con chiusura della amministrazione straordinaria.

Con il secondo motivo il medesimo ricorrente deduce l’erronea applicazione della L.Fall., art. 67, comma 2, per carente ricostruzione della fattispecie, non essendo stati recepiti gli accertamenti di fatto condotti dal tribunale ed in particolare ponendosi l’interrogativo sul mancato esercizio della rivalsa da parte del terzo sul patrimonio del fallito e prima del fallimento, in caso di pagamento con danaro non del fallito stesso.

Con il motivo del ricorso incidentale, la controricorrente deduce violazione della L.Fall., art. 67 e vizio di motivazione quanto ai mezzi solutori scelti con l’assegno postdatato e i pagherò cambiari, esecutivi di un accordo di ridefinizione del credito vantato da PIEMME verso SMET, di per sè una intesa anomala.

1. Va in primo luogo respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale per nullità della procura, non adeguatamente correlata alla fase processuale della legittimità, dovendosi ripetere il principio, di recente dettagliato quanto al ricorso incidentale e di identica ratio, per cui “la procura apposta nell’unico atto contenente il controricorso ed il ricorso incidentale deve intendersi estesa anche a quest’ultimo, per il quale non ne è richiesta formalmente una autonoma e distinta, ed il suo rilascio, anche non datato, mediante timbro apposto a margine o in calce a quell’atto le conferisce sia il carattere dell’anteriorità che il requisito della specialità, giacchè tale collocazione rivela uno specifico collegamento tra la procura stessa ed il giudizio di legittimità” (Cass. 8798/2016, 25137/2013). D’altronde, è stato parimenti deciso che “l’art. 83 c.p.c., comma 3, nell’attribuire alla parte la facoltà di apporre la procura in calce o a margine di specifici e tipici atti del processo, fonda la presunzione che il mandato così conferito abbia effettiva attinenza al grado o alla fase del giudizio cui l’atto che lo contiene inerisce, per cui la procura per il giudizio di cassazione rilasciata in calce o a margine del ricorso, in quanto corpo unico con tale atto, garantisce il requisito della specialità del mandato al difensore, al quale, quando privo di data, deve intendersi estesa quella del ricorso stesso, senza che rilevi l’eventuale formulazione genericamente omnicomprensiva (ma contenente comunque il riferimento anche alla fase di cassazione) dei poteri attribuiti al difensore, tanto più ove il collegamento tra la procura e il ricorso per cassazione sia reso esplicito attraverso il richiamo ad essa nell’intestazione dell’atto di gravame”(Cass. 15538/2015).

2. E’ poi infondata l’eccezione di inammissibilità per la dedotta mancata riproduzione, nella copia notificata del ricorso, di alcune sue pagine, dovendosi dar corso all’indirizzo per cui tale difetto si traduce nella più grave sanzione invocata solo ove il correlato motivo sia inintelligibile, circostanza esclusa nella vicenda, posto che il ricorrente già a pagina 15-16 ha sufficientemente illustrato il compendio della sua censura (Cass. 29479/2008, 15821/2003, 16533/2002).

3. Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile, deducendo il ricorrente una questione nuova che non può trovare esame nella presente sede, nè comunque indicando in quale fase processuale e con quale tempestivo atto l’avrebbe sollevata ed introdotta al contraddittorio avanti ai giudici del merito. Occorre così dare seguito all’orientamento, cui il Collegio aderisce, per cui il ricorrente per cassazione che riproponga una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata puntualmente nelle conclusioni ivi epigrafate, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 7048/2016).

4. Il secondo motivo del ricorso principale è infondato, essendosi la corte d’appello correttamente conformata al principio per cui il pagamento, effettuato da un terzo, di un debito comunque gravante sul fallito è revocabile, L.Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2, dovendo ritenersene una modalità anomala, ove si accerti che la relativa provvista abbia leso, direttamente o indirettamente, la par conditio creditorum, come quando il terzo, debitore del fallito, lo abbia eseguito con denaro a questi dovuto (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva, invece, negato l’anomalia del pagamento che la committente un appalto aveva indirizzato alla subappaltatrice con denaro che sarebbe stato destinato all’appaltatrice poi fallita) (Cass. 25928/2015). In motivazione, la sentenza ora impugnata ha poi adeguatamente precisato che il pagamento è stato eseguito al creditore “dal debitore del debitore”, dando così attuazione ad un “complesso accordo solutorio anomalo” consistente in un meccanismo satisfattivo per cui alla normale soluzione diretta affidata alla controparte contrattuale (la società poi insolvente) le parti avevano sostituito uno schema nel quale i debiti venivano accollati dalla committente dei lavori (la RBM), in stretta connessione con la ultimazione degli stessi e dunque alterando, all’evidenza, la fisiologia di rischio connessa al rapporto d’appalto, per un verso e procurando una sopravvenuta messa in sicurezza del credito così adempiuto, estranea alla previsione negoziale d’origine e significativamente consentanea alla crisi dell’appaltatrice, che così disponeva (rectius, si privava) indirettamente di mezzi di liquidità altrimenti oggetto di gestione discrezionale, in piena consapevolezza della PIEMME creditrice.

5. Il ricorso incidentale è infondato. E’ pacifico che l’azione intrapresa dalla procedura, attenendo alla configurazione di revocabilità di pagamenti cd. anomali ai sensi della L.Fall., art. 67, comma 1, n. 2, ratione tempotis vigente, non ne ha colpito anche il negozio a monte, pretesamente volto a violare la par condicio creditorum, e di cui gli atti solutori sarebbero stati l’attuazione, peraltro negozio – si osserva – esterno al perimetro temporale dell’azione, conseguendone che trovano applicazione le regole di giudizio proprie dei pagamenti in sè. Sul punto si può riconoscere, per un verso, la congruità della motivazione con cui la corte d’appello ha ricostruito la ordinarietà dell’utilizzo diretto di provvista propria, acquisita da accrediti ricevuti dal terzo RBM (committente i lavori) e dalla quale la società debitrice ha attinto per fronteggiare i pagherò cambiari, strumenti del tutto fisiologici nella negoziazione. Ed in parallelo anche l’emissione ed il pagamento con assegno bancario post – datato sono stati adeguatamente riferiti ad una prassi commerciale di uso frequente, in considerazione altresì della sua immediata incassabilità dal prenditore. Va in tema ripetuto il principio, cui correttamente si è ancorata la decisione, per cui l’assegno postdatato, inteso nella sua obbiettiva idoneità strumentale a costituire mezzo di pagamento equivalente al denaro, non perde le sue caratteristiche di titolo di credito, per cui gli atti estintivi di debiti effettuati con assegni postdatati non costituiscono mezzi anormali di pagamento e non sono, pertanto, assoggettati all’azione revocatoria fallimentare prevista dalla L.Fall., art. 67, comma 1, n. 2, (Cass. 3136/2016, 3471/2011, 4033/1974).

Ne consegue che il ricorso principale va rigettato e parimenti va rigettato il ricorso incidentale; la reciproca soccombenza giustifica la integrale compensazione fra le parti delle spese del presente grado.

PQM

La Corte rigetta i ricorsi; dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del procedimento di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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