Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5039 del 28/02/2017

Cassazione civile, sez. III, 28/02/2017, (ud. 20/12/2016, dep.28/02/2017),  n. 5039

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10781/2015 proposto da:

M.R. SRL, in persona del direttore generale e procuratore

speciale Dott.ssa C.L.W., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ANGELO SECCHI 4, presso lo studio dell’avvocato UGO

LIMENTANI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FULVIO FERRARIS giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CHERIE DI M.D.P. E F.S. E C SNC, in persona del

suo legale rappresentante pro tempore D.P.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE XXI APRILE 15, presso lo

studio LEGALE MOSCATI, rappresentata e difesa dall’avvocato RICCARDO

CASTELLI giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6327/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/12/2016 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato UGO LIMENTANI;

udito l’Avvocato RICCARDO CASTELLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 2007 la società M.R. s.r.l. (d’ora innanzi, per brevità, “la M.R.”) convenne dinanzi al Tribunale di Roma la società Cherie di D.P.M. e S.F. & C. s.n.c. (d’ora innanzi, per brevità, “la Cherie”), deducendo:

-) di avere condotto in locazione, ad uso commerciale, un immobile di proprietà della Cherie, sito in (OMISSIS);

-) che l’immobile era destinato alla vendita al dettaglio di abbigliamento femminile;

-) che il contratto di locazione stipulato tra la M.R. e la Cherie si era risolto consensualmente, per effetto di transazione, il 30.11.2005;

-) che un mese dopo la cessazione della locazione l’immobile venne locato dalla Cherie alla società Liu-Jo s.p.a., che iniziò ad esercitarvi una attività affine a quella svolta dalla M.R., ovvero la vendita di abbigliamento femminile.

Chiese pertanto la condanna della convenuta al pagamento dell’indennità prevista dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 34, comma 2, per l’ipotesi di adibizione dell’immobile alla medesima attività svolta dal conduttore uscente.

2. La Cherie si costituì e, per quanto qui ancora rileva, eccepì:

-) di avere locato l’immobile di via (OMISSIS), dopo l’uscita della M.R., non alla Liu-Jo, ma alla società NES 2005 s.r.l., che vendeva oggetti per la casa e non abbigliamento;

-) essere trascorso più d’un anno tra lo scioglimento del contratto stipulato con la M.R., e l’adibizione dell’immobile alla medesima attività svoltavi dal conduttore uscente;

-) in ogni caso, che il conduttore uscente e la Liu-Jo non esercitavano attività affini.

3. Con sentenza 28.4.2008 n. 6021 il Tribunale di Roma rigettò la domanda della M.R., sul presupposto che:

-) non vi era prova che l’immobile, dopo la cessazione della locazione con la M.R., fosse stato adibito alla stessa attività svoltavi dal conduttore uscente;

-) in ogni caso non vi era prova che ciò fosse avvenuto per volontà del locatore.

4. La sentenza venne appellata dalla società M.R..

La Corte d’appello di Roma, con sentenza 22.10.2014 n. 6327 rigettò il gravame.

A fondamento della propria decisione la Corte d’appello pose le seguenti considerazioni:

(a) la L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, subordina il diritto al pagamento dell’indennità ivi prevista allo svolgimento, da parte del conduttore “entrante”, di una attività inclusa nella medesima “tabella merceologica” nella quale era inclusa l’attività svolta dal conduttore “uscente”;

(b) tale requisito tuttavia è venuto meno per effetto dell’abrogazione delle tabelle merceologiche, disposta dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114;

(c) per effetto di tale abrogazione, il presupposto del diritto al pagamento dell’indennità di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, va individuato nello svolgimento, da parte del conduttore “entrante”, di un’attività “idonea ad intercettare la clientela del conduttore uscente”.

Ciò premesso in iure, la Corte d’appello ha ritenuto in facto che l’attività svolta dalla società Liu-jo, conduttore entrante, non fosse idonea ad “intercettare” la clientela che costituiva l’avviamento dell’attività svolta dalla della società M.R., conduttore uscente: e ciò in quanto doveva ritenersi “notorio” ex art. 115 c.p.c., che la società M.R. vendesse capi di abbigliamento di tipo diverso da quelli venduti dalla Liu-jo, e destinati ad una utenza di gusto dissimile da quella interessata all’acquisto dei capi di abbigliamento venduti dalla società Liu-Jo.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla M.R., con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria.

Ha resistito con controricorso la Cherie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1. Va esaminata preliminarmente, ai sensi dell’art. 276 c.p.c., comma 2, l’eccezione di giudicato sollevata dalla Cherie.

Ha sostenuto infatti la controricorrente che nel presente giudizio si sarebbe formato il giudicato interno sulla mancanza di prova che l’attività “affine” a quella del conduttore uscente, svolta nei locali della Cherie dal conduttore entrante, sia iniziata entro l’anno dalla cessazione della locazione precedente.

1.2. L’eccezione è infondata.

Il Tribunale di Roma, in esito al giudizio di primo grado, ritenne in iure che il termine annuale di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, decorresse dalla cessazione di fatto dell’attività, e non dalla data di scioglimento del contratto.

Ha, quindi, accertato in facto che la M.R. cessò l’attività il 30.11.2005, e che il contratto col nuovo conduttore venne stipulato il 1.12.2005 (così la sentenza di primo grado, p. 10).

Tale statuizione non è stata impugnata dalla Cherie, e quindi se c’è un giudicato sulla questione del rispetto del termine annuale, esso è sfavorevole alla controricorrente.

2. Ordine delle questioni.

2.1. Il secondo motivo del ricorso va esaminato per primo, anche in questo caso in applicazione della regola dettata dall’art. 276 c.p.c., comma 2.

Con questo motivo, infatti, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha interpretato la L. n. 392 del 1978, art. 34, ritenendo che la diversità dello stile dei capi di vestiario venduti dal conduttore entrante, rispetto a quelli venduti dal conduttore uscente, fosse requisito di per sè sufficiente ad escludere il diritto all’indennità di cui all’art. 34, comma 2, L. cit..

Col primo motivo di ricorso, invece, la ricorrente censura la sentenza di merito nella parte in cui ha ritenuto “notorio”, ex art. 115 c.p.c., che i capi di vestiario venduti dalla società M.R. siano di tipo diverso, e si rivolgano ad un pubblico di esigenze diverse, rispetto a quelli venduti dalla società Liu-jo.

E’ infatti evidente che, se fosse erroneo il presupposto interpretativo su cui la Corte d’appello ha fondato la sua decisione, diverrebbe ultroneo stabilire se sia stata fatto corretta applicazione del concetto di “notorio”.

3. Il secondo motivo di ricorso.

3.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 12 e 15 preleggi; L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).

La Corte d’appello – sostiene la ricorrente – ha ritenuto che per stabilire se il conduttore entrante eserciti o meno un’attività affine a quella svolta dal conduttore uscente, dopo l’abrogazione delle tabelle merceologiche l’unico criterio richiesto dalla L. n. 392 del 1978, art. 34, è quello della “affinità”, criterio che è stato escluso per il solo fatto che i prodotti venduti dalle due imprese succedutesi nella locazione fossero identici per genere (abbigliamento), ma diversi per specie (foggia e taglie).

Tuttavia – prosegue la M.R. – questa interpretazione della L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, è erronea sotto diversi profili:

(a) sia perchè la L. n. 392 del 1978, art. 34, là dove richiama le “tabelle merceologiche” di cui all’abrogata L. 11 giugno 1971, n. 426, compie una relatio perfecta o rinvio recettizio alla norma richiamata: con la conseguenza che le successive modifiche di quest’ultima non riverberano effetti sulla norma richiamante, nel cui nucleo precettivo la norma richiamata si è “cristallizzata”; di conseguenza, l'”affinità” richiesta dalla legge sussiste non solo nel caso di vendita di prodotti identici, ma anche nel caso di vendita di prodotti rientranti nella medesima tabella merceologica, come nel caso di specie;

(b) sia perchè accordare il diritto all’indennità solo nel caso di vendita di prodotti della medesima foggia e stile restringerebbe l’ambito applicativo della norma sin quasi ad annullarlo, giacchè qualsiasi esercizio commerciale vende prodotti di marchio o di gusto diversi da quelli degli altri.

3.2. Il motivo è fondato.

La L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 34, comma 2, attribuisce al conduttore uscente il diritto al pagamento, da parte del locatore, di una indennità pari a 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto, quando ricorrano due presupposti: uno indefettibile, il secondo alternativo.

Il presupposto indefettibile è che la nuova attività sia iniziata entro l’anno dalla cessazione della precedente attività.

Il presupposto alternativo è che la nuova attività:

(a) o sia identica a quella già esercitata dal conduttore uscente; oppure, in alternativa;

(b) sia inclusa nella medesima “tabella merceologica” in cui rientrava l’attività svolta dal conduttore uscente, e sia a quella “affine”.

Quando, dunque, la nuova attività non sia esattamente coincidente con quella svolta dal conduttore uscente, sono due i requisiti richiesti dalla legge perchè sorga il diritto all’indennità: l’inclusione nella medesima tabella merceologica delle due attività (quella entrante e quella uscente), e la loro affinità (principio pacifico e risalente: così già Sez. 3, Sentenza n. 4225 del 20/10/1989, Rv. 463902).

3.3. Nel caso di specie il gravame proposto dalla M.R. chiamava la Corte d’appello di Roma a risolvere due questioni di diritto:

(a) se il requisito della “identità di tabella merceologica” fosse venuto meno dopo l’abrogazione delle norme che prevedevano le suddette tabelle, ai fini della disciplina amministrativa del commercio;

(b) se potessero ritenersi “non affini” attività rientranti nella medesima tabella merceologica ed aventi ad oggetto la vendita di prodotti della medesima natura, ma di foggia e gusto differente.

Ad ambedue i quesiti la Corte d’appello ha dato risposta positiva, ed ha di conseguenza concluso che l’indennità non spettasse, a causa della diversità dei prodotti venduti e della diversità di clientela cui essi si rivolgevano. Questa interpretazione della L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, non è corretta.

3.4. Non corretta, in primo luogo, è l’affermazione secondo cui l’abolizione delle tabelle merceologiche avrebbe apportato una modifica non testuale alla L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2.

Le “tabelle merceologiche” vennero introdotte nel nostro ordinamento dalla L. 11 giugno 1971, n. 426, art. 37 (“Disciplina del commercio”).

Quella legge subordinava il lecito esercizio delle attività commerciali all’iscrizione in un apposito registro, e stabiliva che l’autorizzazione all’esercizio del commercio fosse valida per tutte le attività rientranti nella medesima categoria, prevista giustappunto dalle tabelle.

Le singole tabelle vennero approvate, in esecuzione della delega prevista dall’art. 37 L. cit., dal D.M. 30 agosto 1971, (in Gazz. Uff., 6 settembre, n. 224).

Le tabelle approvate dal D.M. 30 agosto 1971, vennero, in seguito, abrogate dal D.M. 4 agosto 1988, n. 375, art. 62, e sostituite da quelle di cui all’Allegato 5 al medesimo decreto.

Anche queste ultime, infine, sono state abrogate dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114, art. 26, comma 6.

3.5. La L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, come già detto subordina il pagamento dell’indennità ivi prevista al presupposto che l’attività svolta dal conduttore entrante, e quella svolta dal conduttore uscente, fossero non solo affini, ma anche “incluse nella medesima tabella merceologica”.

La L. n. 392 del 1978, art. 34, pertanto, all’epoca in cui fu emanato conteneva un rinvio al D.M. 30 agosto 1971.

Il rinvio da una norma ad un’altra può essere di due tipi: formale (o “mobile”, o “non recettizio”) e materiale (o “fisso”, o “recettizio”).

Sul piano degli effetti, il rinvio recettizio si distingue dal rinvio non recettizio perchè nel primo caso la norma richiamante incorpora la norma richiamata, restando insensibile ai successivi mutamenti di questa.

Nel caso di rinvio non recettizio, invece, la norma richiamante non assorbe quella richiamata, di talchè tutte le successive modifiche di quest’ultima, come pure la sua abrogazione, riverbereranno effetti sulla norma richiamante.

Sul piano dell’interpretazione, il rinvio recettizio si distingue da quello non recettizio perchè il primo è sempre un rinvio ad una norma o ad una disposizione. Il rinvio non recettizio, invece, è sempre un rinvio ad un tipo di fonte (ad es., al diritto internazionale, alla consuetudine, alla legge ordinaria).

3.6. Nel nostro caso, la L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, col sintagma “tabelle merceologiche” rinvia ad una disposizione precisa ed inconfondibile, ovvero l’elenco contenuto nel D.M. 30 agosto 1971. Il nostro ordinamento, infatti, non contemplava all’epoca altri atti definiti “tabelle merceologiche”, se non quelle di cui al suddetto decreto.

Pertanto il rinvio a queste ultime, contenuto nella L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, va inteso come rinvio recettizio alla singola disposizione che prevedeva queste tabelle.

La disposizione richiamata, che per effetto del rinvio è stata recepita e cristallizzata all’interno della norma richiamante, è venuta in tal modo a formare parte integrante di quest’ultima, con la conseguenza che sulla portata precettiva dell’art. 34, comma 2, L. 392/78 non hanno prodotti effetti nè l’approvazione delle nuove tabelle merceologiche di cui all’Allegato n. 5 al D.M. 4 agosto 1988, n. 375, nè la successiva abrogazione anche di quest’ultimo decreto.

Non la prima, perchè anche a prescindere da qualsiasi considerazione circa la natura del rinvio (recettizio o non recettizio) contenuto nella L. n. 392 del 1978, art. 34, le tabelle merceologiche allegate al D.M. n. 375 del 1998, per quanto riguarda la vendita di prodotti di abbigliamento, contenevano una previsione identica ad litteram a quella contenuta nelle previgenti tabelle del 1971 (ovvero il p. IX: “articoli di vestiario confezionati di qualunque tipo e pregio, compresi quelli di maglieria esterna e di camiceria”).

Non la seconda, perchè per quanto già detto la L. n. 392 del 1978, art. 34, contiene un rinvio recettizio alle tabelle merceologiche previste dal D.M. 30 agosto 1971, che lo ha reso insensibile alla successiva abrogazione di queste ultime.

Ancor oggi, pertanto, l’indennità di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, resta dovuta se:

(a) il conduttore uscente e quello entrante hanno esercitato nell’immobile locato attività che, pur non essendo identiche, rientrano nella medesima tabella merceologica;

(b) l’attività iniziata dal conduttore entrante è “affine” a quella precedentemente svolta nel medesimo immobile dal conduttore uscente, costituendo l’appartenenza alla medesima tabella merceologica il “perimetro” entro il quale va ricondotta la valutazione dell'”affinità”.

Il requisito sub (a), nel nostro caso, era soddisfatto, in quanto la M.R. e la Liu-jo vendevano nell’immobile di via (OMISSIS) capi di vestiario, rientranti nel paragrafo IX della Tabella allegata al D.M. 30 agosto 1971, il quale riuniva nel medesimo gruppo gli “articoli di vestiario confezionati di qualunque tipo e pregio”.

3.6. Il secondo requisito richiesto dalla L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, perchè il conduttore uscente acquisti il diritto all’indennità ivi prevista, è che l’attività da lui svolta nell’immobile locato, oltre a rientrare nella medesima tabella merceologica, fosse stata anche “affine” a quella ivi intrapresa dal conduttore entrante.

Il concetto di “affinità” richiesto dalla L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, ovviamente non può coincidere con quello di “identità”, altrimenti la norma sarebbe inutile: che l’indennità spetti nel caso di identità tra l’attività svolta dal conduttore uscente quella svolta dal conduttore entrante è infatti già previsto dal primo periodo dell’art. 34, comma 2, L. cit..

Per spiegare il concetto di “affinità” tra le attività svolte nel medesimo immobile da due conduttori successivi occorre prendere le mosse dalla genesi e dalla ratio dell’art. 34 L. cit., come correttamente intuito dalla Corte d’appello, sebbene sia poi pervenuta a conclusioni non condivisibili.

3.6.1. Il diritto del conduttore d’un immobile ad uso commerciale ad una indennità allo scadere della locazione fu introdotto nel nostro ordinamento in limiti assai ristretti dalla L. 23 maggio 1950, n. 253, art. 4, comma 1, n. 1. Tale norma prevedeva il diritto del conduttore ad un “congruo compenso” solo se l’immobile, dopo la scadenza della locazione, fosse stato adibito dal locatore allo svolgimento della propria attività professionale, identica a quella già esercitata dal conduttore. La legge soggiungeva che tale “congruo compenso” fosse dovuto solo se il conduttore avesse provato che il locatore si era avvantaggiato dell’avviamento creato dall’opera del conduttore.

Tali ristretti limiti furono in seguito allargati dalla L. 27 gennaio 1963, n. 19, art. 4: tale norma attribuì al conduttore uscente il “diritto di essere compensato dal locatore per la perdita dell’avviamento che l’azienda subisca in conseguenza di tale cessazione nella misura dell’utilità che ne può derivare al locatore, e comunque nel limite massimo di trenta mensilità del canone di affitto che l’immobile può rendere secondo i prezzi correnti di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche”.

Un ulteriore ampliamento della tutela del conduttore, infine, fu realizzato dalla L. n. 392 del 1978, art. 34, il quale ha introdotto due diversi tipi di indennità del conduttore: l’indennità “normale” e quella “ulteriore”.

L’indennità “normale” è prevista dall’art. 34, comma 1: è una indennità dovuta sempre e comunque, volta ad indennizzare la perdita dell’avviamento del conduttore, che l’ordinamento presume juris et de jure (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 11245 del 21/11/1990, Rv. 469851).

L’indennità “ulteriore” è prevista dall’art. 34, comma 2. Essa non ha una funzione indennitaria, ma compensatrice. Non vuole indennizzare un danno (presunto), ma evitare un ingiustificato arricchimento (temuto). Il legislatore ha infatti ritenuto che, secondo l’id quod plerumque accidit, la prosecuzione nello stesso locale d’una attività identica a quella precedentemente esercitata, ovvero a quella affine e rientrante nella medesima tabella merceologica, fosse di per sè idonea a determinare a vantaggio del nuovo esercente il subentro in un avviamento in atto, mediante l’acquisizione della clientela che al locale affluiva (principio pacifico: ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 11378 del 16/05/2006, Rv. 589810; Sez. 3, Sentenza n. 3779 del 25/08/1989, Rv. 463685; nello stesso senso Corte cost., 30/01/2002 n. 2, ove si afferma che l’indennità in questione “mira a riequilibrare il rapporto in considerazione dell’effettivo arricchimento del locatore per la destinazione dell’immobile alla stessa attività o ad attività analoga a quella dismessa dal conduttore”).

3.6.2. La breve disamina che precede dimostra che:

(a) l’evoluzione del quadro normativo in tema di locazioni commerciali è caratterizzata da un progressivo rafforzamento della tutela del conduttore, sicchè sarebbe contraria al canone ermeneutico dell’interpretazione storica una scelta che interpretativa che, invece, indebolisse tale posizione;

(b) il legislatore è passato da un sistema nel quale era il conduttore uscente a dover provare di avere patito un pregiudizio all’avviamento commerciale, ad un sistema nel quale tale pregiudizio è presunto in via generale ed astratta, e senza possibilità di prova contraria;

(c) alla prova del pregiudizio patito dal conduttore uscente il legislatore ha sostituito la diversa prova della affinità delle attività rientranti nella medesima tabella merceologica, succedutesi all’interno dell’immobile locato: data tale prova, l’arricchimento del locatore è presunto juris et de jure.

Se dunque son questi i presupposti della L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, per i fini in esso previsti l'”affinità” tra due attività commerciali deve ritenersi sussistente in tutti i casi in cui l’attività esercitata dal conduttore entrante possa teoricamente avvantaggiarsi dell’avviamento sviluppato dal conduttore uscente.

Il giudizio di “affinità” non postula affatto una “sovrapponibilità” delle clientele, come opinato la Corte territoriale; pertanto va formulato, nell’ambito di attività facenti riferimento alla medesima tabella merceologica, non in base al contenuto oggettivo dell’attività svolta, ma in base all’idoneità della nuova attività a sottrarre clientela – anche solo in parte alla vecchia, se posa ritenersi che questa preferirà frequentare il nuovo esercizio, piuttosto che inseguire il vecchio nella sua nuova collocazione. Così, ad esempio, una orologeria non vende gioielli, ma può intercettare una porzione della clientela di una preesistente gioielleria esercitata nel medesimo locale; e parimenti una pizzeria non vende hamburger, ma può intercettare una porzione della clientela di un preesistente “pub”.

3.7. La Corte d’appello di Roma non ha osservato questi principi.

Essa ha infatti ritenuto che il conduttore entrante e quello uscente non svolgessero attività “affini”, sul presupposto che il primo vendesse abbigliamento femminile “giovane e moderno poco adatto alle taglie forti”, mentre il secondo offriva abbigliamento femminile “di tendenza ma di nicchia, perchè si rivolge a donne che (…) indossano taglie comode”. Da ciò ha tratto la conclusione che la clientela dell’uno e dell’altro commerciante non fossero sovrapponibili.

Così decidendo, però, la Corte d’appello ha errato non già nell’accertare in facto se le attività svolte dalla Liu-jo e dalla M.R. fossero affini (il che costituisce un giudizio di merito non sindacabile in questa sede), ma ha errato nell’individuare in iure i criteri con cui compiere il giudizio di affinità. Dire, infatti, che se gli abiti offerti in vendita da due attività commerciali sono diversi per foggia o taglia, quelle attività hanno necessariamente clientele diverse, significa far dipendere l'”affinità” tra le attività svolte dal conduttore entrante e da quello uscente dal loro contenuto oggettivo, falsamente applicando l’art. 34, comma 2, L. cit..

Il criterio di valutazione dell’affinità doveva essere invece invertito: non già partire dalla diversità dei beni offerti per supporre che anche le clientele dei due esercizi commerciali lo fossero; ma al contrario accertare in concreto se esistesse un rischio di confondibilità anche solo parziale delle clientele (e quindi se una signora acquirente di abiti “Alfa” possa teoricamente decidere un giorno di provare anche gli abiti “Beta”), rispetto al quale la foggia o la taglia degli abiti offerti in vendita non possono essere altro che meri indizi.

4. Il primo motivo di ricorso.

4.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione dell’art. 115 c.p.c.); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).

Deduce che la Corte d’appello ha ritenuto che l’attività svolta dalla M.R. e quella svolta dalla Liu-Jo nel negozio di via del corso non fossero “affini”, e l’ha fatto ritenendo “notorio” ex art. 115 c.p.c., che i capi di vestiario commercializzati dalle due firme si rivolgessero a clientele di gusti differenti. In questo modo – prosegue la ricorrente – la Corte d’appello ha tuttavia violato l’art. 115 c.p.c., perchè non può ritenersi “fatto notorio” quali siano i bacini di utenza di due firme della moda, nè i gusti del pubblico.

4.2. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso.

5. I principi di diritto.

5.1. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, la quale nel riesaminare la controversia si atterrà ai seguenti principi di diritto:

(A) Il rinvio alle “tabelle merceologiche”, contenuto nella L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 34, comma 2, è un rinvio recettizio alla tabella di cui al D.M. 30 agosto 1971, la quale è pertanto divenuta parte integrante della suddetta L. n. 392 del 1978, art. 34. Ne consegue che nè la novazione della fonte normativa (le suddette tabelle vennero infatti abrogate e riproposte, con contenuto identico, dal D.M. 4 agosto 1988, n. 375), nè la sua successiva abrogazione disposta dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114, hanno avuto effetti sulla disciplina dell’indennità dovuta al conduttore uscente ai sensi dell’art. 34, comma 2, L. cit..

(B) La “affinità” tra l’attività esercitata nell’immobile locato dal conduttore uscente, e quella intrapresavi dal conduttore entrante, va accertata non già in base al contenuto oggettivo dei servizi o prodotti offerti al pubblico, ma in base alla astratta idoneità dell’attività entrante ad intercettare anche solo in parte la clientela dell’attività uscente. Viola, pertanto, la L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 34, comma 2, il giudice che escluda la suddetta affinità per il solo fatto che il conduttore uscente e quello entrante vendano beni della stessa natura, ma di foggia, stile o marchio diversi.

6. Le spese.

Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 20 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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