Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5036 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/02/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 25/02/2020), n.5036

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Aldo – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTEROLOCUTORIA

sul ricorso 36715-2018 proposto da:

P.M.C. e G.D., rappresentati e difesi

dall’Avvocato BIAGIO DE FRANCESCO presso il cui studio a Corsano,

via della Libertà 90, elettivamente domiciliano per procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

I.R., I.F., IN.FE. e M.A.P.,

nella dichiarata qualità di eredi di I.M., rappresentati

e difesi dall’Avvocato ANTONIO PALMA, presso il cui studio a Lecce,

viale Leopardi 15, elettivamente domiciliano per procura speciale a

margine del controricorso.

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 988/2018 della CORTE D’APPELLO DI LECCE,

depositata il 4/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/12/2019 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale di Lecce, con sentenza del 16/10/2014, ha condannato i convenuti G.D. e P.C. alla predisposizione di una canalizzazione a ridosso del muro di proprietà dell’attore I.M. ed alla successiva posa di una tubazione interrata nella proprietà degli stessi fino alla (OMISSIS).

I convenuti, in effetti, nel corso dell’anno 2002, avevano edificato la loro abitazione modificando lo stato originario dei luoghi: in particolare, avevano demolito l’originario muro a secco esistente sul confine, che consentiva lo scorrimento verso il basso dell’acqua meteorica, sostituendolo con un muro in conci di tufo che impedisce il passaggio dell’acqua la quale, fino al suo naturale assorbimento, stagna nella vicina proprietà dell’ I.: quest’ultimo, pertanto, ha agito in giudizio per il ripristino del preesistente diritto allo scolo delle acque meteoriche.

G.D. e P.C. hanno proposto appello al quale l’ I. ha resistito chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello.

La corte, in particolare, ha ritenuto l’infondatezza della censura con la quale gli appellanti hanno lamentato che il tribunale, per effetto di un’erronea ricostruzione dei fatti di causa e dell’erronea applicazione dell’art. 913 c.c., ha accolto la domanda proposta dall’ I. non avvedendosi della mancanza di prova in ordine alla preesistenza dello scopo delle acque.

La corte, sul punto, dopo aver accertato, in fatto, che: – le rispettive proprietà delle parti erano originariamente separate da un muro a secco; – tale originaria separazione è stata sostituita dagli appellanti, all’epoca dell’edificazione del loro fabbricato e con il consenso dell’appellato, con un muro di conci di tufo; – tale ultimo manufatto, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, è stato dotato, per accordo tra le parti, di apposite feritoie evidentemente dirette a consentire lo scopo delle acque meteoriche; – tali feritoie sono state, però, otturate un entrambi i lati ed occultate dall’intonaco; – il fondo degli appellanti, anche prima della costruzione del fabbricato di proprietà degli stessi, era sottoposto a quello dell’appellato; ha ritenuto che le acque meteoriche, anteriormente agli interventi edilizi di G. e P., scorrevano naturalmente dal fondo dell’appellato a quello, ad esso sottoposto, degli appellanti e che questi ultimi, otturando le feritoie realizzate, ne hanno alterato il naturale decorso provocando l’allagamento del fondo dell’ I. in occasione delle precipitazioni meteoriche di consistenza superiore a quella assorbibile dal terreno.

La corte, quindi, ha rigettato l’appello ed ha, per l’effetto, confermato la sentenza impugnata, dichiarando, inoltre, la sussistenza dei presupposti previsti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

G.D. e P.C., con ricorso notificato in data 5/12/2018, hanno chiesto la cassazione della sentenza, dichiaratamente notificata il 6/10/2018.

Hanno resistito I.R., I.F., In.Fe. ed M.A.P., nella qualità di eredi di I.M., deceduto il (OMISSIS), con controricorso notificato in data 21/1/2019.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. I ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 913 c.c., e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha esaminato i motivi d’impugnazione, così violando il principio dell’effetto devolutivo dell’appello. La corte d’appello, infatti, doveva stabilire se, così come era stato chiesto, la sentenza di primo grado avesse fatto un uso improprio e/o distorto della norma dell’art. 913 c.c., e se la condanna dei convenuti alla predisposizione, a cura e spese degli stessi, di canalizzazione a ridosso del muro di proprietà dell’ I. e di successiva posa di tubazione interratta nella loro proprietà sino alla strada d’accesso, avesse o meno costituito una servitù di scarico coattivo ai sensi dell’art. 1043 c.c., in danno del fondo dei convenuti ed, in capo positivo, se gli oneri di costituzione fossero o meno a carico del fondo servente. L’omesso esame di tale censura, hanno concluso i ricorrenti, comporta un error in procedendo che vizia di irrimediabile nullità la sentenza

1.2. La sentenza impugnata, peraltro, hanno aggiunto i ricorrenti, non brilla per chiarezza espositiva e di coerenza logica nè per compiutezza di esame e di motivazione, per cui i vizi contestati si estendono anche alla violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

1.3. Nè rileva, hanno proseguito i ricorrenti, che le feritoie siano state chiuse, non venendo in contestazione il mezzo attraverso il quale lo scorrimento delle acque meteoriche possa avvenire ed essendo piuttosto contestato in radice il diritto allo scorrimento, per cui, sotto tale profilo, sussiste l’erronea applicazione dell’art. 913 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e art. 112 c.p.c.. La corte d’appello, infatti, non ha considerato che l’art. 913 c.c., presuppone l’esistenza di due fondi a dislivello sui quali non sia intervenuto il fatto dell’uomo, laddove, al contrario, l’originario stato dei luoghi, che poteva imporre tale limitazione legale della proprietà e, quindi, l’applicazione della predetta norma, non sussiste per cui la stesse è inapplicabile e la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

1.4. La corte d’appello, poi, hanno aggiunto i ricorrenti, non ha considerato che il tribunale aveva condannato i convenuti alla predisposizione, a loro cura e spese, di canalizzazione a ridosso del muro di proprietà dell’ I. e la successiva posa di tubazione interrata nella loro proprietà, laddove l’attore non aveva proposto tale domanda, per cui la condanna era affetta, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., da un ulteriore vizio di ultrapetizione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 3.

1.5. D’altra parte, hanno proseguito i ricorrenti, l’attore aveva proposto la domanda per la dichiarazione di sussistenza di una servitù naturale di scolo ma il tribunale non ha pronunciato su tale domanda ed è pacifico che si è formato, sul punto, un giudicato per non avere l’appellato proposto alcuna impegnativa, per cui la condanna alla predisposizione della canalizzazione integra una vera e propria servitù di scolo e/o di scarico, la cui costituzione non è stata richiesta, con il conseguente vizio di ultrapetizione.

1.6. La servitù di scolo, del resto, hanno aggiunto i ricorrenti, non può essere presunta per lo stato di pendenza dei fondi ma occorre che essa sia dimostrata e/o costituita secondo le regole delle servitù apparenti, vale a dire lo scorrimento delle acque in base allo stato dei luoghi, laddove, nel caso in esame, risulta che i luoghi sono stati modificati dal fatto dell’uomo, ed è accertata l’assenza di uno scorrimento delle acque meteoriche dalla proprietà I. in quella degli appellanti per la integrale ed autonoma capacità di assorbimento delle acque da parte del fondo dell’attore, con la conseguente assenza di ogni presupposto per il riconoscimento dell’esistenza di una servitù di scolo naturale nè per la sua costituzione coattiva la cui prova, in ogni caso, spettava all’attore, che non l’ha data. La servitù di scolo naturale è di per sè illegittima anche nella parte in cui dispone che la costituzione debba avvenire a cura e spese dell’appellante, in violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 3, in relazione all’art. 1069 c.c., comma 2, e art. 1030 c.c..

1.7. La sentenza, infine, hanno concluso i ricorrenti, è viziata nella parte in cui ha condannato al pagamento di un ulteriore importo pari al contributo versato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, laddove, in realtà, tale norma è manifestamente irragionevole e, quindi, incostituzionale, e contrasta con l’art. 24 Cost., e il CEDU, art. 6.

2. Ritiene la Corte che il ricorso non presenta l’evidenza decisoria che ne giustifica la decisione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e art. 375 c.p.c., nn. 1 e 5.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rimette la causa alla pubblica udienza.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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