Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5035 del 28/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/02/2017, (ud. 13/12/2016, dep.28/02/2017),  n. 5035

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17447-2014 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GLORIOSO 13,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA BUSSA, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati SERGIO ACQUILINO, LIVIO BUSSA

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA REGIONALE TERRITORIALE PER L’EDILIZIA ARTE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, R.M., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LAZIO 20-C, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMO FRANCESCO DOTTO, che la rappresenta e difende giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 62/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 17/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2016 dal Consigliere Dott. COSIMO D’ARRIGO;

udito l’Avvocato MARCO FARNETI per delega;

udito l’Avvocato MASSIMO FRANCESCO DOTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI RENATO che ha concluso per il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.C. conveniva in giudizio l’Azienda Regionale Territoriale per l’Edilizia (A.R.T.E.) di Savona, chiedendo, quale promissario acquirente, l’esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare di compravendita di un immobile di edilizia economica popolare stipulato il (OMISSIS); chiedeva inoltre la riduzione del prezzo a cagione di vizi del bene compromesso in vendita e del ritardo nella sua consegna.

L’A.R.T.E. chiedeva il rigetto delle domande attoree e, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’avvenuta risoluzione del contratto preliminare, a causa di una diffida ad adempiere rimasta senza esito, nonchè del diritto a trattenere la caparra ricevuta e al risarcimento del danno da inadempimento del promissario acquirente.

II Tribunale di Savona, con sentenza del 21 luglio 2009, rigettava le domande del P. e, in parziale accoglimento di quelle riconvenzionali, pronunciando l’avvenuta risoluzione del contratto preliminare e il conseguente diritto al risarcimento del danno; rigettava, invece, la domanda riconvenzionale dell’A.R.T.E. relativa al trattenimento della caparra.

Avverso tale sentenza proponevano appello il P. in via principale e l’A.R.T.E. in via incidentale.

La Corte d’appello di Genova rigettava l’appello principale proposto dal P. e, in parziale accoglimento di quello incidentale, condannava quest’ultimo a pagare l’ulteriore somma di Euro 5.131,00 all’A.R.T.E..

Il P. ricorre per la cassazione di tale decisione, deducendo tre motivi di censura. L’A.R.T.E. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con i primi due motivi di ricorso, fra di loro strettamente connessi, il P. denuncia l’erronea interpretazione dell’art. 6 del contratto preliminare del (OMISSIS), la violazione degli artt. 1183, 1218 e 1460 cod. civ., nonchè la falsa applicazione dell’art. 2723 cod. civ..

1.2. Il citato art. 6 del contratto preliminare ai commi 2, 3 e 4 testualmente così dispone:

“1. L’ultimazione degli immobili oggetto della presente scrittura

è prevista entro 16 (diconsi sedici) mesi dall’inizio degli stessi.

2. Tale termine di ultimazione, peraltro avuto anche riguardo a ritardi dovuti a causa di forza maggiore o ad atti od omissioni non imputabili all’A.R.T.E., non deve intendersi nè perentorio nè essenziale, ma solo a titolo indicativo, per cui eventuali ritardi nell’ultimazione non potranno mai dare luogo a richieste di danni, indennizzi, risarcimenti o quant’altro dalla parte prenotataria.

3. Ad avvenuta ultimazione gli alloggi verranno consegnati formalmente non appena il Comune di Celle L. avrà provveduto al rilascio delle certificazioni di abitabilità. Detta consegna dovrà risultare da apposito verbale”.

L’ultimo comma dello stesso articolo contrattuale prevede, inoltre, un termine due anni per il promissario acquirente entro cui adempiere agli obblighi assunti.

1.3. I giudici di merito hanno accertato che il P. formalmente intimò alla promittente A.R.T.E. di procedere alla stipulazione del rogito per la prima volta solo con lettera del 10 novembre 2016, pervenuta il successivo 16 novembre, senza peraltro offrire contestualmente il pagamento del prezzo pattuito e senza indicare, come sarebbe dovuto essere suo onere ai sensi dell’art. 11, comma 2, del compromesso, il notaio rogante. A tale missiva A.R.T.E. rispose con lettera del 1 dicembre 2006, dichiarandosi pienamente disponibile a concludere il contratto definitivo e tuttavia rimarcando che la mancata indicazione del notaio rogante rendeva oggettivamente impossibile procedere all’adempimento.

Successivamente, con lettera raccomandata recapitata il 17 ottobre 2007, l’A.R.T.E. diffidò il P. ad adempiere al contratto preliminare, entro 30 giorni dal ricevimento, saldando l’intero prezzo pattuito. A tale diffida l’attore, anzichè procedere nel senso intimatogli, rispose formulando la domanda giudiziale in esame.

1.4. Così ricostruiti fatti, la corte d’appello interpreta il citato art. 6 del contratto preliminare nel senso che esso prevedeva un termine per adempiere per il promissario acquirente, ma non per il promittente venditore.

Esaminando quindi separatamente le reciproche denunce di inadempimento ha osservato che:

– l’A.R.T.E. non è mai stata ritualmente costituita in mora, stante inidoneità della diffida del P., carente dell’indicazione del notaio rogante; l’ARTE era nella giuridica e oggettiva impossibilità di procedere alla stipulazione del contratto definitivo;

– a giustificazione del ritardo dell’A.R.T.E. nell’ultimazione dell’edificio, in ogni caso, rileva l’esimente costituita dalla “sorpresa geologica” risultante dal carteggio fra le parti;

– l’alea della costruzione immobiliare e del rilascio delle relative certificazioni di abitabilità era consensualmente posta a carico del promissario acquirente;

– il termine concretamente occorso per la piena esecuzione del contratto, certamente non inferiore a quello contrattualmente riconosciuto al promissario acquirente per la stipula del definitivo (ossia due anni), non è irragionevole, nè supera la soglia della normale tollerabilità, proprio avuto riguardo tanto alla sorpresa geologica quanto all’inidoneità dell’attività del P. a fissare un per l’adempimento;

– in ogni caso, il tempo materialmente occorso per l’ultimazione del fabbricato non ha determinato la sopravvenuta carenza di interesse del creditore alla prestazione, come si ricava dal fatto che egli ha chiesto l’esecuzione del contratto, anzichè la risoluzione per inadempimento;

– l’A.R.T.E., già con la nota di risposta del 1 dicembre 2006, aveva dimostrato di non avere alcuna intenzione di non adempiere, anzi di essere pronta all’attuazione del preliminare.

Invece, quanto al P., la corte d’appello ha ritenuto che il termine previsto nel contratto (ossia due anni dalla stipulazione del contratto preliminare) fosse vincolante, che la richiesta dell’A.R.T.E. di adempimento recapitata il 17 ottobre 2007 è stata idonea a costituire in mora il promissario acquirente ai fini della risoluzione del contratto preliminare; che, pertanto, lo stesso si è risolto di diritto in data 16 novembre 2007, ossia decorso il termine di 30 giorni dal ricevimento della predetta lettera di costituzione in mora, non avendo l’obbligato assunto alcuna iniziativa (diversa dalla semplice introduzione della presente lite) volta all’esecuzione degli obblighi contrattuali.

La corte d’appello ha inoltre ritenuto che correttamente il tribunale escluse la prova orale tendente a dimostrare la fissazione di un termine per l’adempimento da parte del promettente venditore, non previsto nel contratto preliminare, perchè tale prova avrebbe avuto ad oggetto patti aggiunti successivi alla formazione del documento ed era quindi inammissibile ai sensi dell’art. 2723 cod. civ. “non apparendo credibile, nè consentito, che un ente pubblico (qual è ARTE), possa apporre clausole aggiuntive simili ai propri impegni negoziali”.

Infine, la corte d’appello ha affermato che la sorpresa geologica fosse congruamente dimostrata dalla perizia prodotta da parte, a nulla valendo l’elemento puramente indiziario rappresentato dall’omesso rinvenimento, da parte del perito incaricato dal P., nel fascicolo ottenuto dal comune di Celle Ligure, di documentazione al riguardo.

1.5. La decisione impugnata, sopra riassunta nei termini essenziali, si sottrae alle censure articolate dal ricorrente.

Anzitutto, è corretta, avuto riguardo al tenore della disposizione contrattuale sopra riportata, l’interpretazione relativa al termine per l’adempimento da parte del promettente venditore. La regola pattizia non si presta a una diversa lettura. Del resto, la regolamentazione negoziale è del tutto ragionevole, specialmente se si considera la particolarità del caso, ossia il fatto che A.R.T.E. è un ente pubblico che opera nel settore dell’edilizia economico-popolare, praticando prezzi “politici” di favore, rispetto ai quali è perfettamente comprensibile l’assunzione di maggiori cautele nella gestione dei rischi da ritardato adempimento.

La questione della natura e della prova della sorpresa geologica è irrilevante, data l’ampiezza della formula usata nella clausola contrattuale, che prevede “anche”, ma non solo, la forza maggiore o il caso fortuito quali esimenti dall’osservanza del termine indicativo di sedici mesi.

Il ricorrente censura anche la qualificazione come “patto aggiunto” della diffida con il quale egli sostiene di aver fissato all’A.R.T.E. in via extragiudiziale un termine per l’adempimento. Ma, anche in questo caso, la questione è priva di rilievo perchè la prova testimoniale non sarebbe stata ammissibile pure se si fosse trattato di una vera e propria diffida ad adempiere. A norma del contratto preliminare, sarebbe dovuto essere onere del P. indicare contestualmente il notaio rogante e la data per il rogito; indicazioni che, di sicuro, non potevano essere validamente comunicate verbalmente.

Infine, risulta corretta l’asserzione di intervenuta risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del P. a seguito della perdurante inerzia susseguente alla diffida ad adempiere recapitatagli dall’A.R.T.E. il 17 ottobre 2007.

La doglianza relativa al preteso inadempimento dell’A.R.T.E. alle richieste di variazione del capitolato d’opera formulate dal P. è assorbita dalla ritenuta risoluzione del contratto per inadempimento di quest’ultimo.

1.6. In conclusione, i primi due motivi di ricorso sono infondati in ordine ad ognuno dei profili ivi dedotti e devono essere rigettati. 2. Con il terzo motivo il ricorrente censura il capo della sentenza d’appello relativo alla condanna al pagamento della caparra, che egli assume porsi in violazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè dell’art. 1385 cod. civ..

La corte d’appello ha affermato, accogliendo sul punto l’appello incidentale proposto dall’A.R.T.E., che quest’ultima non poteva essere condannata la restituzione della caparra, non avendone fatta espressa richiesta in tal senso il P. e non essendo tale effetto automatico, talchè il giudice possa provvedere d’ufficio.

Il P. sostiene invece che la questione apparterrebbe comunque al thema decidendum, e quindi che sulla stessa poteva pronunziarsi il giudice di merito, in quanto, pur in difetto di sua esplicita domanda, la questione era stata introdotta dalla stessa A.R.T.E..

Si tratta di una censura infondata, che deve essere rigettata.

Infatti, la domanda di A.R.T.E. volta ad aver riconosciuto il diritto a trattenere la caparra non può valere ad inserire nel thema decidendum una domanda di contenuto diametralmente opposto e a parti invertite, quale sarebbe dovuta essere quella del P. di restituzione della caparra stessa.

3. Le spese del giudizio vanno di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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