Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5033 del 28/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/02/2017, (ud. 13/12/2016, dep.28/02/2017),  n. 5033

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30140-2014 proposto da:

S.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DI VILLA

GRAZIOLI, 20, presso lo studio dell’avvocato ROSA MERCONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato SEBASTIANO D’ANGELO giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ST.GI., V.M., VE.SI.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1183/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 05/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2016 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI RENATO che ha concluso per il rigetto.

La Corte:

Fatto

RILEVATO IN FATTO

– che S.V. ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 1086 del 5.8.14 con cui la corte di appello di Catania ha rigettato il suo appello contro la sentenza del tribunale di Siracusa che aveva accolto la domanda, proposta nei confronti suoi e di V.M. da St.Gi. (o, in altri atti, St.), ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. – ed in relazione a crediti di lavoro – in riferimento ad una attribuzione di diritti reali patrimoniali in favore della V. contenuta in un provvedimento di separazione personale consensuale tra coniugi omologato dal competente tribunale;

– che non espletano le intimate – notificato o almeno spedito per la notifica il ricorso a chi si è indicato come erede della St., tali Ve.Si. e M. – attività difensiva in questa sede.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

– che il ricorrente lamenta, col primo motivo (pag. 26 del ricorso), “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 2903 c.c. sulla mancata declaratoria di prescrizione dell’azione revocatoria”: sostenendo, in particolare, che il termine prescrizionale aveva iniziato il suo decorso al momento del deposito del ricorso dei coniugi per la separazione consensuale, avutosi il 16.11.00, a quella data dovendo ricondursi la formazione della volontà negoziale dei paciscenti coniugi, o, a tutto concedere, al tempo della comparizione dinanzi al presidente del tribunale per confermarla, avutasi il 28.3.01, restando irrilevante invece la data di deposito del provvedimento di omologazione, rispetto al quale il termine quinquennale in esame pacificamente non era decorso;

– che il motivo – se non inammissibile, in quanto prevalentemente incentrato sulla critica alle ragioni della decisione del tribunale – è infondato: corrisponde a principio già affermato da questa Corte, al quale stima opportuno e doveroso il Collegio assicurare continuità, che la disposizione dell’art. 2903 cod. civ., laddove stabilisce che l’azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto, deve essere interpretata, attraverso il coordinamento con la regola contenuta nell’art. 2935 cod. civ., nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell’atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l’inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo (Cass. 24 marzo 2016, n. 5889; Cass., ord. 27 maggio 2014, n. 11815; Cass. 19 gennaio 2007, n. 1210); e tanto a prescindere dalla considerazione che, fino a prima della trascrizione o della formalità di pubblicità, ogni atto di esecuzione sarebbe stato legittimamente posto in essere contro il disponente;

– che il ricorrente deduce poi: col secondo motivo (pag. 30 del ricorso): “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 2901 c.c., n. 1 in ordine alla ricorrenza del presupposto dell’eventus damni – omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio con riferimento all’eventus damni”; col terzo motivo (pag. 33 del ricorso): “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 2901 c.c., n. 2 in ordine alla ricorrenza del presupposto della partecipatio fraudis del terzo coniuge beneficiario – omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio con riferimento alla partecipatio fraudis e scientia fraudis della V.M.”;

– che tali motivi sono inammissibili: a parte il fatto che con essi si invoca un testo normativo non più applicabile (quale dell’art. 360 cod. proc. civ., il n. 5 anteriore alla novella del 2012, che appunto non trova applicazione, per essere la qui impugnata sentenza stata pubblicata dopo il giorno 11.9.12, secondo la normativa transitoria di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 3 conv. con modif. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), va osservato che i parametri cui fa riferimento la corte territoriale corrispondono alla giurisprudenza di legittimità, bastando, ad integrare l’eventus, anche una maggiore difficoltà – od anche solo dispendiosità o incertezza – nella realizzazione del credito (del cui soddisfacimento non vi è alcuna prova), ciò su cui la corte territoriale ben motiva in relazione alla sostituzione dei cespiti immobiliari con quelli del credito all’affitto mensile nel patrimonio del debitore dell’attrice in revocatoria, nonchè, ad integrare l’elemento soggettivo, quanto si desumeva dalla complessiva situazione di fatto in cui si trovavano i coniugi pure con riguardo alla gestione in concreto delle attività del debitore, vale a dire il marito;

– che allora con i motivi secondo e terzo il ricorrente tende a censurare la ricostruzione della fattispecie concreta operata dalla corte di merito a valle del corretto inquadramento di quella astratta entro cui sussumere la prima: rivalutazione del merito che invece è sempre preclusa in questa sede, a maggior ragione dopo la novella dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 che ha ridotto al minimo costituzionale il controllo in sede di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. Un. nn. 8053, 8054 e 19881 del 2014), rimanendo comunque gli apprezzamenti di fatto – se scevri, come lo sono nella specie, da quei soli ed evidenti vizi logici o giuridici ammessi dalle or ora richiamate pronunzie delle Sezioni Unite – istituzionalmente riservati al giudice del merito, tanto corrispondendo a consolidato insegnamento (su cui, fra le ultime, v. Cass. Sez. Un., n. 20412 del 2015, ove ulteriori riferimenti);

– che in conclusione, infondato il primo motivo ed inammissibili gli altri, il ricorso va rigettato, ma non vi è luogo a provvedere sulle spese di questo giudizio, non avendovi svolto attività difensiva le intimate;

– che peraltro va dato atto della sussistenza dei presupposti per l’applicazione – mancando ogni discrezionalità al riguardo (Cass. 14 marzo 2014, n. 5955) – del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, di cui alla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

– rigetta il ricorso;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 13 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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