Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5033 del 24/02/2021

Cassazione civile sez. III, 24/02/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 24/02/2021), n.5033

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28694/2019 proposto da:

A.M., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della

Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANIA

SANTILLI;

– ricorrenti –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 804/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 21/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. A.M., cittadino del (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento della sua istanza dedusse di esser fuggito dal Pakistan a causa delle violenze subite dai familiari nell’ambito di una faida collegata alla appropriazione di terreni oggetto di eredità del richiedente. Il nonno decise di intraprendere un’azione legale per proteggere le terre appartenenti al nipote ma fu ucciso dai parenti. Pertanto, A.M. non trovando tutela nelle istituzioni locali, decise cli partire per la Grecia dove visse per quattro anni per poi trasferirsi in Italia.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento A.M. propose ricorso D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35, dinanzi il Tribunale di Milano, che con ordinanza del 23 marzo 2018 rigettò il reclamo.

Il Tribunale ritenne:

a) il richiedente asilo non credibile;

b) infondata la domanda di protezione internazionale perchè il richiedente asilo non aveva dedotto a sostegno di essa alcun fatto di persecuzione;

c) infondata la domanda di protezione sussidiaria perchè nel caso di rientro in patria il richiedente non correrebbe il rischio effettivo di subire un danno grave;

d) infondata la domanda di protezione umanitaria poichè mancano delle ragioni, sia soggettive che oggettive, per le quali il ricorrente potrebbe essere sottoposto in Pakistan a torture o trattamenti inumani e degradanti;

3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n. 804/2019, pubblicata il 21/02/2019.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da A.M., con ricorso fondato su un quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non presenta difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la “violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3,4,5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU. Violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), non avendo compiuto alcun esame comparativo tra le informazioni provenienti dal richiedente stesso e la situazione personale del ricorrente da eseguirsi mediante la puntuale osservanza degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sulla autorità giurisdizionale. Omesso esame di fatti decisivi ai fini della prova della persecuzione ex art. 360 c.p.c., n. 3”. Secondo il ricorrente, i giudici di merito avrebbero motivato in via generica la valutazione di non credibilità del richiedente, senza l’apporto di fonti ufficiali in merito alla situazione sociopolitica presente in Pakistan.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la “violazione o falsa interpretazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con L. n. 722 del 1954, della dir. 200/83/CE, attuata con D.Lgs. n. 251 del 2007 e in particolare degli artt. 2, 7, 8, 14 dello stesso Decreto, motivazione meramente apparente”. La Corte d’appello avrebbe dovuto verificare l’effettiva capacità della polizia locale e delle altre autorità statali di punire i responsabili delle faide attraverso, anche, l’utilizzo di fonti ufficiali in merito alle condizioni sociopolitiche del paese d’origine.

5.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia sulla domanda di protezione sussidiaria relativamente all’ipotesi di danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b) e c), motivazione meramente apparente, violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 7, nonchè omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in relazione alla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. c.p.c., nn. 3 e 5”. La Corte d’appello non avrebbe effettuato alcuna analisi circa la situazione del paese di provenienza, mancando completamente un riscontro della situazione oggettiva del Pakistan.

I motivi, esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono fondati.

Tutti mirano a censurare la mancata attivazione, da parte dei giudici di merito, del dovere di cooperazione istruttoria, che li onera di una ricerca, tramite fonti ufficiali e aggiornate, in merito alla condizione oggettiva del paese di provenienza del richiedente.

E consolidato il principio per cui la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente asilo non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del detto potere-dovere di cooperazione, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa ed attuale conoscenza della complessiva situazione dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (per tutte, Cass. sez. 6, 25/07/2018, n. 19716). Il giudice non può ex ante negare la protezione senza aver adempiuto al dovere di cooperazione per accertamento di tale situazione: la valutazione di tal situazione deve precedere, e non seguire, qualsiasi valutazione sulla credibilità del ricorrente. Dunque, nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria o officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente.

Nel caso di specie, manca un riferimento specifico alle fonti utilizzate per la valutazione del contesto socioculturale presente in Pakistan ai fini della valutazione per la concessione della protezione sussidiaria.

5.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia sulla domanda di protezione umanitaria se non con riferimento all’aspetto occupazionale”. La Corte d’appello non avrebbe compiuto una valutazione comparata tra la condizione del richiedente in Italia e quella che avrebbe nel caso di rientro in patria, mancando inoltre un approfondimento, tramite fonti ufficiali, della condizione sociopolitica presente in Pakistan.

Il motivo è assorbito dall’accoglimento dei precedenti motivi.

6. Pertanto la Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto,

cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.

PQM

la Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2021

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