Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5032 del 24/02/2021

Cassazione civile sez. III, 24/02/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 24/02/2021), n.5032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29896/2018 proposto da:

D.C.E., rappresentato e difeso dagli avvocati MASSIMO

RANIERI, e GIULIANO PAVAN, ed elettivamente domiciliato presso lo

studio del primo in ROMA, VIA DEI TRE OROLOGI 10/A, pec:

massimoranieri.ordineavvocatiroma.org;

giulianopavan.pec.ordineavvocatitreviso.it;

– ricorrente –

contro

S.L., T.E., rappresentati e difesi dagli

avvocati CARLO PRIMOSIG, e dall’avvocato FABRIZIO IMBARDELLI, ed

elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo in ROMA, VIA

DI PORTA PINCIANA 4, carlo.primosig.pecavvocatigorizia.it;

f.imbardelli.pec.studiosanitaroni.it;

– controricorrenti –

e nonchè contro

R.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 341/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 11/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/11/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. D.C.E. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi contro i coniugi T.E. e S.L., nonchè contro R.G., avverso la sentenza n. 341 del 2018, con cui la Corte di Appello di Trieste ha pronunciato sul giudizio di rinvio disposto da questa Corte con la sentenza n. 13291 del 2016.

2. Hanno resistito i coniugi T. con controricorso.

3. La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., in vista della quale entrambe le parti hanno depositato memoria mentre il P.G. non ha depositato conclusioni.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 384 e 394 c.p.c. e degli artt. 1362, 1363, 1366, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – si deduce che la Corte d’Appello avrebbe violato le norme relative al giudizio di rinvio nonchè i canoni di ermeneutica contrattuale ampliando l’ambito del principio di diritto fissato da questa Corte fino ad estenderlo alla possibilità di calcolare, quale posta creditoria, la differenza di valore tra l’importo indicato nella perizia contrattuale e quello effettivamente versato alle eredi del socio defunto a titolo di liquidazione della quota sociale, mentre, ad avviso dei ricorrenti la corte di rinvio sarebbe stata libera di rideterminare an e quantum di tutte le eventuali conseguenze pregiudizievoli non dovendosi ritenere affatto vincolata all’accertamento svolto dalla perizia invalida.

2. Con il secondo motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1227 c.c. – il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente il nesso di causalità diretta tra il comportamento ascritto ai professionisti e la maggiore valorizzazione della quota sociale operata nel giudizio promosso dalle eredi T. nei confronti degli attori riconoscendo conseguentemente quale posta risarcitoria la differenza di valore tra le due stime.

La Corte territoriale avrebbe omesso di considerare la sussistenza di fattori che escludevano il nesso causale tra l’operato dei professionisti e la diversa valorizzazione dei cespiti operata nella perizia, ed avrebbe pertanto omesso di valorizzare la presenza di un’autonoma serie causale.

Ancora il giudice avrebbe errato – violando l’art. 1227 c.c. – laddove non ha valutato che il risarcimento doveva essere escluso per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza e cioè impugnando la sentenza pronunciata tra le parti. E’ intuitivo, secondo il ricorrente, che ove la Corte d’Appello avesse adeguatamente considerato i dati emersi nel giudizio, avrebbe correttamente valorizzato come comportamento di normale diligenza la prosecuzione del giudizio stesso relativo alla determinazione delle quote.

3. Il Collegio rileva che il ricorso presenta un profilo preliminare di inammissibilità.

L’esposizione del fatto del ricorso è, infatti, gravemente lacunosa. In particolare, nell’esposizione dei fatti: a) non si comprende esattamente, sebbene in modo sommario, quali fossero stati i termini e i fatti costitutivi della domanda introduttiva del giudizio, nulla si dice sulla posizione del R.; b) nulla si dice sulle difese di chi era stato convenuto e sui fatti costitutivi della domanda riconvenzionale che si dice proposta dal D.C.; c) nulla – sempre in modo sommario – si precisa sulle ragioni della sentenza di primo grado, su chi introdusse il successivo appello; d) inoltre, le ragioni sommariamente esposte della decisione di appello risultano, sia per la loro lacunosità, sia per le segnalate carenze dello svolgimento processuale precedente, poco comprensibili; e) nulla si dice su chi introdusse il giudizio di cassazione, mentre lo scarno riferimento alla decisione di queste Corte – nemmeno citata (infatti, viene indicata solo in nota nell’esposizione del primo motivo) – risulta, per le complessive carenze espositive segnalate, del tutto lacunosa.

Tutte le carenze segnalate rendono poi incomprensibile, nella logica dell’art. 366 c.p.c., n. 3, quanto si enuncia circa le prospettazioni delle parti nel giudizio di rinvio.

Le segnalate carenze rendono impossibile lo scrutinio dei motivi.

La loro lettura, in ragione delle segnalate carenze, non consente, d’altro canto, alla Corte di percepire la rilevanza e pertinenza di ciò che si argomenta, in quanto non è posta in grado di cogliere, in modo chiaro, il fatto sostanziale e quello processuale pregresso. In particolare, nel primo motivo risulta incomprensibile l’argomentare delle pagine 8 e 9, non senza doversi rilevare che a pag. 9 vengono evocati atti riguardo ai quali si omette totalmente di fornire l’indicazione specifica di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

Anche il secondo motivo merita le stesse considerazioni, alle quali va aggiunto il rilievo che, per dedurre la violazione delle norme di diritto sostanziale evocate, si svolgono considerazioni che postulano una preventiva ricostruzione di vicende fattuali.

4. Conclusivamente il ricorso è dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato a pagare le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà altresì atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del cd. “raddoppio” del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.500, oltre Euro 200 per esborsi, le spese generali al 15% e gli accessori come per legge. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2021

 

 

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