Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5028 del 03/03/2010

Cassazione civile sez. un., 03/03/2010, (ud. 16/02/2010, dep. 03/03/2010), n.5028

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di sezione –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

REGIONE CALABRIA ((OMISSIS)), in persona del Presidente della

Giunta Regionale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BRUNO BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO CRISCUOLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FALDUTO PAOLO, per delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE COSENZA ((OMISSIS)) in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 138, presso lo

studio dell’avvocato PRESTA TONINO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ROSSELLI AGOSTINO, per delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 520/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 15/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

16/02/2010 dal Consigliere Dott. AMOROSO Giovanni;

uditi gli avvocati Umberto GASPERINI per delega dell’avvocato Paolo

Falduto, Tonino PRESTA per delega dell’avvocato Agostino Rosselli;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l’A.G.O., rigetto del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Regione Calabria proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Cosenza, con cui veniva ingiunto il rimborso, in favore del Comune di Cosenza, di quanto da quest’ultimo anticipato a titolo di retribuzione ad una dipendente della Regione addetto al servizio socio – psico – pedagogico, T. M.P., per gli anni dal 1994 al 1998 e così conveniva l’amministrazione comunale in giudizio per sentire revocare il decreto ingiuntivo.

Ritualmente costituitosi in giudizio, il Comune eccepiva la nullità della citazione e contestava l’opposizione di cui chiedeva, nel merito, il rigetto con conferma del decreto ingiuntivo.

Il Tribunale di Cosenza rigettava l’opposizione.

2. Avverso detta sentenza proponeva appello la Regione Calabria, cui resisteva il Comune appellato.

La Corte di appello di Catanzaro rigettava entrambi gli appelli e, per l’effetto, confermava l’impugnata sentenza; dichiarava interamente compensate tra le parti anche le spese e competenze del presente grado del giudizio.

3. Avverso questa pronuncia ricorre per Cassazione la Regione Calabria. Resiste con controricorso il comune intimato.

La Regione ha altresì presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è articolato in sei motivi.

Con il primo motivo la Regione ricorrente censura l’impugnata sentenza deducendo che l’anticipazione di emolumenti stipendiali fatta dal Comune di. Cosenza in favore di un dipendente della Regione Calabria aveva comportato il subingresso del Comune nella medesima posizione sostanziale e processuale dei dipendente e che conseguentemente, trattandosi di rapporto di pubblico impiego nel periodo precedente al 30 giugno 1998, sussisteva la giurisdizione del giudice amministrativo; o, alternativamente, sussisteva comunque la competenza per materia del giudice del lavoro, quale giudice ordinario.

Con il secondo motivo ed il terzo motivo la ricorrente censura la violazione del principio dispositivo vigente nel processo civile perchè la qualificazione dell’azione esercitata dal Comune in termini diversi dalla qualificazione operata da quest’ultimo aveva comportato una inammissibile sostituzione dell’azione con violazione conseguente del diritto di difesa e del principio del contraddittorio.

Con il quarto motivo la ricorrente deduce che il pagamento ad opera del Comune di somme eccedenti quanto autorizzato da essa Regione configurava un comportamento eccedente il limite del mandato.

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’onere della prova non avendo il Comune fornito alcuna dimostrazione della fonte legale o negoziale del preteso diritto al rimborso delle somme erogate in favore degli addetti al socio – psico – pedagogico.

Con il sesto motivo la ricorrente si duole della mancata dichiarazione di estinzione per prescrizione del credito restitutorio vantato dal Comune.

2. Il ricorso è infondato.

La questione è già stata ripetutamente esaminata da questa Corte (ex plurimis Cass., sez. un.. 30 giugno 2008, n. 17767) che ha affermato che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia tra Regione e Comune avente ad oggetto la domanda, avanzata da quest’ultimo, per il rimborso delle somme erogate ai dipendenti della Regione su incarico di quest’ultima, trattandosi di ordinario rapporto obbligatorio pecuniario, nel quale non viene in questione l’esercizio di poteri autoritativi, senza che assuma rilievo il sottostante rapporto di pubblico impiego, esistente tra i lavoratori e la Regione, e la natura retributiva degli emolumenti corrisposti. La pronuncia ha riguardato analoga fattispecie relativa al pagamento delle retribuzioni, maturate in epoca anteriore al 30 giugno 1998, agli addetti al servizio socio – psico – pedagogico, assunti dalla Regione Calabria in rapporto di convenzione, poi trasformato “ope legis” in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, per le quali la Regione in precedenza aveva trasferito fondi al Comune, sia pure in misura insufficiente, proprio per il pagamento delle retribuzioni, così instaurando un rapporto di mandato.

3. Più in dettaglio può dirsi che anche nella presente controversia il primo motivo, attinente alla giurisdizione, è in rito ammissibile in quanto assistito da idonea formulazione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., ma nel merito è infondato essendo stata correttamente ritenuta sussistente la giurisdizione del giudice ordinario sia dalla Corte d’appello, in sede di impugnazione, che dal tribunale nel giudizio di primo grado.

3.1. Infatti nella specie va considerato che oggetto del giudizio non è una controversia di pubblico impiego tra dipendente ed amministrazione pubblica datrice di lavoro, bensì è una controversia tra due amministrazioni pubbliche delle quali una – il Comune di Cosenza – assume essersi l’altra – la Regione Calabria – obbligata a rimborsarle le somme erogate ai dipendenti di quest’ultima, addetti al servizio socio – psico – pedagogico. Il Comune ha fatto quindi valere un’ordinaria obbligazione pecuniaria di rimborso di somme erogate per conto della Regione, essendo stato a ciò autorizzato dalla Regione stessa; pretese retributive che conseguivano al fatto che con la L.R. 5 maggio 1990, n. 57, che ha regolato il servizio socio – psico – pedagogico in Calabria, il rapporto di convenzione degli operatori delle equipes socio – psico – pedagogiche era stato trasformato ope legis (L.R. 5 maggio 1990, n. 57, ex art. 5 cit.) in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il successivo L.R. 24 gennaio 1997, n. 2, art. 1 ha poi istituito, nell’ambito dei posti della dotazione organica complessiva del ruolo della Giunta regionale, un contingente ad esaurimento degli operatori delle equipes socio – psico – pedagogiche di cui alla L.R. 5 maggio 1990, n. 57, art. 5 cit..

La natura retributiva delle somme erogate dal Comune ai dipendenti della Regione addetti al servizio socio – psico – pedagogico (sul rapporto di impiego che si era instaurato, ai sensi della L.R. Calabria 5 maggio 1990, n. 57, art. 5, tra la Regione e gli operatori delle equipes socio – psico – pedagogiche, originariamente assunti in rapporto di convenzione ed utilizzati dai Comuni, v. ex plurimis Cons, Stato, sez. 4^, 2 dicembre 2000, n. 1770; cfr. anche Cass., sez. lav., 10 gennaio 2008, n. 277; Cass., sez. un., 7 marzo 2007, n. n. 5193) non vale a connotare di analoga natura l’obbligazione della Regione di rimborsare al Comune tali somme; talchè non viene in rilievo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego per il periodo precedente al 1 luglio 1998.

Si tratta invece di un ordinario rapporto obbligatorio, senza esercizio di poteri autoritativi, mentre sullo sfondo rimangono sia il rapporto di pubblico impiego tra gli addetti al servizio socio – psico – pedagogico e la Regione, sia la natura di servizio pubblico di quello istituito con la cit. L.R. 5 maggio 1990, n. 57, al quale erano addetti i percettori delle somme suddette.

Solo se si ritenesse che l’azione esercitata dal Comune fosse quella surrogatoria ex art. 2036 c.c., comma 3, in riferimento all’art. 1180 c.c., il secondo motivo avrebbe fondamento (a prescindere dalla fondatezza nel merito di una tale pretesa) perchè, in questa diversa prospettiva, il Comune avrebbe esercitato in surrogazione null’altro che i diritti dei dipendenti della Regione; ossia i crediti nascenti da un rapporto di pubblico impiego la cui cognizione era all’epoca (prima del 1 luglio 1998), devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Ma in realtà i giudici di merito – la Corte d’appello e prima ancora il Tribunale – hanno accertato, con valutazione in fatto non censurabile con ricorso per Cassazione in quanto assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria, che il Comune ha corrisposto le retribuzione agli addetti al servizio socio – psico – pedagogico perchè ha ritenuto di doverlo fare in ragione dei rapporti con la Regione che in precedenza aveva trasferito fondi (quand’anche insufficienti) al Comune proprio per il pagamento delle retribuzioni. Ed allora la fonte della pretesa del Comune sta in questo incarico (id est mandato) e si ha che il Comune ha pagato per conto della Regione quale mandatario della stessa.

Conseguentemente sussiste la giurisdizione del giudice ordinario perchè è questo rapporto di mandato che viene in rilievo.

3.2. Deve aggiungersi più in generale che una pretesa restitutoria non si può fondare soltanto sull’art. 1180 c.c. che, nel disciplinare l’adempimento del terzo, prevede che il creditore non possa rifiutarlo allorchè non abbia interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione e sempre che il debitore non gli abbia manifestato la sua opposizione. Ma non basta l’adempimento dell’obbligo ad opera del terzo a radicare un diritto di quest’ultimo alla restituzione della somma pagata; l’art. 1180 c.c. non lo prevede e la stessa giurisprudenza di questa Corte richiede un quid pluris risultante dai rapporti tra il terzo e l’originario debitore quale appunto un rapporto di mandato. Cfr. ex plurimis Cass., sez. 3^, 8 novembre 2007, n, 23292, che ha affermato che l’art. 1180 c.c. ha la funzione di assegnare al pagamento effettuato dal terzo effetto solutorio dell’obbligazione anche contro la volontà del creditore, ma non attribuisce all’adempiente un titolo che gli consenta di agire nei confronti del debitore allo scopo di ripetere la somma versata, essendo necessario, a tal fine, che sia allegato e dimostrato il rapporto sottostante tra terzo e debitore; ne consegue che, nel caso in cui sia escluso che tra questi esista un tale rapporto (e, comunque, non sia dimostrata l’esistenza di qualsiasi altra causa a sostegno dell’azione) il giudice non può accogliere la domanda in virtù della mera considerazione dell’avvenuto pagamento, ad opera del terzo, del debito altrui.

Peraltro, ove il rapporto sottostante sia quello di mandato, occorre che il terzo esegua il pagamento al creditore del mandante rispettando le condizioni del mandato (Cass., sez. 3^, 19 maggio 2004, n. 9472); altrimenti da una parte opera l’art. 1711 c.c., che prescrive che il mandatario non può discostarsi dalle istruzioni ricevute ed, ove egli ciò faccia, eccedendo i limiti del mandato, l’atto giuridico compiuto dal mandatario resta a suo carico (Cass., sez. 1^, 21 maggio 1981. n. 3325); d’altra parte si ricade allora nella mera fattispecie dell’adempimento dell’obbligo del terzo.

In mancanza di tale rapporto sottostante – quale quello di mandato – che dia fondamento all’obbligo restitutorio del debitore il cui debito sia stato adempiuto dal terzo, ovvero ove l’adempimento dell’obbligo ad opera del terzo sia avvenuto senza il rispetto degli obblighi nascenti dal rapporto sottostante, c’è, in favore dell’autore dell’adempimento, innanzi tutto l’effetto di cui all’art. 2036 c.c., comma 3, che prevede che chi abbia pagato il debito altrui e non possa ottenere la ripetizione dell’indebito soggettivo “subentra” nei diritti del creditore (sul regime dell’indebito in caso di adempimento dell’obbligo del terzo v. Cass., sez. 3^, 7 luglio 1980, n. 4340); così radicandosi una fattispecie di surrogazione legale ex art. 1203 c.c., n. 5 che vede l’autore dell’adempimento dell’obbligo del terzo azionare gli stessi diritti del creditore soddisfatto (anche se – secondo una risalente giurisprudenza: Cass., sez. 2^, 20 luglio 1976, n. 2872 non potrebbe avere il contenuto di un’azione di regresso). Quindi solo in questa evenienza l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario sollevata dalla Regione ricorrente avrebbe avuto fondamento perchè, ove la pretesa creditoria del Comune fosse stata qualificabile come di natura surrogatoria per essere il Comune subentrato nei diritti degli addetti al servizio socio – psico – pedagogico, dipendenti della Ragione, la materia del contendere avrebbe stata relativa a rapporti di impiego pubblico e quindi sarebbero in rilievo i consueti criteri di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo; evenienza questa che però nella specie non si è verificata in ragione del rilevato incarico della Regione al Comune di corrispondere le retribuzioni dovute.

Deve poi marginalmente aggiungersi che non può escludersi d’altra parte che una pretesa restitutoria del terzo che adempie l’obbligo altrui nei confronti del debitore possa alternativamente fondarsi, sussistendone gli ulteriori presupposti, anche sul regime dell’utile gestione di un affare altrui (art. 2028 c.c.), con conseguente obbligo di rimborso dell’interessato ex art. 2031 c.c., ovvero residualmente sul regime dell’azione generale di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c.. Ma nella specie – si ribadisce – i giudici di merito hanno accertato che il Comune, adempiendo gli obblighi retributivi della Regione nei confronti degli addetti al servizio socio – psico – pedagogico, ha agito in forza di un incarico della Regione stessa; quindi il Comune aveva titolo autonomo e diretto alla restituzione delle somme pagate in ragione del rapporto sottostante con la Regione e non agiva invece in surrogazione legale dei diritti dei dipendenti suddetti. Correttamente pertanto i giudici di merito hanno ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario.

3.3. In conclusione il primo motivo del ricorso va rigettato con affermazione del seguente principio di diritto: “E’ devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto la pretesa restitutoria di un Comune che, avendone avuto l’incarico dalla Regione e nel rispetto dei limiti dello stesso, abbia adempiuto agli obblighi di quest’ultima (art. 1180 c.c.) corrispondendo la retribuzione a dipendenti della Regione stessa, nella specie gli operatori delle equipes socio – psico – pedagogiche della regione Calabria, originariamente assunti in rapporto di convenzione, poi trasformato ope legis (L.R. Calabria 5 maggio 1990, n. 57, ex art. 5) in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con inserimento in ruolo (L.R. Calabria 24 gennaio 1997, n. 2, ex art. 1).

4. Il secondo ed il terzo motivo sono infondati.

La diversa qualificazione giuridica che il giudice da alla pretesa azionata non comporta alcuna modifica della domanda stessa, sicchè non può dirsi violato il principio del contraddittorio. nè il diritto di difesa della parte convenuta. Infatti non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice d’appello, il quale si limiti alla mera qualificazione giuridica della domanda, senza mutarne l’oggetto sussistendo sempre il potere – dovere del giudice di interpretare ed inquadrare correttamente la domanda nel corrispondente archetipo legale.

In proposito questa Corte (Cass., sez. 2^, 28 maggio 20.07, n. 12402) ha affermato che al giudice compete il potere – dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire, anche in difformità rispetto alla qualificazione della fattispecie operata dalle parti, il nomen iuris, al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il giudice stesso può interpretare il titolo su cui si fonda la controversia e anche applicare una norma di legge diversa da quella invocata dalla parte interessata, sicchè non sussiste il vizio di ultrapetizione ove rimangano inalterati sia il petitum che la causa petendi (cfr. anche Cass., sez. 1^, 12 aprile 2006, n. 8519).

5. Con il quarto ed il quinto motivo la Regione ricorrente deduce il comportamento del Comune come eccedente dai limiti del mandato e contesta che la documentazione versata in causa dal Comune fosse idonea a dimostrare la fondatezza della pretesa azionata dal Comune stesso. La ricorrente sostiene in particolare che il Comune era autorizzato a pagare le retribuzioni solo nei limiti delle somme stanziate e non già di quanto effettivamente spettante ai dipendenti.

Si tratta all’evidenza di una censura non di diritto, ma di fatto, perchè attiene all’accertamento e alla valutazione delle circostanze (di fatto, appunto) allegate a presupposto della fondatezza della domanda. Quindi la censura è riconducibile al caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sicchè opera la prescrizione dell’art. 366 bis c.p.p. nella parte in cui prevede che in tal caso l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Nella specie però la censura della ricorrente è inammissibile perchè quella operata dalla Corte d’appello – confermativa di quella del tribunale – è una tipica valutazione di merito assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria; in particolare dalla documentazione citata in sentenza emerge che il Comune era incaricato di erogare ai dipendenti le somme che a tal fine la Regione gli trasferiva, non risultando invece che ciò gli fosse interdetto in mancanza di provvista sufficiente.

6. Con il sesto motivo la ricorrente contesta la ritenuta inammissibilità dell’eccezione di prescrizione.

Il motivo è inammissibile perchè il quesito di diritto formulato dalla ricorrente è generico (“dica la Corte se sia intervenuta prescrizione del diritto di credito nella cui azione il Comune si è surrogato…”), nonchè inidoneo in riferimento al decisum della sentenza impugnata; non senza considerare che – come sopra rilevato – l’azione esercitata dal Comune non può qualificarsi come surrogatoria bensì ha natura restitutoria e quindi è inconferente il riferimento che la ricorrente fa alla prescrizione dei crediti di lavoro.

7. Pertanto – affermata la giurisdizione del giudice ordinario – il ricorso nel suo complesso va rigettato.

Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; compensa tra le parti le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2010

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