Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5027 del 28/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/02/2017, (ud. 10/11/2016, dep.28/02/2017),  n. 5027

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19342-2015 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20,

presso lo studio dell’avvocato NICOLA STANISCIA, che lo rappresenta

e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5113/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito l’Avvocato NICOLA STANISCIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS PIERFELICE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 2000, F.G. convenne in giudizio la Intesa Sanpaolo S.p.a. (già Sanpaolo IMI S.p.a.), per sentirla condannare alla restituzione della somma di Lire 2.913.557, oltre rivalutazione ed interessi, nonchè al pagamento di Lire 1.500.000 quale rimborso delle spese procuratorie per l’estinta procedura esecutiva ed al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata.

Espose di aver chiesto, con atto di precetto del 1996, all’allora Istituto Bancario San Paolo di Torino il pagamento della somma di Lire 850.000 che gli era stata assegnata dal pretore di Roma. Ma la banca aveva proposto opposizione al precetto in quanto sottoscritto dal procuratore sfornito di valida procura. Il Giudice di Pace adito, con sentenza del 1997, aveva, pertanto, dichiarato la nullità dell’atto di precetto ritenendo che il F. non avesse fornito la prova che la procura alle liti fosse stata rilasciata a margine dell’atto di precetto o su altro scritto difensivo richiamato nell’atto e lo aveva condannato anche alle spese di lite, quantificate in Lire 1.250.000. Aggiunse anche che la Suprema Corte nel 1999 aveva cassato senza rinvio la suddetta sentenza per inammissibilità dell’opposizione agli atti esecutivi, proposta oltre il termine di cinque giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Nelle more del giudizio di cassazione, la Banca aveva proceduto all’esecuzione forzata in danno del F., il quale, per evitare il pignoramento, aveva effettuato pagamento di Lire 2.913.557; inoltre in forza della medesima sentenza del Giudice di Pace di Roma, ancorchè non passata in giudicato, Sanpaolo Imi aveva ottenuto l’estinzione della procedura esecutiva promossa dal F. nei confronti dell’Istituto bancario nel 1996.

Si costituì la SanPaolo IMI S.p.a., contestando l’ammissibilità e la fondatezza della domanda attorea e chiedendone il rigetto.

Nel 2002, la Banca provvide banco iudicis al pagamento in favore del signor F. di Euro 1.726,80, pari a Lire 3.343.551.

Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 26983/2005, dichiarò il difetto di interesse ad agire relativamente alla domanda di restituzione, perchè soddisfatta in corso di causa, e respinse la domanda di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., nonchè la domanda restitutoria avente ad oggetto l’importo pagato dal F. al proprio difensore relativamente alla procedura esecutiva del 1996, dichiarata estinta a seguito della sentenza del Giudice di Pace di Roma. Compensò infine le spese di lite.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 5113 del 31 luglio 2014.

In particolare, secondo la Corte, non spettava il rimborso della somma di Lire 1.500.000 a titolo di spese procuratorie, sostenute nella procedura esecutiva poi estinta, non essendo stato fornito dal F. alcun elemento di prova dell’avvenuto pagamento di tali spese.

Quanto alla regolamentazione delle spese di lite, il giudice dell’appello ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente proceduto alla compensazione, considerando, a fronte della ragione di merito favorevole a F., il mancato accoglimento della pretesa dei maggiori accessori sul capitale dovuto degli altri capi della domanda.

Sicchè non può ritenersi in concreto violato il disposto dell’art. 91 c.p.c., in base al quale si deve escludere che la parte che abbia visto solo in parte la domanda possa essere gravata delle spese della controparte e non che il giudice possa disporre la compensazione delle spese del giudizio.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione F.G., sulla base di due motivi.

3.1. La Banca intimata non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la “violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riguardo agli artt. 115 e 116 c.p.c. – al R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60, comma 5, integrato dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 4 – art. 697 c.c.”.

La Corte di appello avrebbe omesso di valutare una circostanza determinante costituita dagli atti di precetto e di pignoramento relativi alla procedura esecutiva poi dichiarata estinta, prodotti dal F. sin dal primo grado, dai quali risulterebbe l’attività professionale svolta in tale procedura in favore del F., nonchè la quantificazione delle spese sostenute e dei diritti procuratori spettanti come da tariffa professionale.

La Corte avrebbe così violato il principio di inderogabilità dei minimi di legge previsti per la remunerazione dell’attività professionale ed il principio in base al quale il diritto al pagamento dell’attività professionale – seppure nel limite dei minimi di legge – deriva dalla prova, ex art. 2697 c.c. del concreto svolgimento della prestazione in ragione della natura presuntivamente onerosa del mandato alle liti.

Inoltre la Corte avrebbe omesso di valutare la richiesta di pagamento, inoltrata dal procuratore del signor F. al medesimo, in ordine all’attività svolta nella procedura esecutiva poi dichiarata estinta, presente nel fascicolo di primo grado.

Il motivo è infondato.

Infatti, dai documenti prodotti, non si evince che il signor F. abbia realmente sostenuto l’esborso di cui chiede la restituzione. In mancanza di una fattura, di una quietanza di pagamento, della copia di un assegno o di una ricevuta di bonifico, non sono determinanti in tal senso nè la quantificazione delle competenze contenuta negli atti di precetto, nè la richiesta di pagamento rivolta al F. dal legale che l’aveva assistito nella procedura esecutiva poi dichiarata estinta.

4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riguardo agli artt. 91 e ss..

La pronuncia impugnata avrebbe erroneamente valutato il diritto alla liquidazione delle spese di lite di primo grado in ragione dei capi della domanda proposta dall’attore, e quindi in base alla soccombenza effettiva, anzichè sulla base del principio di soccombenza virtuale.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, invece, in caso di cessazione della materia del contendere, il giudice adito dovrebbe valutare la liquidazione delle spese solo in base al principio della soccombenza virtuale ex art. 91 c.p.c..

Il ricorrente si vedrebbe quindi ingiustamente onerato del pagamento confronti del proprio patrocinatore di una somma (a titolo di spese per il primo grado del giudizio di ripetizione di indebito, per il secondo grado dello stesso giudizio e per le spese di cui alla procedura esecutiva estinta) che sarebbe superiore a quanto percepito a titolo di indebito.

Con la conseguenza che per lo stesso ricorrente sarebbe stato più vantaggioso rinunciare al proprio diritto di riavere indietro quanto ingiustamente pagato piuttosto che incardinare, pur vittoriosamente, il giudizio di primo grado.

Il motivo è infondato.

In materia di spese giudiziali, in presenza di una pronuncia di cessata materia del contendere, la operatività del principio della soccombenza virtuale non esclude la regola della compensazione delle spese, in aggiunta a quella della condanna alle stesse. Il principio predetto comporta solo l’obbligo di giudicare sulle spese secondo le regole di ripartizione stabilite dagli artt. 91 e ss. c.p.c. (Cass. n. 2215/2015; Cass. n. 2149/2014; Cass. n. 21684/2013)

5. In considerazione del fatto che gli intimati non hanno svolto attività difensiva non occorre provvedere sulle spese.

6. Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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