Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5026 del 28/02/2017

Cassazione civile, sez. III, 28/02/2017, (ud. 10/11/2016, dep.28/02/2017),  n. 5026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16316-2014 proposto da:

S.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIANGIACOMO

PORRO, 8, presso lo studio dell’avvocato ANSELMO CARLEVARO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO PONZONE giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE PASCHI SIENA SPA, in persona del Rag. C.V.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BOSIO 2, presso lo

studio dell’avvocato MASSIMO LUCONI, che la rappresenta e difende

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3051/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 19/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito l’Avvocato ANSELMO CARLEVARO;

udito l’Avvocato MASSIMO LUCONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS PIERFELICE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 2006, S.N. convenne in giudizio la Banca Antoniana Popolare Veneta S.p.a., esponendo di aver pagato alla convenuta la somma di Lire 300.000.000 per la definizione della posizione debitoria della Molino Marocco S.a.s.. Aggiunse anche che contestualmente gli era stato ceduto il credito della Banca e si era surrogato nella relativa posizione creditoria e che in seguito al fallimento della Molino Marocco S.a.s., la Banca era stata indebitamente ammessa al passivo ed aveva ricevuto la somma di Euro 234.607,04.

Chiedeva quindi che la Banca fosse condannata a restituirgli quanto dovuto.

Si costituì la Banca Antoniana Popolare Veneta S.p.a., chiedendo il rigetto della pretesa attorea in quanto il pagamento era stato fatto dallo S. per conto della società fallita e con il denaro della stessa.

Il Tribunale di Padova, con la sentenza n. 1612/2007, rigettò la domanda rilevando che la controversia avrebbe dovuto essere portata dinanzi al Tribunale Fallimentare, in quanto lo S. avrebbe dovuto chiedere la revoca dell’ammissione al passivo fallimentare del credito della banca; che risultava in atti che il pagamento della somma di Lire 300.000.000 era stato oggetto di revocatoria da parte del fallimento Molino Marocco S.a.s.; che il pagamento era stato effettivamente revocato perchè fatto dall’attore con il denaro della fallita; che quindi S.N. avrebbe dovuto agire nei confronti del fallimento.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 3051 del 19 dicembre 2013.

Secondo la Corte, la circostanza che il versamento della somma di Lire 300.000.000 sia stato effettuato dallo S. con denaro della Molino Marocco risulta dagli accertamenti condotti dalla curatela fallimentare depositati agli atti del giudizio, nonchè dall’assenza di qualsiasi prova di segno contrario offerta dal medesimo S..

Di conseguenza, difetterebbe in radice sia la possibilità di parlare di cessione del credito che di surrogazione ad opera della banca, la quale, peraltro, aveva restituito alla curatela fallimentare quanto ricevuto, onde evitare la prospettata azione revocatoria.

Non sarebbe quindi condivisibile l’affermazione del Tribunale secondo cui l’appellante avrebbe dovuto agire in sede fallimentare.

Nel merito, lo S. difetta di legittimazione ad agire, poichè risulta aver pagato il debito verso la Banca con denaro del debitore Molino Marocco S.a.s.

E, comunque, ove avesse potuto dimostrare l’intervenuta cessione del credito, avrebbe dovuto agire nei confronti del fallimento ai sensi dell’art. 1264 c.c., essendo documentato che la società era a conoscenza dell’avvenuto pagamento del debito alla Banca.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.N., sulla base di sei motivi, per ognuno dei quali chiede che la Cassazione decida nel merito.

3.1. Resiste con controricorso la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. (incorporante la Banca Antonveneta S.p.a., già Banca Popolare Antoniana Veneta S.p.a.).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la “violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5).

Circa la liquidazione delle spese di lite nella impugnata sentenza”.

La Corte di appello di Venezia, pur avendo accolto un motivo di doglianza dello S., censurando la sentenza del Tribunale di Padova relativamente all’individuazione della competenza funzionale del Tribunale fallimentare, erroneamente non avrebbe proceduto, neppure parzialmente, alla compensazione delle spese di lite del primo e del secondo grado di giudizio.

Il motivo è inammissibile.

E’ principio costantemente affermato da questa Corte che “in tema di regolamento delle spese processuali, la relativa statuizione è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 cod. proc. civ., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa. La valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra, invece, nei poteri discrezionali del giudice di merito” (Cass. S.U. n. 11137/2016).

D’altra parte, nella specie, non è in alcun modo individuabile una domanda della Banca su cui la stessa sia da considerare soccombente.

In assenza di reciproca soccombenza, quindi, correttamente la Corte di Appello di Venezia ha condannato alle spese l’odierno ricorrente ai sensi dell’art. 91 c.p.c..

4.2. Con il secondo motivo, rubricato “violazione dell’art. 1260 e ss. c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – Conclusione di un contratto tra il signor S. e la Banca Antonveneta di cessione dei crediti vantati dalla Banca nei confronti della Molino Marocco S.a.s.”, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in ordine all’interpretazione e risoluzione del contratto tra le parti, in ordine alla portata delle dichiarazioni di un falsus procurator, con riferimento agli obblighi di cui all’art. 1391, ed in ordine al principio di lealtà contrattuale. Inoltre, il ricorrente impugna la sentenza per omesso esame di un fatto decisivo della controversia e per grave omissione e contraddittorietà della motivazione.

Infatti sarebbe dimostrato per tabulas che S. avrebbe versato a titolo personale l’importo di Lire 300.000.000, a saldo e stralcio dell’esposizione debitoria della società Molino Marocco rendendosi nel contempo cessionario del credito vantato dalla Banca nei confronti della medesima società. Ciò risulterebbe da una comunicazione dell’istituto di credito indirizzata al cessionario ed al debitore ceduto contestuale al versamento della somma, nella quale la Banca darebbe atto della cessione dei crediti.

La dichiarazione della Banca contenuta in tale comunicazione avrebbe efficacia traslativa del credito ai sensi dell’art. 1260 c.c. e il contratto si sarebbe concluso con l’incameramento, da parte della banca, del prezzo della cessione, con regolare quietanza contenuta nella medesima comunicazione.

La Banca avrebbe risolto unilateralmente il contratto sulla base di una indimostrata non proprietà del denaro da parte del cessionario, senza un previo giudizio per accertare la risoluzione del contratto in essere tra le parti, effettuando poi una conveniente risoluzione stragiudiziale con la procedura fallimentare, dalla quale ha ricevuto riparti per complessivi Euro 234.607,04.

Del resto le argomentazioni della Banca volte a sostenere che il pagamento sarebbe avvenuto per conto della Molino Marocco, in base ad una distinta di versamento della Banca e una dichiarazione compilata dalla banca e sottoscritta dal ricorrente, sarebbero inidonee a smentire l’esistenza di una cessione di crediti in quanto il tenore della comunicazione della Banca sarebbe inequivoco e lo S. non aveva nessuna carica nella società, nè aveva alcuna procura che lo legittimasse ad eseguire operazioni sui conti correnti della stessa.

Se il Curatore avesse potuto provare che il signor S. aveva effettuato l’acquisto del credito con denaro della Molino Marocco, ciò sarebbe risultato nel procedimento penale nei confronti degli amministratori della società.

La Corte di Appello avrebbe completamente omesso l’esame di tale ultima questione.

4.3. Con il terzo motivo si duole della “violazione dell’art. 1201 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5). – La configurazione del pagamento da parte dello S. alla Banca quale pagamento per surrogazione”.

Lo S. lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto per non aver il giudice del merito applicato alla fattispecie l’art. 1201 c.c. ed impugna la sentenza per non aver effettuato alcun esame in ordine a tale fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti.

La fattispecie sarebbe comunque sussumibile nel diverso istituto della surrogazione per volontà del creditore originario, espressa con la comunicazione contestuale al pagamento da parte dello S..

4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 1325 c.c., n. 2 e degli artt. 1426 e ss. c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5). – Nullità del contratto tra lo S. e la Banca per mancanza di causa. In ogni caso, annullabilità del contratto in quanto il pagamento sarebbe avvenuto per induzione in errore dello S. a seguito di un comportamento illegittimo di quest’ultima”.

Se dovesse ritenersi non realizzata nè una cessione del credito, nè una surrogazione dello S. alla Banca creditrice, allora il pagamento dell’importo sarebbe avvenuto senza causa o per effetto di un comportamento illegittimo della medesima banca che avrebbe indotto in errore il ricorrente dichiarando espressamente di ricevere la somma a fronte della cessione dei crediti pregressi.

La Corte di Appello avrebbe omesso qualsiasi motivazione al riguardo.

4.5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 1453 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5). – Risoluzione per inadempimento”.

Accertato e valutato il grave inadempimento della Banca appellata al contratto sottoscritto con B., il giudice del merito avrebbe dovuto dichiarare risolto il contratto condannando la Banca alla restituzione degli importi incamerati nonchè al risarcimento del danno conseguente.

In analogo giudizio introdotto dal B., il Tribunale di Torino avrebbe accolto la domanda, dichiarando risolto il contratto e condannando la Banca alla restituzione della somma versata in virtù di un contratto di cessione.

Tale sentenza sarebbe stata allegata agli atti del giudizio, ma la Corte, come già prima il Tribunale, avrebbe completamente omesso di pronunciarsi sulla questione.

Il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo possono essere congiuntamente esaminati.

I motivi sono infondati.

Il nucleo centrale della decisione della Corte di appello consiste nell’accertamento, in base alla documentazione prodotta dalla Banca (ovvero le comunicazioni provenienti da un soggetto terzo rispetto alle parti) ed alla mancanza di prove di segno contrario, che il versamento di Lire 300.000.000, a saldo e stralcio del debito della Molino Marocco S.a.s. è stato effettuato con denaro della medesima società debitrice.

Un simile accertamento è incensurabile in questa sede posto che “il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che, nella formulazione applicabile ratione temporis, attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. n. 11892/2016).

D’altra parte, il ricorrente nemmeno riporta le difese nelle quali avrebbe dato conto delle questioni che la Corte avrebbe asseritamente omesso di esaminare e che avrebbero dovuto portarla a ritenere che il pagamento della somma di Lire 300.000.000 sarebbe avvenuto a titolo personale.

Nè viene trascritto il contenuto degli atti processuali penali che sarebbero stati messi a disposizione della Corte di Appello di Venezia e che avrebbero dovuto determinarla diversamente (non risultando indicata neppure la sede in cui tali documenti sarebbero stati prodotti).

E’ quindi precluso a questa Corte verificare se le suddette questioni abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e tanto più se le stesse abbiano effettivamente carattere decisivo per la controversia).

Peraltro, non sussiste il vizio di omesso esame di un fatto decisivo allorchè risulti che il giudice di merito non abbia affatto omesso di esaminare il “fatto” di cui la parte ricorrente lamenta la pretermissione, avendo invero dichiarato di avere raggiunto il proprio convincimento a tale riguardo sulla scorta degli argomenti e delle prove addotte dalla controparte (Cass. n. 15255/2016).

Pertanto, dopo l’accertamento della provenienza dal patrimonio della Molino Marocco delle somme versate dallo S. alla Banca, correttamente la Corte di appello ha ritenuto di dover escludere, in radice, l’applicabilità alla fattispecie delle norme in tema di cessione del credito, nonchè in tema di surrogazione.

Si osserva poi che la censura di omesso esame di un fatto da parte del giudice del merito è inammissibile laddove, con il mezzo, non si individua un fatto nell’accezione rilevante di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, quanto piuttosto una questione di diritto, quali sono quelle relative alla nullità del contratto asseritamente concluso dal signor S. con la Banca, ovvero della sua annullabilità per errore determinante o ancora la richiesta di risoluzione del medesimo contratto

Le censure svolte dal ricorrente relativamente alle suddette questioni appaiono pertanto riconducibili, piuttosto, al vizio di omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c..

E’ pacifico che il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurabile solo quando questi abbia completamente omesso l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado, mentre non ricorre nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda (Cass. n. 23417/2015).

Nella specie, l’accertamento che fonda la decisione (ovvero la provenienza dal patrimonio della Molino Marocco delle somme versate dallo S. alla Banca), e la conseguente conclusione che il ricorrente avrebbe semplicemente pagato il debito della società verso la Banca per conto della stessa società, risultano logicamente incompatibili con la stessa configurabilità di un contratto tra lo S. personalmente e la Banca.

Pertanto, il giudice del merito accogliendo la suddetta costruzione logico-giuridica, ha implicitamente disatteso i motivi di appello con cui il ricorrente censurava la validità di un simile contratto o ne chiedeva la risoluzione.

4.6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta la “omessa motivazione in ordine alla liquidazione delle spese di lite in una fattispecie controversa con violazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5”.

La sentenza ha omesso di motivare la condanna alle spese sia in punto di an che in punto di quantum debeatur.

Inoltre, la condanna alle spese sarebbe erronea vista la complessità della materia, su cui vi sarebbero decisioni giurisprudenziali contrastanti.

Il motivo è inammissibile.

Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che “in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione” (Cass. civ. Sez. Unite, 15/07/2005, n. 14989).

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

6. Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

Il la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 8.200,00 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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