Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5026 del 16/02/2022

Cassazione civile sez. II, 16/02/2022, (ud. 14/12/2021, dep. 16/02/2022), n.5026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14703/2017 proposto da:

Officina Meccanica C. srl, rappresentata e difesa dall’avv.

Eliana Marta Cazzaniga;

– ricorrente –

contro

Ditta Individuale E. Impianti di A.E., rappresentata e

difesa dagli avv.ti Raffaella Maria Colombo, e Paolo Migliaccio;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano depositata il

27.1.2017;

Udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Lorenzo

Orilia.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 27.1.2017, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla Ditta Individuale E. Impianti contro la sentenza di primo grado (n. 944/2013 del Tribunale di Monza), ha respinto la domanda di risarcimento danni contro di essa proposta dalla Officina Meccanica C. srl per l’omessa riparazione di uno scambiatore venduto nel 2007 e coperto da garanzia per 10 anni sulla struttura (carburo di silicio).

Per giungere a tale conclusione, la Corte di merito ha rilevato, per quanto di stretto interesse in questa sede:

– che, come risultava dalla documentazione in atti (in specie, dall’ordine del 13.3.2007), la garanzia decennale era limitata al carburo di silicio e nel contempo da parte acquirente veniva assunta specifica garanzia che il liquido a base di cromo e fluoruri utilizzato avrebbe avuto la concentrazione massima di 600 G/LT;

– che non risultava né provato né dedotto un utilizzo da parte della C. nelle proprie lavorazioni del liquido a base di cromo e fluoruri con la massima concentrazione riportata nell’ordine già menzionata;

– che parimenti era infondata la domanda di rimborso dei costi per le riparazioni allo scambiatore eseguite da terzi nell’agosto 2011 o per i danni derivanti dal malfunzionamento, a nulla valendo le deposizioni dei testi escussi in primo grado, prive di univocità e di attendibilità.

2 Contro tale sentenza la società C. ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi contrastati con controricorso dalla Sandretto.

In prossimità dell’adunanza, la ricorrente ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Col primo motivo, si denunzia violazione dell’art. 342 c.p.c., per avere la Corte d’Appello omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità del gravame per difetto di specificità dei motivi, sollevata con la comparsa di costituzione in appello.

Il motivo è infondato perché, come ripetutamente affermato da questa Corte, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (tra le varie, cfr. Sez. 2, Ordinanza n. 20718 del 13/08/2018 Rv. 650016; Sez. 1, Sentenza n. 17956 del 11/09/2015 v. 636771).

Nel caso di specie, avendo la Corte d’Appello esaminato il gravame nel merito, evidentemente lo ha ritenuto conforme ai requisiti di specificità, così implicitamente rigettando l’eccezione.

La decisione deve ritenersi corretta perché gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (cfr. Sez. U., Sentenza n. 27199 del 16/11/2017 Rv. 645991; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 40560 del 17/12/2021).

E ancora, ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, non essendo necessaria l’allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (cfr. Sez. 2 -, Ordinanza n. 23781 del 28/10/2020 Rv. 659392).

Nel caso in esame, con i motivi di appello ci si doleva del fatto che il primo giudice avesse travisato le circostanze di causa, avendo omesso di considerare una serie di fatti ritenuti pacifici che avrebbero comportato l’accoglimento della propria domanda riconvenzionale (cfr. pagg. 6 e ss. della sentenza impugnata che riporta espressamente le censure).

Del resto, secondo un principio generale al quale il Collegio intende dare continuità le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un’ipotesi residuale (cfr. Cass. S.U. 27199/2017 cit., in motivazione).

2 Col secondo motivo, si deduce violazione la violazione degli artt. 1512,1495 c.c. e art. 115 c.p.c., per omessa o non corretta valutazione della prova (sussistenza dei presupposti per la garanzia decennale e per il buon funzionamento dello scambiatore e per omessa e/o non corretta valutazione delle prove per testi). Secondo la ricorrente, la Corte di merito non avrebbe considerato che la garanzia decennale riguardava proprio la struttura dello scambiatore, realizzato in carburo di silicio ed ha malamente interpretato le deposizioni dei testi.

Il motivo è infondato.

Come costantemente affermato da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. tra le tante, Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549; Sez. 1 -, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017 Rv. 645538; Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016 Rv. 638425).

Quanto al vizio di violazione dell’art. 115 c.p.c., le sezioni unite hanno di recente chiarito che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (cfr. Sez. U., Sentenza n. 20867 del 30/09/2020 Rv. 659037).

Nel caso di specie, come si vede, non ricorre né la violazione di norme di diritto sostanziale (erronea ricognizione di fattispecie astratta), né la violazione dell’art. 115 c.p.c. (decisione basata su prove non introdotte dalle parti, ma disposte dal giudice di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli).

Ed infatti, premesso che le “affermazioni” riportate nel motivo a pagg.19 e 20 ed attribuite alla Corte di merito (“la Corte d’Appello di Milano, Sezione III, nella impugnata sentenza, alla pagina 7, afferma….”) sono della parte appellante e non certo della Corte di merito (trattandosi in effetti – come peraltro rileva anche il controricorso a pag. 13 – della mera riproduzione dei motivi di appello contenuti nella sentenza), la censura si risolve in una alternativa ricostruzione del fatto (oggetto e limiti della garanzia di buon funzionamento del dispositivo) su cui però la Corte di merito si è espressa, sottolineando, attraverso una ratio decisiva e non specificamente censurata, che la garanzia decennale presupponeva anche un preciso impegno dell’acquirente ad usare liquidi a base di cromo e fluoruri con massima concentrazione, impegno che nel caso di specie non risultava provato (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).

Inammissibile è poi la doglianza sulla valutazione delle risultanze della prova testimoniale perché in tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. E’, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice. (cfr. al riguardo Sez. 2 -, Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019 Rv. 655229; Sez. L, Sentenza n. 13054 del 10/06/2014 Rv. 631274; Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004 Rv. 569765).

3 Col terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione degli artt. 2222 e 1453 c.c., art. 115 c.p.c. e omessa valutazione delle prove, con riferimento al mancato riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni per la omessa esecuzione della prestazione d’opera (riparazione dello scambiatore).

Il motivo è infondato perché si risolve in una alternativa ricostruzione dei fatti e delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito, non consentita nel giudizio di legittimità, in ossequio al principio citato nella trattazione del precedente motivo.

4 Col quarto ed ultimo motivo, la ricorrente denunzia violazione degli artt. 246,183 e 115 c.p.c., nonché omessa valutazione della prova, “inammissibilità dichiarata e non sussistente del teste V.M. ed erronea omessa considerazione della sua deposizione, valutata illegittimamente inattendibile, solo perché erroneamente ritenuta inammissibile”.

Il motivo è inammissibile.

Premesso che ancora una volta la società ricorrente (v. pag. 27) confonde la parte narrativa della sentenza impugnata (dedicata alla mera riproduzione del motivo di gravame: v. pag. 8 sentenza) con le argomentazioni del giudice di appello (e lo rileva ancora una volta anche il controricorso a pag. 19), rileva il Collegio che il motivo non coglie la ratio decidendi perché la Corte di merito, lungi dal ravvisare una incapacità a testimoniare dei testi addotti dalla società attrice in primo grado, ha ritenuto invece l’inattendibilità degli stessi (v. pagg. 10 e 11 della sentenza), nel pieno esercizio delle sue prerogative perché, come è noto, la verifica in ordine all’attendibilità del teste – che afferisce alla veridicità della deposizione resa dallo stesso – forma oggetto di una valutazione discrezionale che il giudice di merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 7623 del 18/04/2016 Rv. 639500).

Ed è altrettanto nota la differenza tra l’incapacità a testimoniare e l’inattendibilità del teste: come più volte affermato da questa Corte, la capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull’attendibilità del teste, operando le stesse su piani diversi, atteso che l’una, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., dipende dalla presenza di un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità. (cfr. tra le tante, Sez. 2 Ordinanza n. 21239 del 09/08/2019 Rv. 655201; Sez. 3, Sentenza n. 7763 del 30/03/2010 Rv. 612273).

Fuori luogo è infine il richiamo alla violazione dell’art. 115 c.p.c. (e al riguardo vale il principio affermato dalle Sezioni Unite e richiamato nella trattazione del secondo motivo).

In conclusione, il ricorso va respinto con inevitabile addebito di spese a carico della parte soccombente.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

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