Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5025 del 28/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/02/2017, (ud. 10/11/2016, dep.28/02/2017),  n. 5025

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14964-2014 proposto da:

VOLVO CAR ITALIA SPA, in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione e legale rappresentante Dott. C.M.,

elettivamente domiciliata in ROMA, V. TRIONFALE 5697, presso lo

studio dell’avvocato DOMENICO BATTISTA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARIA GRAZIA VASSALLO giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CESARMECCANICA SRL, in persona dell’Amministratore Unico e legale

rappresentante pro tempore, CE.MA., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MONTE DELLE GIOIE 13, presso lo studio

dell’avvocato CAROLINA VALENSISE, rappresentata e difesa

dall’avvocato DOMENICO BORGHESI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 696/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito l’Avvocato MARIA GRAZIA VASSALLO;

udito l’Avvocato DOMENICO BORGHESI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS PIERFELICE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 1998, Cesarmeccanica S.r.l. convenne in giudizio Volvo Auto Italia S.p.a. esponendo di aver concluso con la società convenuta un contratto di concessionaria e che, con lettera di diffida del 15 aprile 1996, la Volvo Auto Italia l’aveva invitata a provvedere, entro trenta giorni, alla ricapitalizzazione della società in misura adeguata, nonchè al trasferimento in locali idonei all’attività di concessionaria, dato che l’immobile del quale la Caesarmeccanica faceva uso non risultava più adeguato, informando l’attrice che, in caso di mancata ottemperanza a tali richieste, il contratto sarebbe stato ritenuto risolto senza ulteriore avviso. Aggiunse anche che la Volvo Auto Italia, non avendo ritenuti idonei allo scopo altri locali reperiti dalla Caesarmeccanica aveva ribadito la risoluzione del contratto.

Chiese quindi che il Tribunale dichiarasse l’illegittimità di tale risoluzione.

Si costituì la Volvo Auto Italia S.p.a., ribadendo la legittimità della risoluzione disposta ai sensi degli artt. 5 e 32 del contratto di concessionaria.

Il Tribunale di Bologna, con la sentenza n. 981/2001, in accoglimento della domanda della Cesarmeccanica dichiarò l’illegittimità della risoluzione del contratto, condannando la Volvo Auto Italia al pagamento delle spese processuali. Decisione confermata anche dalla Corte d’Appello di Bologna, con sentenza n. 704/2006, secondo cui risultava evidente che la Volvo Auto Italia avesse invocato la risoluzione del contratto non sulla base di inadempimenti attuali, ma solo futuri ed eventuali, mentre le ipotesi previste nel contratto di concessione, legittimanti una risoluzione anticipata dello stesso si riferivano solo ad inadempimenti presenti. Avverso tale sentenza propose ricorso per cassazione la Volvo Auto, articolando vari motivi. In particolare, deduceva la violazione degli artt. 83, 125 e 126 c.p.c. in relazione alla ritenuta nullità della procura apposta in calce alla comparsa conclusionale della medesima Volvo Auto Italia, per illeggibilità della firma, in base alla quale la Corte di Appello di Bologna non aveva tenuto conto, nella decisione, della comparsa conclusionale e della memoria di replica depositata dai due nuovi difensori.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17693 del 29 agosto 2011, ritenne fondato il ricorso sul punto e dichiarò assorbiti i restanti motivi.

2. Con sentenza n. 696 del 6 marzo 2014, la Corte di Appello di Bologna, investita del giudizio di rinvio, ha rigettato l’appello proposto da Volvo Auto Italia, confermando integralmente la sentenza di primo grado.

Secondo la Corte, il Tribunale ha correttamente ritenuto insussistenti, al momento della risoluzione del contratto, l’esistenza e l’attualità dei presupposti che avrebbero reso inidonei i locali destinati all’attività di concessionaria.

Dalla realtà dei fatti, come documentata in giudizio, risulta evidente che l’appellante invocava la risoluzione del contratto non sulla base di inadempimenti già verificatisi, ma sul presupposto, futuro e tutto da verificare che, al termine dei lavori intrapresi nell’immobile, sarebbero derivati pregiudizi al regolare svolgimento dell’attività.

Tale presupposto poteva giustificare una diffida atta a prevenire una simile ipotizzata situazione pregiudizievole, ma non trovava riscontro in un adempimento contrattuale, concreto ed attuale, legittimante un’intimazione a reperire immediatamente altri locali pena la risoluzione del contratto. E i casi previsti dall’art. 35 del contratto di concessione, atti a legittimare una risoluzione anticipata, si riferiscono chiaramente ad inadempimenti in essere e non a previsioni future.

Per il giudice di seconde cure, poi, non sussisteva alcuna valida ragione per il rifiuto, da parte della Volvo Auto Italia, del consenso allo spostamento dei locali della concessionaria nel nuovo immobile.

Al riguardo, appare corretta l’argomentazione del Tribunale, riscontrabile dall’esame della documentazione, secondo cui tale nuovo immobile aveva la metratura necessaria, prevista dalla stessa Volvo Auto Italia nel programma di sviluppo concessionari.

Nè poteva rilevare la circostanza che l’immobile sarebbe stato inidoneo sotto il profilo della destinazione urbanistica, poichè l’immobile era ubicato in zona commerciale ove erano operanti anche altre concessionarie auto ed il Piano Regolatore, attesa la destinazione dell’area a “piccola industria – artigianato – attività terziarie”, prevedeva espressamente la possibilità di mutamento di destinazione d’uso, sicchè la regolarizzazione dell’immobile non consisteva un ostacolo, tanto che è stata effettivamente concessa, sia pure dopo la risoluzione del contratto da parte della Volvo Auto Italia.

Inoltre, correttamente il Tribunale ha ritenuto che la richiesta di ricapitalizzazione di Cesarmeccanica avanzata da Volvo Auto Italia fosse pretestuosa, non essendo stato specificato il motivo di tale richiesta nella lettera di diffida.

Peraltro, l’appellante non ha indicato motivi specifici di criticità, mentre risulta provato un quadro complessivo di buona tenuta economico-finanziaria, risultando cespiti aziendali di rilevante valore economico, appropriate garanzie bancarie ed immissione di liquidità da parte dei soci, segnalata alla Volvo Auto Italia, con disponibilità, da parte dei medesimi soci, ad effettuare ulteriori finanziamenti. La cessione dell’immobile al Ministero della Giustizia avrebbe poi comportato una immissione di consistente liquidità.

Infine, dall’art. 34 del contratto di concessione risulta che i casi previsti per la risoluzione anticipata del contratto non contemplano la necessità di ricapitalizzazione.

3. Avverso tale decisione, propone ricorso per Cassazione, sulla base di nove motivi, Volvo Car Italia S.p.a. (già Volvo Auto Italia S.p.a.).

3.1. Resiste con controricorso la Cesarmeccanica S.r.l., la quale chiede condanna della ricorrente ai danni da lite temeraria, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1, da determinarsi in via equitativa.

3.2. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo, il terzo, il quinto ed il sesto motivo la ricorrente deduce “nullità del procedimento ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 1, per mancata valutazione di una prova documentale offerta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4″.

I documenti non considerati dalla Corte sarebbero: il contratto di concessionario stipulato in data 22 dicembre 1993, tra Volvo e finanziaria del concessionario” (quinto motivo), nonchè all’Allegato 2 Parte Prima, intitolato “Descrizione dei Locali del Concessionario” (terzo motivo, insieme alla pag. 1 del contratto di locazione stipulato tra Cesarmeccanica e Ames S.p.a. relativamente ai nuovi locali); il bilancio di Cesarmeccanica al 31 dicembre 1995 (sesto motivo).

I motivi possono essere congiuntamente esaminati e sono inammissibili in quanto propongono una serie di questioni di fatto tendenti ad ottenere dalla Corte di legittimità una nuova e diversa valutazione del merito della controversia (Cass. n. 7921/2011; Cass. 21381/2006).

4.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta “nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 3, n. 4 per mancanza della motivazione, stante la manifesta ed irriducibile contraddittorietà della stessa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto la Corte, da un lato, avrebbe ritenuta fondata la deduzione della Volvo che i lavori intrapresi da Cesarmeccanica avevano giustificato la diffida ad adempiere inviata da Volvo, dall’altro, avrebbe nello stesso tempo ritenuto ingiustificata tale diffida.

Il motivo è infondato.

La Corte si limita infatti ad affermare che i lavori svolti da Cesarmeccanica avrebbero al più potuto giustificare una diffida finalizzata prevenire una situazione pregiudizievole, futura ed eventuale, ma non un’intimazione a reperire immediatamente altri locali pena la risoluzione del contratto, la quale, invece, presupponeva un inadempimento contrattuale, concreto ed attuale.

Inadempimento che, in base alla realtà dei fatti emergente dalla documentazione prodotta in giudizio, non era riscontrabile, poichè i lavori in corso di esecuzione non interessavano l’area operativa della concessionaria.

Il ragionamento della Corte, quindi, appare privo di vizi logici e pertanto non censurabile in questa sede.

4.3. Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta “nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 3, n. 4 per mancanza della motivazione, stante la manifesta ed irriducibile contraddittorietà della stessa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto la Corte, pur avendo riconosciuto che i nuovi locali condotti in locazione da Cesarmeccanica dovevano essere regolarizzati ai fini dello svolgimento dell’attività di concessionario, e che la modifica della destinazione d’uso era stata richiesta solo successivamente alla risoluzione del contratto, ha ritenuto non fondato l’assunto della Volvo secondo cui i predetti locali, allo scadere del termine di cui alla diffida, erano inidonei sotto il profilo destinazione urbanistica.

Il motivo è inammissibile.

Ed infatti, il passaggio censurato non costituisce autonoma ratio decidenti della sentenza impugnata, ma piuttosto argomentazione svolta ad abundantiam. Ciò si evince dalla sua collocazione, dopo l’esaurimento del ragionamento decisorio sull’inesistenza di violazioni attuali legittimanti la diffida a reperire immediatamente altri locali pena la risoluzione del contratto.

Pertanto, il passaggio argomentativo oggetto di doglianza, essendo improduttivo di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. n. 22380/2014; Cass. n. 23635/2010; Cass. n. 13068/2007; Cass. n. 7074/2006; Cass. n. 24591/2005).

4.4. Con il settimo motivo, si lamenta “nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 3, n. 4 per mancanza della motivazione, stante la manifesta ed irriducibile contraddittorietà della stessa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto la Corte ha ritenuto non giustificata la risoluzione contrattuale affermando che Cesarmeccanica godeva di una buona tenuta economico-finanziaria, in base a documenti riferiti ad un periodo successivo alla scadenza del termine previsto nella diffida, nonchè ad una circostanza (l’immissione di liquidità che sarebbe derivata dalla cessione dell’immobile di proprietà della Cesarmeccanica al Ministero della Giustizia) non ancora verificatasi e comunque incerta alla scadenza del suddetto termine.

Il motivo è infondato.

La Corte di Appello di Bologna, infatti, ha ritenuto che la concessionaria godesse di un’adeguata solidità finanziaria sulla base di più elementi ed in particolare della presenza di cespiti aziendali di rilevante valore – basandosi evidentemente sul bilancio della società in atti, relativo all’esercizio precedente quello in cui la Volvo Auto Italia ha disposto la risoluzione contrattuale -, nonchè dalla presenza di appropriate garanzie bancarie e della immissione di liquidità da parte dei soci – risultanti da comunicazioni del legale rappresentante della Cesarmeccanica alla Volvo Auto antecedenti alla risoluzione del contratto (cfr. docc. 6-7 prodotti da Cesarmeccanica nel giudizio di primo grado).

L’ulteriore riferimento alla futura immissione di liquidità derivante dalla cessione dell’immobile al Ministero della Giustizia, invece, è argomentazione svolta ad abundantiam, e pertanto improduttiva di effetti giuridici.

4.5 Con l’ottavo ed il nono motivo, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1 e art. 1365 c.c., in quanto la Corte, violando i criteri ermeneutici stabiliti dalle predette norme, avrebbe ritenuto che l’elenco di inadempimenti contenuto nell’art. 35 del contratto di concessionario stipulato tra Volvo Auto Italia e Cesarmeccanica esaurisse i casi legittimanti la risoluzione anticipata del medesimo contratto, nonostante il dato letterale della medesima specificasse che si trattasse di elencazione meramente esemplificativa e senza nemmeno verificare se l’ipotesi dell’omessa ricapitalizzazione, pur non espressamente contemplata, potesse essere ragionevolmente ricompresa tra le ipotesi di inadempimento.

I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili.

Infatti, la valutazione della Corte bolognese, secondo cui l’omesso adempimento della richiesta di ricapitalizzazione non rientrerebbe nelle ipotesi legittimanti la risoluzione anticipata del contratto, non è rilevante ai fini della impugnata decisione, considerato che, comunque, il giudice del merito aveva già escluso che la concessionaria si trovasse in condizioni tali da richiedere una ricapitalizzazione.

Pertanto, correttamente la Corte ha concluso che una simile richiesta non trovava riscontro in elementi concreti e specifici addebitabili alla concessionaria, rimanendo del tutto generica e gratuita e non potendo quindi costituire un presupposto valido per la risoluzione contrattuale.

5. La domanda di risarcimento dei danni per lite temeraria, formulata da Cesarmeccanica nel proprio controricorso, non può trovare accoglimento in quanto difetta la prova del pregiudizio patito.

Occorre richiamare l’orientamento giurisprudenziale a mente del quale “la domanda di risarcimento da responsabilità processuale aggravata, di cui all’art. 96 c.p.c., comma 1, pur recando in sè una necessaria indeterminatezza quanto agli effetti lesivi immediatamente discendenti dall’improvvida iniziativa giudiziale, impone, comunque, una, sia pur generica, allegazione della “direzione” dei supposti danni. (Cass n. 7620/2013).

Nella specie, non sono stati allegati nè provati elementi dai quali si possa desumere l’an e il quantum dei danni che si indicano come subiti.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

7. Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 10.200,00 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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