Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5025 del 16/02/2022

Cassazione civile sez. II, 16/02/2022, (ud. 02/12/2021, dep. 16/02/2022), n.5025

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20129/2020 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. BELLI 36,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO FORLINI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ERNESTO BIONDO;

– ricorrente –

contro

B.F.A., M.C., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA CESARE BECCARIA, 84, presso lo studio dell’avvocato

SOFIA MARCHIAFAVA, che li rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 7873/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avv. CESALI MASSIMILIANO, con delega dell’avv. BIONDO

ERNESTO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. SOFIA MARCHIAFAVA che ha ribadito di essersi costituita

con procura speciale notarile e si associa alle conclusioni della

Procura Generale ed insiste all’inammissibilità o per il rigetto

del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La vicenda, per quel che qui rileva, può sintetizzarsi nei termini riportati dalla sentenza n. 14294/2017 di questa Corte:

“1. – Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 2183 del 2011, ha respinto la domanda proposta da B.G. per la rescissione per lesione dell’atto di vendita in data (OMISSIS) con cui egli aveva trasferito alla ex moglie M.C. ed al comune figlio B.F.A. rispettivamente l’usufrutto e la nuda proprietà della sua quota di comproprietà dell’immobile in comunione con l’ex moglie, sito in (OMISSIS), nonché per l’annullamento della transazione in data (OMISSIS) intercorsa con i medesimi congiunti e, in subordine, per il risarcimento del danno.

A tale conclusione il primo giudice è giunto sul rilievo che la transazione, riguardante anche l’atto di trasferimento impugnato, ha costituito il contenuto del ricorso per il divorzio congiunto proposto dagli ex coniugi nonché della successiva sentenza che aveva disposto la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra le parti, sicché inficiare di invalidità la transazione con lo scopo di invalidare l’originario contratto di trasferimento avrebbe fatto venir meno il contenuto della sentenza di divorzio, ormai passata in giudicato, fatto processualmente non consentito, potendo l’attore chiedere la modifica delle condizioni di divorzio in presenza di condizioni diverse rispetto a quelle fatte valere con la citazione.

2. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 21 luglio 2015, la Corte d’appello di Roma ha respinto il gravame di B.G., confermando con diversa motivazione la sentenza del Tribunale.

2.1. – La Corte territoriale ha ritenuto fondato il rilievo avanzato dall’appellante circa l’erroneità della decisione del primo giudice nel considerare che il contenuto della transazione sia stato trasfuso nel ricorso per divorzio congiunto e nella successiva sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Tanto premesso, la Corte d’appello ha tuttavia giudicato infondata la domanda di B.G..

La Corte d’appello di Roma ha in primo luogo considerato che rispetto alla domanda di rescissione per lesione è stata eccepita dalle controparti l’esistenza della transazione in data (OMISSIS), “atto ostativo alla domanda avente causa di lesione ex art. 1970 c.c.”. E sebbene l’originario attore, in replica all’eccezione delle controparti, abbia richiesto l’annullamento della transazione richiamando il disposto dell’art. 1971 c.c. (in base a cui, ove una delle parti sia consapevole della temerarietà della sua pretesa, l’altra può chiedere l’annullamento della transazione), tale allegazione attorea – ha affermato la Corte territoriale – deve ritenersi inconferente, “in considerazione del fatto che la disposizione deve essere applicata ove una parte faccia valere come titolo della sua pretesa la transazione, che nel caso di specie è invece dedotta in giudizio quale eccezione rispetto alla domanda attorea”.

Nel giudicare fondata l’eccezione di transazione avanzata dai convenuti, i giudici del gravame hanno rilevato che l’atto di vendita oggetto della domanda rescissoria è stato concluso in adempimento di un primo accordo transattivo tra le parti, intervenuto in data 20 ottobre 2006 nella pendenza tra le parti del giudizio di separazione giudiziale e trasfuso nel verbale dell’udienza del 30 novembre 2006 dinanzi alla Sezione famiglia della Corte d’appello, accordo che è stato rispettato sia quanto alla data di stipula, avvenuta il (OMISSIS), sia quanto alla indicazione del prezzo pagato dalla M. che alla sua forma giuridica, non più donazione, ma vendita rispettivamente di nuda proprietà al figlio e costituzione di usufrutto in favore della ex moglie.

Ha poi precisato la Corte distrettuale che il B. ha successivamente citato in giudizio moglie e figlio per ottenere il saldo dell’atto del (OMISSIS) nonché la consegna dei beni mobili e dei preziosi richiamati nell’accordo transattivo 20 ottobre-30 novembre 2006, chiedendo così al Tribunale l’adempimento della transazione, mentre la M. ha, a sua volta, depositato il ricorso per ottenere la sentenza di divorzio (circostanze, entrambe, riportate nella premessa della transazione del (OMISSIS), in cui le parti hanno richiamato la volontà di trasformare il ricorso divorzile in procedura congiunta e, altresì, di “transigere le rispettive pretese, nonché tutte le controversie pendenti”, la M. si è impegnata a corrispondere al B. Euro 19.000 e quest’ultimo ad accettare l’importo a saldo e stralcio a definizione di ogni pretesa, impegnandosi a rinunciare al giudizio da lui introdotto, a ogni pretesa economica derivante dal divorzio, a ogni eventuale controversia, a ogni pretesa sui mobili e sui preziosi di cui alla precedente transazione, a restituire alla M. l’orologio d’oro con brillantini, dichiarando infine i contraenti che “con la sottoscrizione della presente scrittura privata di transazione le parti dichiarano di non avere più nulla da pretendere l’una dall’altra e di avere transatto tutti i loro rapporti, salvo buon fine degli assegni e/o di tutti i pagamenti”).

Secondo la Corte d’appello, atteso il richiamo al precedente accordo transattivo del 2006, da cui è derivata la citazione del B. con la richiesta del suo adempimento e la firma del nuovo accordo (a differenza del precedente) anche da parte del figlio, nel contenuto dell’atto sono ravvisabili gli elementi tipici del negozio transattivo, non annullabile per causa di lesione, ai sensi dell’art. 1970 c.c.. Parimenti infondata e’, secondo la Corte territoriale, la domanda subordinata di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., non avendo l’attore fornito la prova degli elementi costituitivi (la colpa o il dolo delle controparti, il nesso di causa con l’evento dannoso individuato nelle patologie sofferte e nella locazione di immobile diverso da quello dell’abitazione coniugale, tenuto conto che l’allontanamento dalla casa coniugale deriva dalla separazione personale)”.

Per quel che qui è ancora d’utilità occorre ricordare che con la sentenza di cui sopra veniva accolto, nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo del ricorso proposto dal B..

Quest’ultimo aveva lamentato che la Corte di merito avesse reputato che l’art. 1971 c.c., fosse applicabile nel solo caso in cui la transazione venisse fatta valere come titolo della pretesa e non ove la stessa fosse fatta valere in via d’eccezione. Con la sentenza di legittimità in esame l’affermazione veniva giudicata erronea in diritto, stante che “la temerarietà della pretesa comportante l’annullamento della transazione ex art. 1971 c.c., come può essere eccepita dal convenuto per paralizzare la domanda dell’attore che faccia valere come titolo della sua richiesta la transazione, allo stesso modo può essere invocata dall’attore per paralizzare gli effetti impeditivi della eccezione di transazione sollevata dal convenuto, in fattispecie in cui, chiesta dall’attore la rescissione per lesione di un contratto di vendita, questi si è visto eccepire l’esistenza di una transazione preclusiva della domandata rescissione.

La Corte d’appello, pertanto, non poteva giudicare inconferente la deduzione della richiesta ex art. 1971 c.c., avanzata dall’attore in funzione dell’elisione dell’effetto giuridico derivante dalla stipulazione della transazione, e così esimersi dal valutare la sussistenza o meno, in concreto, dei presupposti per l’annullabilità della transazione per temerarietà della pretesa.

In questi limiti preliminari il motivo va accolto; fermo restando che rimane del tutto impregiudicata – e rimessa all’apprezzamento del giudice del rinvio – la valutazione se le pretese di M.C. e di B.F.A., alla base della stipulata transazione, fossero caratterizzate dal requisito oggettivo dell’assoluta ed obiettiva infondatezza e da quello soggettivo della mala fede, elementi, entrambi, necessari perché operi l’annullamento della transazione ai sensi dell’art. 1971 c.c. (Cass., Sez. III, 3 aprile 2003, n. 5139; Cass., Sez. lav., 25 settembre 2015, n. 19023)”.

1.1. Riassunto il processo, la Corte d’appello di Roma, quale giudice del rinvio, rigettò l’impugnazione proposta da B.G..

2. Il B. ricorre avverso quest’ultima sentenza sulla base di sette motivi, la controparte, rimasta intimata, ha in data 19/10/2021 depositato atto costitutivo, al fine di partecipare alla discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il B. denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 1971 c.c..

La Corte di Roma aveva affermato che l’accordo transattivo si inseriva “nella più ampia regolamentazione dei rapporti coniugali e dei rispettivi obblighi di mantenimento del figlio (e che) in questo ambito, diviene difficile ritenere la temerarietà della transazione, in termini obiettivi e di assoluta infondatezza della pretesa, dovendosi valutare i diversi interessi perseguiti dalle parti: da un lato, il beneficio tratto dalla corresponsione di un importo di denaro quale prezzo di vendita, in luogo di un’assegnazione, in via esclusiva, a moglie e figlio, dell’immobile in comproprietà; dall’altro, la rinuncia ad un contributo periodico al mantenimento, attraverso una capitalizzazione, comprensiva anche degli arretrati, consistente nel trasferimento della quota in proprietà dell’immobile, per un valore verosimilmente più basso, nella composizione dei contrapposti interessi”.

Il ricorrente lamenta che il Giudice non si fosse soffermato con attenzione sulle vicende pregresse, essendosi limitato incentrare la propria analisi solo sulla scrittura del 13/8/2008. In ogni caso, nega che si fosse fatto luogo a una composizione di opposti interessi, poiché l’assegno per il figlio sarebbe venuto a cessare di lì a non molto, essendo costui già prossimo all’autonomia; la capitalizzazione dell’assegno, che il B. quantifica in Euro 15.000, risultava di molto inferiore al valore della quota immobiliare ceduta, che quantifica in Euro 390.000, avendo avuto corrisposto solo l’ammontare di Euro 90.000.

Soggiunge il B. che la sentenza era venuta meno, più in generale, al dovere di accertare i presupposti di cui all’art. 1971 c.c.: nella precedente scrittura del 20.10.2006 era prevista la cessione della quota immobiliare solo in favore della moglie; quest’ultima e il figlio, B.F.A., avevano tenuto condotta dolosa e il secondo “non aveva alcun diritto sostanziale di ottenere la nuda proprietà” e nulla aveva sborsato, non essendo all’epoca percettore di reddito e il versamento della madre, non avendo nemmeno la predetta disponibilità liquida, proveniva, fra l’altro, dal medesimo ricorrente.

1.1. La doglianza è inammissibile.

Come si è visto l’annullamento della prima sentenza d’appello è dipeso dall’errore di diritto consistito nell’aver reputato che in via d’eccezione non fosse consentito dedurre l’invalidità della transazione per temerarietà della pretesa di una delle parti. Era devoluta, quindi, al Giudice del rinvio, come chiarito puntualmente dalla decisione di questa Corte, “la valutazione se le pretese di M.C. e di B.F.A., alla base della stipulata transazione, fossero caratterizzate dal requisito oggettivo dell’assoluta ed obiettiva infondatezza e da quello soggettivo della mala fede, elementi, entrambi, necessari perché operi l’annullamento della transazione ai sensi dell’art. 1971 c.c. (Cass., Sez. III, 3 aprile 2003, n. 5139; Cass., Sez. lav., 25 settembre 2015, n. 19023)”.

La Corte di merito, con giudizio in questa sede insindacabile, ha escluso una tale evenienza. Le critiche mosse con il motivo in esame si risolvono in un’impropria istanza di riesame di merito, peraltro, sulla base di asserti largamente aspecifici, sotto il profilo del difetto di autosufficienza.

Piuttosto palesemente le critiche, nella sostanza, risultano inammissibilmente dirette al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360, c.p.c., vigente n. 5, in quanto, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1970 c.c. e art. 112 c.p.c..

Assume il B., dopo aver riportato il seguente passaggio motivazionale della sentenza: “In ogni caso, la pronuncia di rigetto del giudice di appello trova fondamento nella considerazione assorbente della preclusione costituita dalla transazione, che, ai sensi dell’art. 1970 c.c., non può essere impugnata per causa di lesione, con il conseguente rigetto delle istanze istruttorie”, che la decisione aveva violato l’art. 112 c.p.c., poiché la transazione non era stata mai impugnata per lesione, ma solo per temerarietà della pretesa e, in tal modo, si soggiunge, il Giudice aveva eluso il principio enunciato dalla Cassazione.

2.1. Trattasi di doglianza inammissibile.

La dedotta violazione di legge non è configurabile pur a volere seguire la prospettazione impugnatoria. Invero, ad ammettere che il ricorrente non abbia mai proposto rescissione per lesione, non è dato cogliere che interesse abbia a dolersi della statuizione. Ne’ allega, con la necessaria puntualità quali istanze istruttorie, utili a provare l’annullamento per temerarietà della transazione, la sentenza abbia disatteso. Infine, è appena il caso di soggiungere, che il principio di diritto enunciato da questa Corte non è stato affatto eluso dal Giudice del rinvio, il quale, così come prescrittogli, ha valutato l’eccezione del B..

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1448 c.c. e 115 c.p.c., per avere la sentenza qui al vaglio rigettato la domanda di rescissione del contratto di vendita della quota della casa coniugale. La predetta sentenza, secondo il B., era incorsa in irrisolvibile contraddizione poiché per un verso aveva giudicato non temeraria la transazione opposta dalle controparti e, per altro verso, aveva deciso sull’azione di rescissione del contratto di compravendita.

Una tale decisione, inoltre, era maturata in violazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere il giudice tenuto conto dei documenti in atti, dai quali era possibile dedurre la evidente sproporzione tra le prestazioni. Ne’ la Corte di merito aveva svolto qualsivoglia accertamento sullo stato di bisogno del ricorrente, affetto da gravi patologie.

3.1. Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha spiegato, ben diversamente, da quel che afferma il ricorrente, che “Solo in questa sede, viene proposta una domanda di rescissione, ai sensi dell’art. 1447 c.c. – quindi, inammissibile – e, peraltro, senza alcuna motivazione e semplicemente in via alternativa all’ipotesi contemplata dall’art. 1448. Si tratta di due fattispecie diverse, per presupposti di legge, con un diverso tema di indagine”; presupposti che la decisione specifica e distingue.

A norma dell’art. 1970 c.c., la transazione non può essere impugnata per causa di lesione, in quanto la considerazione dei reciproci sacrifici e vantaggi derivanti dal contratto ha carattere soggettivo, essendo rimessa all’autonomia negoziale delle parti. Ne’ può ovviarsi a tale preclusione dopo che nel giudizio di primo grado si sia proposta domanda di rescissione, trasformandola, in appello, in domanda di annullamento della transazione per temerarietà della pretesa ex art. 1971 c.c., in quanto, in tal modo, si dedurrebbe un rimedio basato su di un “petitum” ed una “causa petendi” diversi da quelli prospettati in primo grado, con conseguente inammissibilità della domanda ex art. 345 c.p.c. (Sez. 3, n. 3984, 22/04/1999, Rv. 525602).

Non resta, quindi, che concludere per l’irrilevanza della prospettata violazione dell’art. 1448 c.c..

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 356 c.p.c., per avere la decisione impugnata addebitato all’esponente di non aver fornito elementi utili ad apprezzare il valore dell’immobile di cui era già stato comproprietario, mentre lo stesso aveva chiesto vanamente mezzi istruttori (prova per testi) e l’interrogatorio formale, con i capitoli indicati in ricorso.

4.1. La doglianza è inammissibile per le medesime ragioni svolte a riguardo del terzo motivo: la “ratio” che regge la decisione di rigetto, chiaramente espressa dal Giudice, si fonda sulla considerazione che la transazione non può essere impugnata per lesione.

Gli altri argomenti costituiscono apprezzamenti accessori privi di decisività.

5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1447 c.c..

Si sostiene che la Corte di merito aveva errato, “poiché avrebbe dovuto effettuare la qualificazione della fattispecie, cosa che non ha fatto, per cui, se vi erano i presupposti di fatto, avrebbe dovuto esaminarli e, ove ritenuti sussistenti i presupposti accogliere la domanda di rescissione applicando l’art. 1447 c.c.”.

5.1. Il motivo è inammissibile.

La Corte di Roma ha rilevato la novità della domanda di rescissione di contratto concluso in stato di pericolo (art. 1447 c.c.). Ciò solo basterebbe a giudicare non scrutinabile la pretesa di cui al motivo in rassegna, il quale non si perita di contestare puntualmente l’asserto, spendendosi in una confusa e non pertinente disquisizione.

Inoltre, ma decisivamente, la sentenza ha escluso l’impugnabilità per rescissione della transazione e una tale “ratio”, peraltro corretta, non risulta attinta da critica apprezzabile.

6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., artt. 1175 e 2043 c.c..

Asserisce il B. che ingiustamente la sentenza aveva disatteso la domanda di risarcimento del danno, nonostante che la dimensione dell’immobile, costituito da due appartamenti, per complessivi 250 mq, avrebbe consentito all’esponente, in cattive condizioni di salute, di potervi vivere, separatamente dalla moglie e dal figlio.

6.i. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente, ancora una volta, non mostra di cogliere la “ratio decidendi”: la Corte territoriale ne ha disatteso la domanda, poiché il rigetto di quella principale, con la quale si era invocata la pronuncia d’invalidità della transazione, faceva escludere la ipotizzabilità di un danno ingiusto risarcibile.

7. Con il settimo ed ultimo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per essere stato condannato al pagamento delle spese di lite anche del giudizio di cassazione, nel quale era risultato vincitore.

7.1. Il motivo è manifestamente infondato.

Questa Corte ha più volte, condivisamente, chiarito che allorché la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione sia rimessa al giudice del rinvio, è legittima la condanna al pagamento delle spese del ricorrente già vittorioso che sia rimasto definitivamente soccombente nel giudizio di rinvio, dovendosi tener conto dell’esito finale della lite, a prescindere dai singoli gradi in cui si è articolata (Sez. 2, n. 19345, 12/9/2014, Rv. 633115; conf., ex multis, Cass. nn. 14619/2010, 2634/2007).

8. Siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.

9. Non v’e’ luogo a statuizione sulle spese non avendo la controparte svolto difese in questa sede.

10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

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