Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5023 del 01/03/2011

Cassazione civile sez. III, 01/03/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 01/03/2011), n.5023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 295-2009 proposto da:

DITTA RICCIARELLI S.P.A. (già SASIB PACKAGING S.R.L. nel giudizio di

2^ grado già GARIBALDO RICCIARELLI S.R.L. in quello di 1^ grado)

(OMISSIS), in persona dei legali rappresentanti procuratori

speciali dott. R.A. e ing. E.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ADIGE 43, presso lo studio dell’avvocato DI

PASQUALE LUCIANO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ARNONE FRANCESCO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ALIMENTARIA MOLISANA DI CINQUINI GUIDO (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

ALIMENTARIA MOLISANA S.R.L. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore Signor C.N., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 11 B/4, presso lo studio

dell’avvocato TIRONE MASSIMO, rappresentata e difesa dall’avvocato

MARINELLI GIUSEPPE giusta delega a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

DITTA RICCIARELLI S.P.A. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 254/2007 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

emessa il 9/10/2007, depositata il 05/11/2007, R.G.N. 147/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2011 dal Consigliere Dott. ARMANO Uliana;

Vi uditi gli Avvocati ARNONE FRANCESCO e DI PASQUALE LUCIANO;

udito l’Avvocato TIRONE MASSIMO (per delega dell’Avv. MARINELLI

GIUSEPPE);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso previa riunione: accoglimento

del 5^, 7^, 8^, 9^, 10^ e 11^ del ricorso principale nonchè dei

primi due motivi del ricorso incidentale con assorbimento o rigetto

altri motivi; cassazione con rinvio ed enunciazione degli appropriati

principi di diritto (ex art. 1227 c.c., comma 2 e art. 1453 c.c.).

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Campobasso, con sentenza depositata il 5-11- 2007. in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dalla Sasib Packaging s.r.l. – già Garibaldo Ricciarelli s.r.l – oggi Ditta Ricciarelli s.p.a. – confermava la decisione di primo grado che aveva dichiarato risolto per grave inadempimento il contratto di vendita di una macchinario industriale destinato alla produzione di formaggio in cubetti intercorso fra la produttrice. Sasib Packaging s.r.l. e l’Alimentaria Molisana s.r.l., condannando la Sasib Packaging s.r.l. al pagamento in favore dell’Alimentaria Molisana della somma di L. 233.761.800 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, a titolo di restituzione del prezzo, e di L. 870.000.000 a titolo di risarcimento del danno, modificando la decorrenza degli interessi legali sulla somma dovuta a titolo di risarcimento del dannoche stabiliva venissero calcolati annualmente sulla sorta capitale dalla data della sentenza impugnata fino al soddisfo,con compensazione delle spese del grado di appello e ponendo le spese di c.t.u del secondo grado al 50% a carico di entrambe le parti.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione la Ditta Ricciarelli s.p.a (già Sasib Packaging s.r.l. – già Garibaldo Ricciarelli s.r.l) con undici motivi. Resisteva con controricorso la Alimentaria Molisana proponendo ricorso incidentale sorretto da tre motivi.

L’Alimentaria Molisana s.r.l presentava memoria ex art. 378 c.p.c.. I ricorsi venivano riuniti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la Ditta Ricciarelli s.p.a denuncia la violazione dell’art. 20 c.p.c. per erronea individuazione del forum destinatae solutionis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, formulando un quesito di diritto con cui si chiede alla Corte di affermare se la clausola “merce resa franco officina e spedizione a mezzo vostro o che preciserete” determini il luogo della consegna del macchinario oggetto del contratto nella sede della ricorrente, con competenza territoriale del Tribunale di Pistoia dove aveva sede la ditta venditrice.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’individuazione del foro della esecuzione del contratto, da considerare fatto decisivo della causa ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

1 due motivi devono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi. La Corte di Appello ha affermato che ricorreva nella specie l’ipotesi del foro facoltativo del luogo dove doveva eseguirsi l’obbligazione di cui all’art. 20 c.p.c. in quanto l’obbligazione dedotta in contratto era relativa, oltre che alla consegna del macchinario.

anche alla messa in opera con il funzionamento dello stesso.

attività che dovevano eseguirsi nella sede della società acquirente, con la conseguente competenza territoriale del Tribunale di Campobasso, dove questa ditta aveva sede.

Secondo il ricorrente, invece, il luogo di esecuzione dell’obbligazione era quello della consegna del macchinario avvenuto nella sua sede di Pistoia, come si evinceva dalla clausola contrattuale “merce rea franco nostra officina”, essendo le operazioni di installazione e collaudo accessorie. I due motivi sono infondati.

La Corte di Appello non è incorsa nella dedotta violazione di legge, nè nel vizio di difetto di motivazione, in quanto,accertato che le pattuizioni intercorse fra le parti prevedevano che la venditrice si era impegnata non solo a consegnare il macchinario, ma anche a mettere in opera lo stesso con il conseguente collaudo presso la società compratrice, ha ritenuto che la completa esecuzione di quanto pattuito dovesse necessariamente avvenire presso la sede della ditta compratrice. Essendo tale il contenuto della pattuizione intercorsa fra le parti, e da escludere, che, ai fini della determinazione della competenza, il contratto avesse come oggetto la sola vendita del macchinario, ma l’esecuzione delle connesse operazioni di montaggio e verifica del corretto funzionamento dello stesso macchinario una volta montato, operazioni necessarie a completare quella di consegna, erano tali da rilevare per l’individuazione del luogo di consegna della merce non presso lo stabilimento del venditore, ma presso lo stabilimento dell’acquirente, in linea con quanto ribadito da questa Corte che ancora di recente ha affermato “il luogo di adempimento dell’obbligo di consegnare un macchinario industriale, da montare e collaudare, va ravvisato nel domicilio del compratore nei casi in cui le parti abbiano previsto che ivi debba avvenire il montaggio ed il collaudo Sez. 3, Ordinanza n. 15019 del 06/06/2008.

L’interpretazione del contratto operata dalla ricorrente,che effettua una parcellizzazione dell’oggetto dello stesso, affermando una presunta accessorietà dell’obbligo di montaggio e collaudo del macchinario, non è condivisibile in quanto, come affermato dalla Corte di Appello, la completa esecuzione di quanto pattuito in contratto doveva avvenire necessariamente presso la sede della ditta compratrice e le obbligazione di assemblaggio e montaggio non potevano considerarsi obbligazioni secondarie,in quanto l’obbligo sorto in capo alla venditrice comprendeva anche il collaudo del macchinario che doveva considerarsi punto focale della esecuzione, comprensiva sia della consegna del macchinar stesso che della messa in opera.

Con il terzo motivo la società ricorrente denunzia vizio di contraddittoria motivazione in ordine alla determinazione dei motivi del mancato funzionamento della macchina, da considerarsi fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La ricorrente deduce che il tipo di prodotto usato durante le operazioni di c.t.u era determinante per valutare il buon funzionamento del macchinario in quanto il vizio accertato dal c.t.u, di vischiosità formaggio a cubetti, tale da non consentire lo scorrimento nei canali della macchina, derivava non dal cattivo funzionamento del macchinario, ma dalla natura del prodotto usato.

Infatti la Corte di Appello, nel recepire acriticamente le conclusioni del c.t.u., non si era soffermata sulla circostanza che mancava de tutto la prova che il prodotto usato avesse le stesse caratteristiche di quello fornito dall’alimentaria Molisana. Come quarto motivo viene denunziata violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in quanto la Corte di Appello sarebbe incorsa nell’errore di attribuire l’onere della prova dell’identità del prodotto usato a carico della venditrice.

Anche tali motivi si esaminano congiuntamente per l’evidente connessione fra gli stessi.

Questa Corte ritiene che sotto l’apparente denunzia di vizio di motivazione, in realtà la società ricorrente solleciti una nuova valutazione di merito non consentita a questa Corte di legittimità.

Infatti il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove. La Corte di Appello ha affermato che in un primo momento non fu possibile neppure avviare la macchina e che nelle successive prove il difetto principale fu individuato nello scorrimento irregolare dei cubetti nei canali vibranti con accumulo di prodotto.

Ha rilevato che il C.t.u aveva affidato proprio ad un tecnico della ditta venditrice la predisposizione di tutto quanto necessario per il funzionamento della macchina,anche la scelta del prodotto caseario.

Ila concluso che la circostanza che il tecnico di parte venditrice, nonostante avesse ampia scelta in riferimento al tipo di prodotto caseario da inserire nella macchina, non fosse riuscito neppure ad assicurare un funzionamento di essa regolare e costante, tanto che si potesse almeno in sede di verifica tecnica collaudarla, da ragione dell’esistenza di un difetto del macchinario, o quanto meno dell’impossibilità di adeguarlo al tipo di produzione realizzato dalla Alimentaria Molisana. Del resto, posto che sicuramente una delle prove negative esperite dal CTU era stata resa inserendo il prodotto realizzato dalla compratrice, il fatto che non fosse, per tipo e qualità quello effettivamente spedito dalla committente, rimaneva sfornito di prova. Della linea argomentativa così sviluppata la ricorrente non segnala alcuna caduta vi di consequenzialità, ma la sua contestazione si risolve nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito, il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione, quando la scelta operata dal giudice di merito risulta logica e congruamente motivata, come nella specie.

Inoltre la Corte di Appello non è incorsa in alcuna violazione di legge in quanto, conforme mente ai principi relativi all’onere della prova posti dall’art. 2697 c.c., ha affermato che incombeva alla ricorrente fornire la prova dei fatti su cui si fondava la sua eccezione.

Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 114, 115 e 116 c.p.c e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 chiedendo a questa Corte di affermare il seguente principio di diritto: dica la S.C. se la Corte territoriale, quantificando in via equitativa il danno subito dalla Alimentaria Molisana, che invece mai ha fornito alcuna prova in proposito e senza che vi fosse nessuna richiesta congiunta per il metodo della liquidazione effettuata, ha violato il disposto dell’art. 2697 c.c. che impone l’onere della prova a carico dell’appellata, in tal caso, e in generale a chi propone la relativa domanda, o comunque, invertendo l’identificazione delle parti cui l’onere incombeva, con la conseguenziale violazione dell’art. 113 c.p.c., abbia pronunciato in violazione degli artt. 114, 115 e 116 c.p.c. che impongono il rispetto dell’onere della prova con esclusione del ricorso all’equità, ma solo nei casi in essi contemplati con conseguente vizio del procedimento.

Anche il primo motivo dell’appello incidentale contesta, se pure con diverse finalità,il ricorso operato dal giudice di merito alla liquidazione equitativa del danno, chiedendo a questa Corte di “stabilire se il Giudice, avendo a disposizione tutti gli elementi di prova per procedere alla valutazione analitica del danno, abbia violato le norme richiamate, facendo erroneamente ricorso al criterio equitativo, avendo, peraltro, il danneggiato assolto a tutti i propri oneri probatori”. Entrambi i motivi sono infondati.

Deve escludersi che i giudici di merito siano incorsi nella violazione delle dedotte norme di legge.

Come già affermato da questa Corte regolatrice deve ribadirsi, in particolare, che, l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al Giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., da luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata provare il danno nel suo preciso ammontare, come desumibile dalle citate norme sostanziali, dall’altro presuppone già assolto l’onere della parte di dimostrare sia la sussistenza sia l’entità materiale del danno.

Cass. 18 novembre 2002, n. 16202 – Sez. 3, Sentenza n. 17492 del 09/08/2007 e n. 10607 del 30/04/20100.

La Corte di Appello ha motivato la necessità del ricorso alla valutazione equitativa del danno rilevando che indubbiamente la Alimentaria Molisana aveva patito un danno economico dalla mancata funzionalità del macchinario industriale acquistato, se si considera che detto macchinario aveva lo scopo di creare una nuova linea produttiva, da affiancarsi a quella tradizionale eludendo le aspettative di incremento di reddito della Alimentaria Molisana, che pure aveva investito una sensibile quota di capitale nel tentativo di ampliamento commerciale. Proprio perchè la nuova linea di confezionamento e “taglio” del prodotto cascano avrebbe dovuto introdurre un nuovo elemento di reddito, era molto difficile procedere ad una quantificazione del danno su parametri diversi quelli equitativi. Di conseguenza correttamente i Giudici del merito, una volta accertata l’esistenza del danno a seguito di un giudizio probabilistico fondato su elementi probatori acquisiti al processo, per quantificare quale sarebbe stato l’arricchimento patrimoniale hanno fatto ricorso alla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa prevista dall’art. 1226 c.c., in considerazione della difficoltà di accertare in modo diverso tale tipo di danno.

Con il sesto motivo viene denunziata la violazione degli artt. 61 e 191 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, avendo le consulenze tecnica disposta in primo grado ed i chiarimenti richiesti in secondo grado estesi all’accertamento del danno, finalità esplorative volte all’accertamento del danno rispetto al quale non era stato assolto l’onere probatorio da parte della alimentaria Molisana.

Il motivo è infondato in quanto la c.t.u non è stata disposta per accertare la esistenza del danno, ma solo per procedere alla liquidazione equitativa dello stesso secondo o criteri indicati dalla Corte di Appello.

Con il settimo motivo viene denunziata omessa insufficiente contraddittoria motivazione in relazione alla determinazione del danno in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 motivo contestando che erroneamente la Corte di appello preso a riferimento un reddito medio di otto anni ne aveva imputato un terzo quale presunto mancato incremento. Unitamente a tale censura deve essere esaminato anche il secondo motivo del ricorso incidentale con cui si denunzia la violazione di legge in relazione all’art. 1226 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. in quanto il ricorso al dato reddituale era riduttivo tenendo conto che gli utili della committente erano stati penalizzati fortemente proprio a causa della mancata fornitura del nuovo macchinario industriale. Entrambi i motivi sono infondati.

La Corte osserva che la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria. Sez. 3, Sentenza n. 1529 del 26/01/2010.

La Corte di Appello ha utilizzato per la liquidazione equitativa del danno concreti parametri di riferimento costituiti dall’ammontare dell’effettivo reddito di impresa della Alimentaria Molisana, quale si è attestato nel corso del tempo dal 1993, anno nel quale il macchinario doveva entrare in piena produzione, fino all’attualità,determinando il reddito medio conseguito nel periodo.

Successivamente, ai fini di concretizzare un criterio di equità, la Corte di Appello ha considerato che ove il macchinario fosse entrato in produzione, a detta cifra si sarebbe aggiunto quanto meno un aumento della produttività pari a un terzo di detto reddito. Ha evidenziato a tale proposito che il valore del macchinario comprato poteva equipararsi, sulla base dei dati risultanti dall’allegata situazione patrimoniale dell’impresa nell’anno 1993/1994,a circa un terzo del valore totale del macchinario.

Di conseguenza i giudici di merito hanno indicato criteri idonei a giustificare l’entità del danno liquidato, con riferimento parametri omogenei alla natura del danno da accertare, quale il reddito medio conseguito dall’impresa nel periodo in oggetto, la situazione patrimoniale dell’impresa al momento in cui è stato fatto l’investimento con l’acquisto del macchinario, la proporzione fra il valore dei macchinari utilizzati dall’impresa ed il reddito conseguito.

Pertanto tale valutazione di fatto, sorretta da criteri logici e non contraddittori, sorregge adeguatamente la decisione che non può essere scalfita da motivi di ricorso che, sotto l’apparente denunzia di vizio di motivazione, tendono ad introdurre una ipotesi del tutto alternativa rispetto a quella motivatamente scelta dalla Corte di appello.

L’ottavo il nono motivo del ricorso principale, con cui si denunzia nuovamente la violazione dell’art. 1126 c.c. e insufficiente contraddittoria motivazione in ordine alla determinazione del danno, in quanto il giudice di appello non avrebbe potuto ricorrere alla valutazione equitativa del danno e che erroneamente aveva preso a fondamento della liquidazione le denunzie dei redditi della società Alimentaria Molisana,sono assorbiti dal rigetto del quinto motivo e dell’ottavo motivo del ricorso principale.

Con il decimo motivo di ricorso si denunzia la violazione dell’art. 1125 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 3 e 5 in quanto in mancanza di dolo del debitore, il danno da inadempimento o ritardo va limitato a quello prevedibile al momento in cui è sorta l’obbligazione.

Tale motivo è inammissibile in quanto per la prima volta sollevato nel giudizio di Cassazione.

Con l’undicesimo motivo si deduce violazione dell’art. 345 c.p.c. comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 in quanto la Corte aveva valutato le denunzie dei redditi degli anni intercorrenti dal 1994 al 2000 esibite dalla convenuta al c.t.u in secondo grado a mai ritualmente prodotti nel processo. Tale motivo è inammissibile in quanto,tema di ricorso per cassazione, quando si deduce una nullità di ordine procedimentale,ai fini del rituale adempimento dell’onere imposto al ricorrente dall’art. 366 c.p.c., n. 6, di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del proecesso nel suo complesso, al fine di renderne possibile l’esame.

Sez. 3, Ordinanza n. 6937 del 23/03/2010.

Nel caso di specie il ricorrente denunzia una tardiva esibizione di documenti, ma non mette in condizione la Corte, di controllare in base al solo contenuto del ricorso, la fondatezza della contestazione in relazione allo svolgimento del procedimento di appello.

E’ infondato anche il terzo motivo dell’appello incidentale con cui si denunzia violazione dell’art. 91 c.p.c. e difetto di motivazione sul punto in quanto, essendo la società Alimentaria Molisana sostanzialmente vittoriosa, la compensazione delle spese non corrispondeva al principio della soccombenza ed era priva di adeguata motivazione.

Al contrario di quanto dedotto, la compensazione delle spese operata dai giudici di appello ha tenuto conto dei principi di cui all’art. 91 c.p.c., in considerazione del parziale accoglimento dell’appello principale e del rigetto dell’appello incidentale. Il rigetto di entrambe le impugnazioni impone la compensazione delle spese del presente grado.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi,li rigetta e compensa interamente fra le parti le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2011

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